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Shanghai Cooperation Organization, tra allargamento e nuovi obiettivi. L’organizzazione di fronte ad una svolta

Creato il 06 ottobre 2015 da Bloglobal @bloglobal_opi

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di Oleksiy Bondarenko

Il summit annuale della Shanghai Cooperation Organization (SCO), che si è tenuto dall’8 al 10 luglio scorso parallelamente alla riunione dei Paesi BRICS nella città russa di Ufa, rappresenta per molti aspetti uno spartiacque nella vita dell’organizzazione. Dopo anni di discussione interna e cavilli burocratici, è stato ufficialmente intrapreso il percorso formale che porterà il gruppo ad assumere una nuova dimensione continentale accogliendo al suo interno due nuovi membri, India e Pakistan. La grande novità di Ufa non è stata solo l’inizio del processo di adesione da parte di New Delhi e Islamabad, che dovrà essere ratificato dai membri durante il prossimo summit-2016 in Uzbekistan, ma anche l’ingresso di quattro nuovi partner di dialogo (Armenia, Azerbaijan, Nepal e Cambogia) e la promozione della Bielorussia a Stato osservatore, che gli permetterà di unirsi ad Afghanistan, Mongolia e Iran. Proprio la posizione di Teheran, da anni desideroso di aderire in maniera permanente ai membri dell’organizzazione, sarà probabilmente il soggetto delle future discussioni in seno al forum regionale. Finora la sua richiesta di piena membership è stata bloccata dallo statuto, che impedisce l’ingresso a Stati soggetti a sanzioni internazionali da parte delle Nazioni Unite. Anche se la questione non è stata ufficialmente inclusa nell’agenda del summit, il Presidente iraniano Hassan Rouhani è stato il principale ospite speciale a Ufa. Altro aspetto focale emerso in seno alla riunione annuale dei capi di Stato dell’organizzazione di Shanghai, è stata una rinnovata enfasi sulla cooperazione economica tra i suoi membri e con le altre istituzioni regionali. 

Sebbene il processo di allargamento possa portare nuova linfa vitale al SCO, permangono comunque numerosi dubbi sulle capacità dell’organizzazione di abbandonare il suo focus sui rapporti sino-russi e trasformarsi in un vero attore internazionale.

Il focus sulla sicurezza - La lenta evoluzione della Shanghai Cooperation Organization ha storicamente calcato in parallelo i passi del delicato rapporto tra i suoi due principali membri. Nata ufficialmente nel 2001, come evoluzione del forum dei Shanghai Five riunitosi per la prima volta nel 1996, l’obiettivo principale dell’organizzazione era quello di favorire la creazione di un ambiente favorevole lungo i confini comuni tra Russia, Cina e la regione centro-asiatica, promuovendo la collaborazione contro quelle che erano considerate le principali minacce alla stabilità regionale.  Proprio durante il primo summit a Shanghai nel luglio 2001 fu concordata l’agenda in materia di sicurezza regionale. Punto focale dello sforzo comune doveva essere la lotta contro quelli che furono definiti i “tre mali” (Three Evils) del terrorismo, del separatismo e dell’estremismo religioso.

Proprio in materia di sicurezza regionale la convergenza di interessi tra Mosca e Pechino ha permesso all’organizzazione di sviluppare un buon livello di cooperazione. La stabilità è, infatti, l’obiettivo principale tanto per la Cina, alle prese con la difficile sfida rappresentata dalla regione dello Xinjang, quanto per la Russia ed i regimi delle repubbliche centro-asiatiche. L’Asia Centrale, e la valle del Fergana in particolare, non rappresenta però solo una regione particolarmente sensibile al messaggio dei movimenti di matrice islamica, ma anche un’importante fonte di materie prime. Garantire la stabilità delle rotte commerciali e dei gasdotti è stato, e rimane, uno dei principali obiettivi di Pechino. La convergenza in materia di sicurezza, sancita dalla firma della “Convenzione sulla Lotta contro il Terrorismo, il Separatismo e l’Estremismo” [1], ha permesso di costituire una struttura regionale permanente per l’antiterrorismo (Regional Anti-Terrorist Structure – RATS) con sede a Tashkent. Il suo scopo è quello di coordinare l’azione “non-militare” tra i membri, migliorando lo scambio d’informazioni in materia di antiterrorismo [2]. Il RATS ha garantito negli anni, inoltre, una più ampia piattaforma di coordinamento tra gli interessi cinesi e quelli della struttura di sicurezza collettiva (Collective Security Treaty Organization – CSTO) guidata da Mosca.

