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Sherlock Holmes: da Arthur Conan Doyle a Basil Rathbone

Creato il 19 maggio 2013 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali

Holmes_colour_1904di Michele Marsonet. I meccanismi che portano a identificare in modo assoluto un attore con un personaggio della letteratura sono piuttosto misteriosi. O, almeno, tali sono per me, a dispetto di molti e ponderosi saggi scritti sul tema dagli specialisti. Voglio dire che, spesso, l’identificazione è così totale da causare il rifiuto quando il volto del personaggio letterario si trasforma assumendo le sembianze di un altro attore, per quanto celebre sia.

Potrei citare molti esempi. Con tutto il rispetto per il grande Jean Gabin, non lo “vedo” come un plausibile commissario Maigret. Per quanto mi riguarda il poliziotto di Simenon deve avere il viso di Gino Cervi, i suoi baffi, il suo modo di fumare la pipa. Gli altri non sono semplicemente credibili, punto e basta. Lo stesso vale per l’abbinamento tra 007 e Sean Connery. Roger Moore non mi ha mai convinto, e tanto meno i successori.

Se dovessi tuttavia citare il caso più emblematico non avrei dubbi di sorta. Essendo da sempre un lettore appassionato di Arthur Conan Doyle, non riesco a pensare uno Sherlock Holmes diverso da Basil Rathbone, né un Dottor Watson che non abbia i tratti di Nigel Bruce.

Sarebbe interessante appurare fino a che punto tali preferenze siano del tutto personali, dovute – forse – al fatto di aver visto Rathbone (ma anche Cervi o Connery) in azione in un certo periodo della mia vita, lasciando nella mente un marchio che risulta non cancellabile. Se è così altre persone hanno ogni diritto di non concordare rispondendo che, a loro avviso, il rapporto d’identificazione nominato all’inizio assume altre forme.

Credo non vi siano metodi “scientifici” in grado di stabilire chi ha ragione e chi torto. Per quanto filosofi come Quine e soprattutto Davidson insistano sulla dimensione intersoggettiva della comunicazione, la mente di ciascun individuo resta in certa misura impermeabile alle influenze esterne. Nella mia, nessuno riuscirà mai a introdurre l’idea che Sherlock Holmes possa avere un aspetto fisico diverso.

So bene che, nel caso di Sir Basil Rathbone e della sua degnissima spalla Nigel Bruce, non sono il primo né il solo a dirlo. La loro bravura nel vestire i panni dei personaggi interpretati, rendendoli per così dire “reali” a tutti gli effetti, è leggendaria. Ne è prova il fatto che quasi sempre Holmes ha le sembianze di Rathbone nei saggi dedicati al detective creato da Conan Doyle.

Credo però che in simili frangenti conti molto la capacità di calarsi non solo nei panni del personaggio, ma anche nell’atmosfera e nell’ambiente in cui egli si muove nei romanzi o racconti di cui è protagonista.

In questo senso la serie di celebri episodi filmati in bianco e nero tra il 1939 e il 1946 da Roy William Neill restano esempi pressoché insuperabili di ricostruzione di atmosfere. Che si tratti di Londra o di una capatina in Scozia, vediamo Holmes e Bruce muoversi in ambienti che più britannici di così non potrebbero essere. A volte lo sono sin troppo, inducendo il sospetto che un’Inghilterra e una Scozia di quel tipo non siano mai davvero esistite.

E poco conta rilevare le discrepanze temporali tra i film e i racconti dello scrittore. In qualche caso compaiono automobili mentre Conan Doyle parla di carrozze. In altri il detective entra in campo per combattere gli agenti segreti di Hitler, pegno doveroso alla lotta – inizialmente pressoché solitaria – della Gran Bretagna contro il nazismo.

Dettagli in fondo irrilevanti. Ciò che conta è aver dato carne e sangue a figure che i filosofi analitici definiscono “fittizie” poiché la loro esistenza si esaurisce nelle pagine di alcuni libri. Fittizie come Pegaso e le creature di fantasia della mitologia, greca o di qualsiasi altra cultura.

Ed è proprio qui che i rapporti tra cinema e filosofia si dimostrano quanto mai fecondi. Chi scrive non è mai riuscito a negare a cuor leggero l’esistenza del cavallo alato visto che, quando sente pronunciare il nome “Pegaso”, assiste all’immediata formazione di un’immagine nettissima nella propria mente.

Lo stesso vale per Sherlock Holmes. So che nel mondo “reale” non ha mai trovato posto, ma abbiamo il diritto di negarne l’esistenza quando lo vediamo all’opera nella serie di Roy William Neill, alla quale ripensiamo ogni volta che si parla del personaggio di Conan Doyle?

Cos’è, allora, il mondo “reale”? Solo la serie di oggetti fisici che sperimentiamo nella vita quotidiana, oppure anche i cosiddetti caratteri fittizi che popolano film e romanzi? La mia opinione – contestabile finché si vuole – è che Sir Basil Rathbone (deceduto nel 1967) sia stato parte in passato del mondo. Ma ne fa parte, sia pure a titolo diverso, anche lo Sherlock Holmes che ha il suo volto. A quest’ultimo non possiamo attribuire una data di morte e tale fatto, in un certo senso, lo rende superiore all’uomo in carne e ossa che ne ha assunto le vesti nei film.

Featured image, un ritratto di Sherlock Holmes di Sidney Paget (1904).

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