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Si fa sul serio

Creato il 19 settembre 2014 da Propostalavoro @propostalavoro

Si fa sul serioForse spinto dai richiami dell'Europa, forse spaventato dai dati economici, che dipingono una realtà sempre più nera, sembra che, finalmente, il Governo Renzi si sia deciso a mettere mano alla seconda parte del Jobs Act, promessa mesi fa, rimandata a data da destinarsi e ora, tutto d'un tratto, pronta ad entrare nel vivo dei lavori parlamentari.

E' di questi giorni, infatti, la notizia che l'Esecutivo ha presentato un paio di emendamenti che confluiranno nella legge delega, ovvero nel progetto di legge sulla riforma renziana, che spetterà al Parlamento completare, con tempi e modalità, però, ancora sconosciuti. Novità in arrivo, quindi, sul fronte del mondo del lavoro, chiamato a subire l'ennesima trasformazione.

Non una buona notizia, in realtà, perchè – l'abbiamo ripetuto mille volte sul nostro blog e mille altre lo ripeteremo – l'occupazione non si crea per decreto legge. Una nuova legge sul lavoro è totalmente inutile, se non è supportata da radicali riforme strutturali, in più campi – formazione, infrastrutture, innovazione, razionalizzazione della spesa pubblica, burocrazia, ecc. – , in cui l'Italia, ormai da anni, segna il passo.

Da quell'orecchio, però, la politica non vuole sentirci e preferisce andare per la sua strada. Ecco, quindi, il nuovo contratto a tutele crescenti, che dovrebbe – per lo meno, questo è un aspetto positivo – far piazza pulita della miriade di contratti e contrattini vari che, ad oggi, sono tra le cause del precariato.

L'obiettivo è il superamento dell'odiatissimo (e non si capisce il perchè) Articolo 18, che non sarà applicabile per i nuovi assunti: durante i primi tempi di vita aziendale, infatti, il lavoratore si ritroverà la spada di Damocle del licenziamento sulla testa, non essendo prevista alcuna tutela.

Solo con il passare del tempo (quanto ancora non si sa: il Governo non è stato chiaro), il dipendente vedrà crescere le tutele del proprio contratto, fino ad assumere la forma di tempo indeterminato. Insomma, con il crescere dell'anzianità aziendale, crescerà anche la stabilità del posto di lavoro.

Messa così, l'opzione sembra allettante, ma ha una falla non da poco: quanto sarà lungo il periodo senza tutele? Sei mesi, un anno o tre anni? E ci saranno delle norme, che imporranno all'azienda di assumere il dipendente, un volta scaduto il termine, o verrà lasciata libertà di manovra?

Quesiti non da poco, perchè se non ci saranno i dovuti paletti, il nuovo contratto renziano sarà, nè più nè meno, l'ennesimo contratto precario, il cui unico pregio sarà quello di aver semplificato la giungla contrattuale.

Purtroppo, dato il liberismo dimostrato, fino ad oggi, dal Premier e dal Parlamento stesso (non dimentichiamo che, tra i protagonisti della politica, si contano, ancora, gli stessi personaggi che hanno votato le precarizzanti Legge Biagi e Riforma Fornero), non siamo molto ottimisti e restiamo con il timore che ad essere a tempo indeterminato sarà, proprio, il precariato.

A rafforzare questi timori, ci pensa, poi, lo stesso Renzi, con l'introduzione di un'altra novità, finora mai messa sul piatto della riforma, ovvero l'abolizione del divieto di demansionamento. Di cosa si tratta?

Semplice, chi viene assunto ha, spesso, la possibilità di fare carriera, all'interno della propria azienda: avanzamenti, aumenti di stipendio, scatti di anzianità, ecc. Insomma, c'è la possibilità di migliorare la prorpia posizione lavorativa, senza il timore di essere demansionati, ovvero declassati ad un livello contrattuale inferiore, cosa vietata dall'ordinamento italiano.

Con la proposta renziana, invece, questo divieto decade, lasciando piena libertà alle aziende di decidere il posizionamento contrattuale dei suoi assunti, indipendentemente da anzianità di servizio, qualifiche, capacità e livello salariale. 

Una formidabile arma di ricatto: la liberalizzazione del posto di lavoro è totale. Ora, finalmente, si potrà parlare di superamento del dualismo precari-tutelati, perchè nessuno potrà contare più su alcuna garanzia.

Una svolta del genere, mai prospettata prima dal rottamatore, ha provocato, naturalmente, non pochi malumori: Movimento 5 Stelle e SEL hanno abbandonato l'aula della Commissione Lavoro, in segno di protesta; molti esponenti di spicco dello stesso Pd si sono detti esterrefatti delle decisioni del Governo, definendole "surreali" e lontanissime dalle buone intenzioni e dai proclami dei mesi scorsi. Silenzio, invece, dai banchi del Centrodestra, mentre i sindacati, dal canto loro, preannunciano guerra.

Dove vuole arrivare Renzi? Davvero, il suo obiettivo è la piena e completa distruzione delle tutele e delle garanzie? Non serve un genio, per capire che i costi, a livello sociale, saranno altissimi e solo un ingenuo può pensare che le aziende, forti di una posizione dominante, non utilizzeranno i nuovi strumenti, per piegare i dipendenti ai propri diktat.

Se, già oggi, milioni di precari faticano a tirare a fine mese, figuriamoci cosa accadrà se sarà l'intera classe lavorativa ad essere precarizzata. Basta dare un'occhiata a quei Paesi dove il lavoro non ha basi di tutela: salari al limite o al si sotto della povertà, squilibri enormi nella distribuzione della ricchezza, instabilità sociale.

L'autunno caldo del lavoro è iniziato.

Danilo


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