Per i Paesi centro-asiatici l’organizzazione ha significato in questi anni la creazione e il consolidamento di una rete di rapporti bi e multilaterali capaci di garantire un buon livello di stabilità ai regimi che si sono andati a costituire nel periodo post-sovietico. Il delicato rapporto tra Mosca e Pechino, inoltre, ha permesso un certo grado di flessibilità nella politica estera multi-vettoriale degli attori regionali. Se la Russia ha finora giocato un ruolo chiave come security provider, la sua influenza in Asia Centrale è stata altresì mitigata dall’espansione politico-economica di Pechino all’ombra del lento disinteresse americano [3]. La SCO, in altre parole, ha istituzionalizzato, rendendo meno traumatica, la rottura della secolare egemonia russa sulla regione.

Cooperazione economica - Il punto debole della Shanghai Cooperation Organization è stato fino ad ora, però, il basso livello di convergenza sino-russa in materia economica, evidenziata dalla sovrapposizione di progetti integrativi differenti. La “dimensione economica” dell’organizzazione è stata, in effetti, il punto di maggiore frizione tra Mosca e Pechino sottolineandone la divergenza di interessi in materia. Anche in ottica di bilanciare la penetrazione cinese in Asia Centrale, la Federazione Russa ha cercato di promuovere proprie strutture integrative, la principale delle quali è divenuta l’Unione Economica Euroasiatica (UEE), ramo economico della neonata Unione Euroasiatica ed evoluzione dell’EurAsEC (Comunità economica eurasiatica) e dell’Unione Doganale tra Bielorussia, Kazakistan e Russia. Di recente anche Armenia e Kirghizistan sono entrati a far parte dell’Unione a guida russa [4].

Un interessante esempio della divergenza tra Mosca e Pechino è rappresentato dal lungo dibattito sulla creazione di una Banca per lo Sviluppo SCO (SCO Development Bank). Proposta per la prima volta dall’allora Premier cinese Wen Jiabao nel 2010 e promossa fortemente da uno degli uomini più potenti dell’establishment politico-economico di Pechino, lo storico Presidente (1998-2013) della China Development Bank (CDB) Chen Yuan, l’idea è stata da sempre accolta con freddezza da Mosca. Secondo il piano cinese la Banca avrebbe dovuto svolgere all’interno del SCO funzioni simili a quelle della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale, con l’istituzione di un fondo anti-crisi per riequilibrare la bilancia dei pagamenti dei membri in caso di necessità. Il principale punto di disaccordo, però, non riguarda le funzioni della SCO Development Bank, ma la sua struttura decisionale. In base al progetto spalleggiato da Pechino, le quote si sarebbero dovute dividere a seconda del contributo finanziario dei singoli Stati, il quale a sua volta si sarebbe dovuto determinare in base alle dimensioni delle singole economia nazionali. Secondo questo principio, infatti, il potere decisionale sarebbe saldamente nelle mani di Pechino che deterrebbe circa l’80% delle quote della Banca [5].

Nuovi impulsi per la cooperazione economica - Il dibattito sul crescente ruolo economico della Cina all’interno della Shanghai Cooperation Organization e nella regione centro-asiatica si è andato ad intersecare, però, non solo con la crisi finanziaria mondiale, ma anche con il repentino mutamento delle relazioni tra Russia ed i suoi partner occidentali. Se già a partire dal 2009 gli investimenti ed i prestiti cinesi sono diventati sempre più importanti per la stabilità economica della Federazione Russa e per lo sviluppo infrastrutturale delle regioni dell’Estremo Oriente, con le sanzioni comminate nei confronti di Mosca in seguito alla crisi ucraina Pechino è rimasta praticamente l’unica fonte di finanziamento e investimento. Lo sviluppo di meccanismi trasparenti per l’accesso al mercato dei capitali, capaci di limitare il crescente leverage negoziale in favore degli istituti finanziari statali cinesi, potrebbe diventare ora una delle priorità del Cremlino. Una serie di meccanismi finanziari multilaterali, inoltre, permetterebbe a Mosca di avere più voce in capitolo nella costante penetrazione economica cinese in Asia Centrale, articolata finora prevalentemente su base bilaterale.

Un maggiore focus economico della SCO, in effetti, potrebbe trarre spunto non solo dall’ingresso nell’organizzazione di India e Pakistan, ma anche dal recente rafforzamento dei legami bilaterali tra Mosca e Pechino. Oltre ai crescenti legami energetici, lo scorso maggio, ad esempio, Putin e Xi Jinping hanno raggiunto un accordo per favorire il coordinamento tra l’Unione Economica Eurasiatica e il progetto della Nuova Via della Seta (Silk Road Economic Belt) promosso da Pechino [6]. Anche se per i risultati pratici bisognerà attendere i futuri sviluppi, la dichiarazione congiunta del summit di Ufa e la Strategia per lo Sviluppo del SCO verso il 2025 (SCO Development Strategy Towards 2025) presentata da Mosca, potrebbero porre nuove basi per un crescente coordinamento economico sotto l’ombrello dell’Organizzazione di Shanghai. D’altra parte, all’ombra della preoccupante svalutazione del rublo, anche gli attori dell’Asia Centrale ed i membri dell’UEE potrebbero trarre maggiore beneficio da un approccio multilaterale nei confronti del necessario accesso al mercato dei capitali cinese.

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La nuova agenda geopolitica - Il summit di Ufa sarà ricordato, però, soprattutto per l’istituzione di una nuova agenda geopolitica dell’organizzazione che passa inevitabilmente attraverso il suo allargamento verso l’India e il Pakistan. Se per i primi quindici anni la struttura asimmetrica dell’organizzazione ha favorito la cooperazione sino-russa in Asia Centrale, i recenti mutamenti a livello geopolitico hanno avuto importanti ripercussioni anche sulla stabilità della regione stessa. Oltre a favorire l’integrazione a livello subcontinentale e la connettività economico-commerciale all’interno dell’ampia regione dell’Asia centro-meridionale, l’ingresso di India e Pakistan accende nuova luce sopra l’organizzazione di Shanghai. Come riporta l’agenzia cinese Xinhua, ad esempio, l’allargamento rappresenta un importante passo avanti per la futura “influenza dell’organizzazione all’interno dell’arena internazionale” accrescendone il ruolo e la legittimità [7]. Secondo il Segretario generale del Centro di ricerca SCO del Accademia Cinese di Scienze Sociali, Sun Zhuangzhi, nel suo nuovo formato maggiormente consolidato «l’organizzazione regionale sarà capace di assumere un più importante ruolo per la stabilità e prosperità globale» [8].

In termini politici l’allargamento verso India e Pakistan rappresenta un chiaro compromesso tra Mosca e Pechino. Se la Cina è storicamente un “partner strategico” di Islamabad, la Russia ha sviluppato consolidati legami economici e militari con New Delhi. Nonostante il recente ammorbidimento della postura del Cremlino nei confronti del Premier Nawaz Sharif, l’ingresso pachistano nell’organizzazione è chiaramente vincolato a quello dell’India. La Cina, dal canto suo, continua a guardare con diffidenza verso il grande vicino e permangono numerosi punti di frizione, come le storiche dispute territoriali, i legami di New Delhi con Washington e Tokyo e le contrastanti ambizioni di entrambi nel quadrante Sud Est asiatico.  

Appare evidente come, all’ombra delle difficili relazioni con Europa e Stati Uniti, la Russia abbia cercato di sfruttare la presidenza annuale del SCO per dare nuova enfasi al vettore asiatico della propria politica estera. Questo è vero non solo per la nuova fase delle relazioni con il vicino cinese, ma anche per un rinnovato entusiasmo che il Cremlino ha posto sullo sviluppo dell’organizzazione. In quest’ottica l’allargamento del forum rappresenta un’importante vetrina per il ruolo di Mosca come potenza regionale e garante della sicurezza in Asia Centrale, ma anche come una parziale soluzione alla perdita di legittimità politica in seguito all’annessione della Crimea e al crescente isolamento internazionale.

Sebbene i suoi principali interessi differiscano da quelli del Cremlino, anche la Cina ha diversi importanti incentivi per avallare l’espansione dell’organizzazione. In cima all’agenda cinese vi è, infatti, la preoccupazione per la stabilità regionale ed i suoi effetti sulla situazione politica nella Regione autonoma uigura dello Xinjiang. In effetti, il ruolo del Pakistan nella futura conformazione politico-militare dell’Afghanistan e nella lotta all’estremismo e terrorismo a livello regionale, sarà fondamentale per Pechino. Inoltre, come sottolinea William Piekos, coordinatore del programma “Asia Studies” del Council on Foreign Relations, dietro alla creazione “di meccanismi più efficaci per l’integrazione regionale” vi è anche il desiderio cinese “di proteggere i propri interessi economici” [9]. Non si tratta solo di preservare il ruolo di attore dominante dal punto di vista energetico in Asia Centrale, riducendo al contempo la propria dipendenza strategica dalle rotte che attraversano lo stretto di Malacca, ma anche di rafforzare la propria presenza in Asia meridionale, in linea con la longeva aspirazione di leadership regionale. A Pechino, infatti, si parla con crescente insistenza del Corridoio Economico tra Cina e Pakistan (China-Pakistan Economic Corridor – CPEC) [10], del Corridoio Bangladesh-Cina-India-Myanmar (Bangladesh-China-India-Myanmar Corridor) [11] e della Via della Seta Marittima (Maritime Silk Road), parallelo su mare dell’ambizioso progetto della Nuova Via della Seta terrestre.

L’adesione alla Shanghai Cooperation Organization rappresenta, però, un importante opportunità anche per India e Pakistan. Oltre a garantire un’arena multilaterale dove poter interagire sull’annosa questione delle loro dispute territoriali, il nuovo status nell’organizzazione potrebbe favorire le aspirazioni regionali di entrambi. Per New Delhi la SCO rappresenta una piattaforma per sviluppare i propri, crescenti, interessi in Asia Centrale e in Afghanistan, mentre per Islamabad è un’importante opportunità per rafforzare il proprio ruolo regionale, con particolare riferimento ai futuri scenari a Kabul. La strategia della diversificazione in politica estera, rinvigorita dal Premier indiano Narendra Modi, comporta, inoltre, un inevitabile engagement con i due principali rivali regionali, il Pakistan e la Cina. L’aumento del peso diplomatico nei confronti di Pechino grazie alla cooperazione all’interno dei forum multilaterali come BRICS e SCO, potrà essere uno dei principali vantaggi del crescente pragmatismo di New Delhi.  

I problemi di una trasformazione strutturale - L’allargamento, però, comporta anche nuove responsabilità e un nuovo ruolo per l’organizzazione e per i suoi singoli attori. Diversi studiosi sottolineano, ad esempio, come la struttura organizzativa potrebbe subire un indebolimento a causa della frammentazione del potere decisionale, strutturato finora in base ai rapporti sino-russi. Il rischio, in effetti, è legato alla diminuzione dell’influenza di Russia e Cina sull’agenda politica della Shanghai Cooperation Organization, che potrebbe trasformare il forum in un semplice “gruppo di dialogo” con un’influenza solamente marginale sul sistema di relazioni regionali. Altra questione problematica è rappresentata dalla capacità dei due nuovi membri di superare la loro storica rivalità in prospettiva lungo temporale. Un reciproco ostruzionismo all’interno delle strutture multilaterali non solo ne minerebbe l’efficacia decisionale, ma avrebbe un’importante influenza anche sul delicato equilibrio di forza al suo interno, già caratterizzato da numerose divergenze sull’asse Mosca-Pechino. Nel caso in cui Pakistan e India dovessero pendere verso il vicino orientale, l’insoddisfazione russa per un crescente ruolo della Cina, già l’attore prevalente all’interno del forum, avrebbe conseguenze negative per la struttura e la funzionalità dell’organizzazione.

Le nuove ambizioni dell’organizzazione di Shanghai e il suo cambiamento strutturale e funzionale avranno anche l’effetto di spostare il suo focus regionale, rischiando di marginalizzare ulteriormente il ruolo delle repubbliche centro-asiatiche. Diffidenza nei confronti dell’ingresso nell’organizzazione di due potenze nucleari è stata espressa, ad esempio, dall’Uzbekistan di Islom Karimov, preoccupato non solo per il probabile mutamento dell’equilibrio strategico militare dell’Asia Centrale, ma anche della possibile trasformazione dell’organizzazione, considerata l’attuale situazione geopolitica, in un blocco con più evidenti connotati anti-occidentali [12]. Sebbene la SCO non abbia mai ufficialmente assunto una postura marcatamente antagonistica, non sono mancate negli anni chiare prese di posizione contro lo sviluppo del programma missilistico sotto l’ombrello NATO e della presenza militare occidentale in Asia Centrale. La Strategia per lo Sviluppo del SCO verso il 2025 sostenuta con forza dal Cremlino sembra continuare in questa direzione, chiedendo rispetto per la “diversità culturale” della regione e auspicando lo sviluppo di una maggiore interazione con la CSI, CSTO, ASEAN, ECO (Organizzazione di cooperazione economica) e ONU. Il delicato capitolo dei rapporti con NATO, UE e OSCE viene completamente tralasciato nel documento [13].

Proprio per questa serie di motivi a Tashkent e dintorni si vocifera che il Presidente Karimov cercherà di sfruttare l’anno della presidenza uzbeka dell’organizzazione per rallentare, se non ostacolare, la ratifica dell’allargamento durante il prossimo summit-2016. 

Nonostante la retorica dell’incontro di Ufa quindi, le nuove ambizioni del gruppo di Shanghai si dovranno misurare con numerose problematiche e con il più che mai mutevole sistema internazionale. Le asimmetrie di potere al suo interno e le nuove dinamiche regionali potrebbero limitare, o addirittura annullare, i vantaggi dell’allargamento strutturale e lo spazio d’azione politica del SCO.

Afghanistan, il barometro del futuro - In cima alle problematiche regionali c’è senza dubbio l’Afghanistan e il progressivo deterioramento della stabilità del Paese dopo il disengagement americano. Preoccupazioni del gruppo di Shanghai in questo senso sono state già espresse durante il summit-2014 di Dushanbe, in Tagikistan. L’effettiva capacità delle Forze di Sicurezza Nazionali Afghane (Afghan National Security Forces – ANSF) di controbattere la guerriglia talebana appare, in effetti, piuttosto questionabile, mentre l’obiettivo dell’amministrazione Obama, nonostante alcune fasi di rallentamento, rimane quello del progressivo ritiro delle truppe prima della scadenza del suo mandato presidenziale. Il vuoto creato dal ritiro delle forza ISAF rischia di lasciare un Paese tutt’altro che pacificato in un contesto regionale in continua evoluzione. Nonostante le dirette conseguenze del “dilemma afghano” sulla sicurezza degli Stati che fanno parte del SCO, i risultati dei tentativi multilaterali volti a stabilizzare la situazione sono stati finora deboli e incostanti. Nel 2005 fu creato, ad esempio, il Gruppo di Contatto SCO-Afghanistan con lo scopo di favorire la cooperazione e il dialogo tra le autorità di Kabul e i membri dell’organizzazione. Se da una parte questo forum ha permesso una crescente collaborazione in materia militare e d’intelligence, favorendo l’inclusione dell’Afghanistan tra gli osservatori del SCO (2012), il ruolo pratico della Shanghai Cooperation Organization è rimasto piuttosto limitato. La divergenza di interessi tra Mosca e Pechino e la loro parallela cautela strategica hanno, infatti, impedito un coinvolgimento multilaterale diretto, favorendo un approccio su base prevalentemente bilaterale. La Cina, all’ombra dell’impegno occidentale, ha visto crescere la propria influenza economica con una serie di importanti concessioni nel settore minerario e infrastrutturale, promuovendo parallelamente un flebile dialogo tra Kabul e i Talebani. La Russia, che dal 2001 ha perso gran parte delle sue capacità di influenza sui processi interni all’Afghanistan, rimane un attore economico marginale nel Paese. La crescente influenza cinese nel SCO e nella regione centro-asiatica ha, però, reso preferibile per il Cremlino l’utilizzo di strumenti multilaterali alternativi come l’Organizzazione del Trattato di sicurezza collettiva (Collective Security Treaty Organization – CSTO). Il CSTO, che comprende gli stessi membri dell’organizzazione di Shanghai tranne la Cina e Uzbekistan (con in più l’Armenia), ha in effetti non solo maggiori capacità militari grazie al contingente delle Forze collettive di reazione rapida (Collective Rapid Reaction Force – CRRF), ma rappresenta anche uno strumento politicamente più flessibile e meno vincolante per Mosca.

