Magazine Opinioni

Si riaccendono le tensioni nel Caucaso

Creato il 22 ottobre 2012 da Bloglobal @bloglobal_opi

di Maria Serra

Si riaccendono le tensioni nel Caucaso
Non vogliamo la guerra, ma se dovremo farla, combatteremo e vinceremo. Non abbiamo paura degli assassini, anche se godono della protezione del Capo di Stato”: queste le parole del Presidente armeno Serzh Sargsyan il 31 agosto, all’indomani dell’estradizione da parte del governo ungherese del soldato azero, Ramil Safarov, colpevole di aver ucciso nel 2004 l’ufficiale armeno Gurghen Margajan durante un periodo di aggiornamento organizzato nella base NATO di Budapest nel quadro del programma “Partnership for Peace”. Condannato nel 2006 all’ergastolo senza la possibilità di domandare alcun tipo di riduzione della pena, Safarov, appena rientrato in patria, si è visto riconosciuta da parte del Presidente Ilham Aliyev la concessione della grazia, oltre che il conferimento di onorificenze e riconoscimenti. L’Armenia non ha tardato a far sentire la propria voce: non solo nei giorni precedenti l’estradizione erano state organizzate diverse manifestazioni di dissenso di fronte all’Ambasciata ungherese di Yerevan, ma il governo ha immediatamente interrotto le relazioni diplomatiche con Budapest.

Dietro l’estradizione del soldato azero ci sarebbe il sospetto di un possibile scambio di favori politici: secondo alcuni giornali finanziari ungheresi, e come riportato anche dalla BBC, dopo una lunga serie di colloqui tra Aliyev e Orban, il governo di Baku avrebbe promesso l’acquisto di titoli sovrani ungheresi per un ammontare di 3 miliardi di euro, dimezzando così il debito di Budapest, il quale in questa fase di recessione economica si trova ancora in trattative non solo con Europa e Fondo Monetario Internazionale, ma anche con Cina, Arabia Saudita e, appunto, Azerbaijan. A rafforzare i dubbi sullo scambio di favori sarebbe anche la decisione magiara di far passare la pipeline Nabucco attraverso il proprio territorio dopo che la compagnia petrolifera azera Socar aveva dichiarato la propria partecipazione al medesimo progetto per il trasporto di gas dai giacimenti di Shah Deniz verso l’Europa.

Si riaccendono le tensioni nel Caucaso
Il “caso Safarov” è ad ogni modo l’ultimo di una lunga serie di fatti verificatisi negli ultimi mesi e che affondano le proprie radici in antichi dissapori, certamente mai sopiti, tra i due Stati caucasici dell’ex blocco comunista. Da decenni, infatti, tra Armenia e Azerbaijan si consuma una contesa senza sosta riguardante principalmente la regione del Nagorno Karabakh: dal 1923, anno in cui per decisione personale di Stalin la regione in questione venne ceduta alla Repubblica Socialista sovietica azera in funzione di avvicinamento dell’URSS alla neonata Repubblica turca kemalista, i contrasti si sono intensificati fino a sfociare nel gennaio del 1992, e in concomitanza del tramonto dell’Unione Sovietica, in un vero e proprio conflitto armato all’indomani dell’autoproclamazione di indipendenza da parte della piccola regione contesa. Da allora sono morte più di 30 mila persone, sono stati stimati più di un milione di sfollati e sono stati calcolati più di un miliardo di dollari di danni alle rispettive economie. Nonostante il cessate il fuoco stabilito con gli Accordi di Bishkek (Kirghizistan) del maggio 1994 tra le parti in causa con la mediazione della Federazione russa, per tutti gli anni Novanta (si pensi ai combattimenti nella provincia del Martakert o nel Distretto di Füzuli) si sono susseguiti episodi di violenza e incidenti più o meno violenti di confine che continuano ancora oggi: ad esempio l’abbattimento di un drone azero che sorvolava il territorio del Nagorno Karabakh nel settembre 2011; l’uccisione di soldati lungo le linee di confine del medesimo territorio, ma non solo – nella regione di Tavush –, tra la fine del 2011 e l’inizio di quest’anno; gli svariati tentativi di incursione azera della scorsa estate, specialmente in concomitanza delle elezioni dell’enclave dello scorso 19 luglio (che hanno visto la riconferma di Bako Sahakian, di cui nessuno riconosce la legittimità), che hanno provocato la morte di diversi soldati. Una guerra a bassa intensità, insomma, che neanche i più recenti processi di pace sono riusciti a placare. Tra questi vale la pena di ricordare l’attività del Gruppo di Minsk (struttura creata nel 1992 e co-presieduta da Stati Uniti, Russia e Francia) da cui hanno tratto origine il documento OSCE del 2007, noto come i “Principi di Madrid” – rivisto successivamente nel 2009 dopo l’ennesimo fallimento dei negoziati di San Pietroburgo dell’anno prima – e l’Accordo di Maiendorf del novembre 2008 concluso dai Presidenti delle due nazioni sotto l’egida della Russia di Dmitrij Medvedev.

