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Shutter Island di Martin Scorsese

Creato il 22 settembre 2012 da Spaceoddity
Shutter Island di Martin ScorseseShutter Island (2010) di Martin Scorsese è uno dei molti film-labirinto che hanno popolato le sale cinematografiche degli ultimi anni. A cavallo tra il giallo psicologico e il thriller, in realtà si può squadernare l'intero elenco di tipologie cinematografiche senza riuscire a posizionare con certezza simili produzioni claustrofobiche. Eppure film come questo sono riconoscibilissimi e rientrano in una famiglia talmente organica che la tendenza ha preso il posto del genere, con tutto ciò che ne consegue in termini di originalità, o meno, della trama. La fetta di mercato, se guardiamo al pubblico, è ampia e ben selezionata; la si attira facilmente con una fotografia studiata ad hoc e una trama che tiene, ma lascia buona parte del suo sviluppo alla facoltà immaginifica dello spettatore.
Shutter Island chiede la collaborazione (per non dire la complicità) del suo pubblico, perfettamente padrone di una una storia affetta e insieme impreziosità dal suo essere prevedibile, né comprensibile fino in fondo, la narrativa tradizionalissima del cane che si morde la coda. Il cane in questione è Teddy Daniels (Leonardo DiCaprio), agente federale degli U.S.A., in missione - nel 1954 - su un'isola consacrata alla psichiatria criminale. L'uomo, reduce da una vita familiare e personale disastrosa, viene affiancato da Chuck Aule (Mark Ruffalo), misterioso secondo sempre presente al suo fianco. Insieme, conosceranno il Dr. Cawley (Ben Kingsley), luminare della psichiatria, e il Dr. Nähring (Max von Sydow), il direttore della clinica; e, con loro, (in un'atmosfera non dissimile, a tratti, da quella che si vive ne Il sospetto di Dürrenmatt) uno staff dedito ad attività che non si capisce se siano punitive, detentive o soltanto - come si pretende - sanitarie. Su quest'ultima ipotesi, d'altra parte, pesa la minaccia sempre incombente di una lobotomia per i pazienti meno trattabili e lo stesso Teddy, onesto e rigoroso a oltranza, si troverà inghiottito in un vortice il cui motore è il valore predittivo di ciò che accadrà già nelle prime battute.
Shutter Island non è film che possa sorprendere: come in un dramma psicologico, tutto rientra facilmente nella trama, dal tratteggio dei personaggi agli eventi, nonché all'incastro di reale e immaginario - nel senso di "immaginato", trasformato in immagine - che ne è l'ossatura. Bisogna dire a suo merito, che, pur contribuendo a delimitare il labirinto emotivo ed esistenziale di questa storia, la fotografia rende giustizia al film. Si tratta di un'eleganza patinata, che ignora forse il tocco essenziale e sobrio di altri registi, per prediligere filtri prevalentemente monocromatici o dai forti contrasti, per accentuare la drammaticità degli eventi narrati. Lo stesso si può dire della musica, che sviluppa in forma "sinfonica" i diversi motivi del disagio psichiatrico che si respira nell'isola in un crescendo che non lascia fuori nessuno tra i luoghi comuni di questi ultimi anni (a partire dall'ineluttabile riferimento ai Lager nazisti e all'incontro eroico tra americani e tedeschi nel secondo dopoguerra).
Alle volte, ho l'impressione che gli statunitensi - e tutta l'intelligentsjia ebraica che sta dietro la macchina del cinema - siano vittime di una ferita da cui non riescono a liberarsi, con l'esito di non sapere raccontare altro. Shutter Island di Martin ScorseseA onor del vero, ciò rientra tematicamente nel film, quando Nähring riporta l'etimologia del tedesco Traum (sogno) al greco (e italiano) trauma. Bisogna poter rinunciare a una narrativa per fare storia, altrimenti ci si avvita nell'ossessione psicanalitica (esplicita o implicita) che permea moltissimi film d'oltreoceano. Ora, io credo a Shutter Island, come a molti film realizzati a mosaico di tessere per lo più impressionistiche, manchi proprio la volontà di farsi storia (anche così, con la minuscola) e ciò me li rende tutto sommato alieni (con buona pace di alcune ambizioni cerebrali importanti).

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