La crescente rivalità in Afghanistan tra India e Pakistan, accresciuta dalla recente politica di avvicinamento del Presidente Ashraf Ghani verso Islamabad, non fa altro che complicare il quadro generale [14]. Nonostante l’SCO abbia favorito la creazione di canali di comunicazione e il consolidamento dei rapporti politici tra l’Afghanistan e le altre potenze regionali, sembrano ancora mancare strumenti politico-militari per assumere un ruolo chiave nel quadrante più caldo della regione. Un ruolo più attivo nel prossimo futuro potrebbe essere giocato dal punto di vista economico, attraverso una serie di iniziative capaci di favorire la ripresa economica e la ricostruzione dell’Afghanistan. Anche in questo caso, però, sarà necessario superare i numerosi contrasti che ancora persistono in seno all’organizzazione. La creazione di coerenti meccanismi istituzionali e la costituzione della Banca per lo Sviluppo potrebbero, e dovrebbero, essere il primo tentativo in tal senso. In ultimo, un ruolo determinante sarà giocato dalla posizione del Pakistan all’interno dell’organizzazione. Se Russia, Cina e, in misura minore l’India, riusciranno nell’arduo compito di persuadere Islamabad a porsi come attore di mediazione tra i Talebani ed il governo di Kabul, il gruppo di Shanghai potrebbe ritagliarsi in Afghanistan il ruolo al quale ambisce da anni. 

* Oleksiy Bondarenko è OPI Research Fellow e Head area Russia e Asia Centrale

Riferimenti

M. Fredholm, & B.N. Schlyter, The Shanghai Cooperation Organization and Eurasian geopolitics: New directions, perspectives, and challenges, Copenhagen: NIAS Press, 2013

[1] Convenzione sulla Lotta contro il Terrorismo, il Separatismo e l’Estremismo

[2] The Executive Committee of the Regional Counter-Terrorism Structure

[3] D. Gorenburg, External Support for Central Asian Military and Security Forces, SIPRI Working Paper, January 2014

[4] N. Popescu, Eurasian Union: the real, the imaginary and the likely, EU Institute for Security Studies, Chaillot Papers, September 2014

[5] A. Gabuev, Taming the Dragon – How Can Russia Benefit from China’s Financial Ambitions in the SCO?, Russia in Global Affairs, N°1 2015

[6] Resoconto dell’incontro tra Vladimir Putin e Xi Jinping disponibile sul sito ufficiale del Presidente della Federazione Russa

[7] Lu Hui, Future development blueprint to lift SCO cooperation to new high, 11th July 2015

[8] R. Weitz, The Shanghai Cooperation Organization’s Growing Pains, 18th  September 2015

[9] W. Piekos, E. C. Economy, The Risks and Rewards of SCO Expansion, Council on foreign Relations, 8th July 2015

[10] M. Daim Fazil, The China-Pakistan Economic Corridor: Potential and Vulnerabilities, 29th May 2015

[11] P. Sahoo & A. Bhunia, BCIM Corridor a game changer for South Asian trade, EastAsiaForum, 18th July 2014

[12] F. Tolipov, Uzbekistan concerned over SCO expansion, Central Asia – Caucasus Institute, 5th August 2015

[13] Strategia per lo Sviluppo del SCO verso il 2025 – Draft

[14] S. Ramachandran, Pakistan and Afghanistan-India Cooperation, Central Asia – Caucasus Institute, 13 May 2015

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