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Si riapre il ‘caso G2’

Creato il 25 novembre 2014 da Media Inaf
Immagine ad alta risoluzione di G2 ottenuta dallo strumento SINFONI installato al VLT dell'ESO. La parte in rosso della nube si sta avvicinando al buco nero supermassiccio (la cui posizione è indicata dalla x) che si trova al centro della nostra Galassia. La porzione in blu ha invece già raggiunto e superato il punto di minimo avvicinamento  e si sta allontanando dal buco nero. La linea continua indica l'orbita della nube, quella tratteggiata l'orbita di S2, la stella di cui è meglio nota la dinamica in quella regione. Crediti: MPE

Immagine ad alta risoluzione di G2 ottenuta dallo strumento SINFONI installato al VLT dell’ESO. La parte in rosso della nube si sta avvicinando al buco nero supermassiccio (la cui posizione è indicata dalla x) che si trova al centro della nostra Galassia. La porzione in blu ha invece già raggiunto e superato il punto di minimo avvicinamento e si sta allontanando dal buco nero. La linea continua indica l’orbita della nube, quella tratteggiata l’orbita di S2, la stella di cui è meglio nota la dinamica nella regione inquadrata. Crediti: MPE

Potremmo tranquillamente ribattezzarlo il “caso G2”, in perfetto stile forense. Vari gruppi di ricerca stanno portando infatti da anni “prove” fatte di osservazioni, simulazioni al computer e deduzioni, per risolvere un enigma che infervora gli scienziati coinvolti nello studio della nostra Galassia. Ma andiamo per ordine, riassumendo gli “atti” finora raccolti. G2 è la sigla di un oggetto prossimo al buco nero al centro della Via Lattea, la cui stessa natura è assai dibattuta. E’ stato scoperto da un team di ricercatori del Max-Planck-Institut für Extraterrestrische Physik in Germania guidati da Stefan Gillessen nel 2011, che lo descrissero come una nube di gas (principalmente idrogeno ed elio), fredda e prossima al buco nero supermassiccio che risiede nel centro della nostra Galassia, ovvero Sagittarius A*. Così vicina da far ritenere loro che il suo destino fosse quello di precipitare in tempi brevi nello stesso buco nero.  Alcuni astronomi tuttavia non si sono mai mostrati convinti né dell’ipotesi dell’ingestione né che addirittura G2 fosse una nube di gas. Altre indagini, condotte questa volta con il telescopio Keck alle isole Hawaii sotto la guida di Andrea Ghez dell’UCLA, hanno portato appena qualche giorno fa ad un netto ribaltamento dello scenario. G2 sarebbe una stella di grande massa, frutto della recente fusione di un sistema binario, che nel passaggio ravvicinato con Sagittarius A* avrebbe perso solo una frazione del suo inviluppo esterno di gas e si sarebbe quindi mantenuta ancora intatta dopo il pericoloso fly-by del buco nero.

Tutto chiarito dunque? Neanche per idea. La prova d’appello che ‘riabilita’ G2 al rango di nube di gas è stata portata in queste ultime ore, e proprio dal team del Max Planck che la aveva scoperta tre anni fa, con un articolo accettato per la pubblicazione sulla rivista The Astrophysical Journal. I ricercatori hanno infatti studiato G2 nell’infrarosso con il telescopio VLT dell’ESO e lo strumento SINFONI, giungendo alla conclusione che la sua struttura e la sua traiettoria sono in accordo con quelle di una nube di gas che sta subendo un processo di distruzione mareale sotto l’intenso campo di attrazione gravitazionale esercitato da Sagittarius A*. Ma non è tutto. Il riesame accurato dei nuovi dati e di quelli già raccolti in passato su G2 rivela un’inaspettata conclusione. «Quasi dieci anni fa, sempre in prossimità del centro della Galassia, è stata osservata un’altra nube di gas, che ora abbiamo ribattezzato G1» sottolinea Stefan Gillessen. «Abbiamo indagato possibili relazioni tra questa e G2, scoprendo una incredibile somiglianza nelle loro orbite».

Gillessen si riferisce all’analisi fatta dal suo team in base a osservazioni compiute tra il 2004 e il 2008. Le informazioni hanno permesso dapprima di ricostruire l’orbita di G1, che è stata poi inserita, insieme a quella di G2, in un modello teorico che descrive l’evoluzione di queste strutture. Dalla simulazione è emerso che si tratterebbe di due nubi prodotte da un unico flusso di gas iniziale.

«Il buon accordo del modello con i dati rende plausibile l’idea che G1 e G2 siano due parti di uno stesso ammasso di gas» dice Gillessen. Questo materiale potrebbe essere stato espulso un centinaio d’anni fa da una delle stelle massicce del disco della Via Lattea  prossime al centro. Meno probabile, almeno a quanto indicano le osservazioni del VLT, che G2 sia una stella di grande massa, come ribadito da Ghez e collaboratori. Chi la spunterà? Difficile dirlo ora. Di sicuro però c’è che il “caso G2” è tutt’altro che archiviato.

Per saperne di più:

  • l’articolo The Galactic Center cloud G2 and its gas streamer di Oliver Pfuhl, Stefan Gillessen et al. accettato per la pubblicazione sulla rivista The Astrophysical Journal

Fonte: Media INAF | Scritto da Marco Galliani


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