L’atteggiamento di Baku ha scosso non poco l’opinione pubblica: oltre al Segretario Generale della NATO Anders Fogh Rasmussen, il quale ha accusato l’Azerbaijan di minare i tentativi di risolvere pacificamente la questione del Nagorno Karabakh, per la quale le uniche strade da seguire sono quelle del dialogo e della cooperazione, anche il Presidente del Parlamento Europeo Martin Schulz si è detto preoccupato dalla decisione del governo azero di concedere la grazia, commentando come “la Convenzione sul trasferimento delle persone condannate (adottata a Strasburgo il 21 marzo 1983) – che il Vice Ministro azero Vilayat Zahirov aveva dichiarato di rispettare con riferimento soprattutto all’art.9 [1] – non dovrebbe essere sfruttata per fini politici”. Così anche il capo della diplomazia europea, Catherine Ashton e il Commissario europeo per l’Allargamento e la Politica di Vicinato, Štefan Füle, hanno dichiarato di essere molto preoccupati per l’accaduto e di non voler perdere di vista la situazione nel Caucaso Meridionale (per il quale dall’agosto del 2011 è stato istituito un Rappresentante Speciale, Philippe Lefort), anche alla luce del fatto che entrambi i Paesi costituiscono un elemento chiave per il successo del Partenariato Orientale dell’UE lanciato nel 2009 (si tenga presente, infatti, che dallo scorso febbraio sono iniziati con l’Armenia i negoziati per la realizzazione di un’area di libero scambio al fine di svilupparne la crescita e gli investimenti). Nonostante ciò, alcune ONG, tra cui Eufoa (European Friends of Armenia) hanno dichiarato che le forze politiche europee non stanno dando la giusta importanza alla situazione, minimizzando in particolar modo la condizione degli Armeni, le cui ferite si riaprono ogni qualvolta atti di questo tipo non vengono puniti. La mancanza di una decisa presa di posizione in merito da parte dell’UE, infine, sarebbe dovuta alle necessità di sicurezza degli approvvigionamenti energetici dal momento che l’Azerbaijan costituisce un attore essenziale per lo sviluppo del cosiddetto “Corridoio Sud”.

Stati Uniti e Russia dal canto loro intendono continuare a monitorare la situazione, nel tentativo di proteggere le relazioni economiche e gli interessi strategici nell’area. In questo contesto non si deve dimenticare il ruolo delle potenze regionali, Turchia ed Iran, le quali sono sensibili tanto alla possibilità di continuare ad esercitare la propria influenza in quest’area nevralgica tanto all’approvvigionamento energetico.

