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Si è suicidata sabato Fakhra Younas, la donna da “Il volto cancellato”

Creato il 24 marzo 2012 da Mondoinformazione @matteopartenope

Era diventata la paladina dei diritti femminili in Medio Oriente, ma le ferite, soprattutto psicologiche, inflitte dal marito l’hanno portata al suicidio. E’ morta sabato Fakhra Younas, dopo tre tentativi di suicidio falliti.

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Aveva deciso di ribellarsi alle continue violenze del marito così, ad appena vent’anni, Fakhra Younas aveva chiesto il divorzio. Il marito, figlio di un influente uomo politico pakistano, le aveva versato sul viso dell’acido, sfigurandola completamente.

Si era trasferita a Roma nel 2001, insieme al figlio Nauman, oggi diciassettenne e si era sottoposta a 39 interventi di chirurgia plastica, nel tentativo di ritrovare nello specchio il sorriso e i lineamenti di un tempo. Il suo volto non era tornato più lo stesso e, a differenza delle ferite fisiche, una simile cicatrice psicologica non guarisce mai: aveva già tentato tre volte il suicidio, con un mix di droghe e alcol, ma i medici erano sempre riusciti a salvarla.Nel 2005, insieme a Elena Doni, aveva voluto descrivere la sua vicenda in un libro, “Il volto cancellato”, tradotto in moltissime lingue. Subito dopo l’uscita del libro sembrava aver trovato un po’ di serenità, ma la realtà è che ha sempre oscillato tra periodi di serenità e altri di profonda depressione.

Una depressione che l’hanno spinta, alle 11.30 di sabato scorso, a quel salto dal sesto piano di una palazzina di Tor Pagnotta, alla periferia di Roma, che le ha portato via, oltre che la vita, tutta la tristezza e le preoccupazioni.
Il professor Valerio Cervelli, il luminare di chirurgia plastica che ha eseguito tutti gli interventi, ha ammesso di aver pianto alla notizia del suicidio di Fakhra: «L’ho sentita per l’ultima volta due settimane fa e fisicamente stava bene, ma a volte le ferite interiori sono molto più difficili da curare e penso siano queste ad averla spinta a questo gesto». Negli ultimi mesi, la sua depressione si faceva sentire, fino a portarla a non presentarsi gli appuntamenti. Come ci racconta una delle operatrici sociali che l’hanno assistita per tutto il periodo in cui è vissuta a Roma, «Non doveva mai essere lasciata sola; Per questo, quando la trasferirono nell’appartamento del residence di Tor Pagnotta, dove avrebbe dovuto essere autonoma, eravamo preoccupate. Senza una continua assistenza si sentiva abbandonata».

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