Proprio l’esportazione di petrolio e gas di cui l’Azerbaijan è ricco, è moneta di scambio per l’acquisto da parte di Baku di grossi quantitativi di armi dai players regionali, ad iniziare da Russia (dalla quale dipende il 55% delle importazioni militari), Turchia e, ultimamente Israele, con cui il Paese caucasico nel marzo 2012 ha firmato un accordo militare dal valore di 1,6 miliardi di dollari che prevede l’acquisto di missili anticarro Spike, mortai 120 mm Cardom, una dozzina di droni e missili terra-aria, nonché il sistema di difesa Barak-8. A queste vanno aggiunte la importazioni che provengono da Pakistan, Sudafrica e, in maniera saltuaria, da Germania, Repubblica Ceca e Polonia, nonostante l’embargo istituito dall’OSCE nel 1992 che dovrebbe impedire la vendita di armi a soggetti direttamente coinvolti nel conflitto del Nagorno Karabakh. Se dunque l’Armenia può altrettanto contare su un consistente supporto militare russo (circa il 96% delle importazioni di armi) grazie anche all’intesa del 2010 che prevede un rafforzamento delle presenza militare di Mosca nel Paese (più precisamente nella base di Gyumri, lungo il confine con la Turchia), l’Azerbaijan potrà nei prossimi anni usufruire di un equipaggiamento militare “di tutto rispetto” che a Baku farebbe comodo sia per parare i contrasti con la vicina Armenia, sia per proteggere i propri confini con l’Iran: infatti, nonostante dal maggio 2011 l’Azerbaijan sia diventato a pieno titolo membro del Movimento dei Paesi non Allineati, negli ultimi mesi i rapporti con Teheran si sono notevolmente raffreddati a causa non solo dell’appoggio che Baku avrebbe fornito a Tel Aviv per condurre azioni di intelligence nel territorio iraniano (come ad esempio l’assassinio di alcuni esperti nucleari iraniani), ma a causa anche degli accordi energetici che la Repubblica Islamica ha concluso con l’Armenia. Nello scorso mese di aprile, di fatti, si sono svolte esercitazioni militari azere nel Caspio – il cui status giuridico resta ancora problematico – con lo scopo di simulare la protezione degli impianti e delle infrastrutture petrolifere. La corsa al riarmo azero, secondo alcuni analisti, sarebbe spiegata dalla riduzione nei prossimi anni di potere contrattuale a livello internazionale da parte di Baku a causa del raggiungimento tra il 2012 e il 2014 del cosiddetto “oil peak”, che renderebbe necessario accelerare il conflitto con l’Armenia per mantenere le attuali performances economiche.

Malgrado ciò, il caso Safarov potrebbe aver creato anche una buona occasione per il riconoscimento dell’indipendenza del Nagorno Karabakh: il Parlamento armeno ha presentato lo scorso 3 settembre un disegno di legge in merito, sebbene non sia stata ancora stabilita una data per il voto. Per vedere qualcosa di più concreto in questo senso, tuttavia, si dovranno aspettare presumibilmente le elezioni presidenziali che si svolgeranno nel febbraio 2013. Un’occasione, dunque, che non dovrebbe essere persa, anche perché la grazia concessa a Safarov potrebbe costituire un pericolo precedente e destabilizzare ulteriormente una regione chiave per gli equilibri tra Occidente ed Oriente.

* Maria Serra è Dottoressa in Scienze Internazionali (Università di Siena)

[1] L’articolo in questione statuisce che: “Le autorità competenti dello Stato di esecuzione devono: continuare l’esecuzione della condanna immediatamente o sulla base di una decisione giudiziaria o amministrativa, alle condizioni previste dall’articolo 10; o convertire, per mezzo di una procedura giudiziaria o amministrativa, la condanna in una decisione di detto Stato, sostituendo in tal modo la pena inflitta nello Stato di condanna con una sanzione prevista dalla legge dello Stato di esecuzione per lo stesso reato, alle condizioni previste all’articolo 11. Lo Stato di esecuzione deve, se richiesto, indicare allo Stato di condanna, prima del trasferimento della persona condannata, quale delle procedure intende seguire. L’esecuzione della condanna è regolata dalla legge dello Stato di esecuzione e questo Stato è l’unico competente a prendere ogni decisione al riguardo”. Resta tuttavia vero che l’art.12 prevede che “Ciascuna Parte può accordare la grazia, l’amnistia o la commutazione della condanna conformemente alla propria Costituzione o ad altre leggi”. 


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :