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Siria, Egitto, Turchia: non sappiamo che fare?

Creato il 12 settembre 2013 da Exodus, Di Luca Lovisolo @LucaLovisolo
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Aleppo, bombardamentiDopo la caduta del Muro di Berlino e l’attentato alle Torri Gemelle, le «primavere arabe» sono un ulteriore banco di prova per il nuovo «ordine mondiale,» che si sta formando con molte incognite. Parlare di «ordine mondiale» mette sempre un po’ paura: chi comanderà, perché bisogna accettarlo e, se no, che si fa?

Il termine «primavere arabe» è nato con le rivoluzioni scoppiate in Tunisia, Egitto e Libia tra la fine del 2010 e i primi mesi del 2011. La Sira e la Turchia sono ai confini di questo scenario, ma sono salite nelle prime pagine della cronaca per le rivolte che le hanno scosse e che è impossibile non leggere nel contesto delle «primavere arabe.»

In Siria, la ribellione è degenerata in una sanguinosa guerra civile, che perdura e si aggrava; in Turchia, i moti si sono presentati sotto forma di sit-in cittadini che non sono riusciti a mutare nulla di sostanziale nelle sfere governative del Paese. L’Egitto è tornato d’attualità dopo il recente colpo di Stato che ha deposto il Presidente Mohammed Morsi, eletto dopo le rivolte che avevano causato la caduta del suo trentennale predecessore, Hosni Mubarak.

Noi occidentali, intendendo per «occidentali» l’Europa e gli Stati uniti d’America, di fronte a ciò che è accaduto in Turchia, in Egitto e sta accadendo in Siria, appare sempre più chiaro che non sappiamo che fare. Perché?

Allo sbocciare delle «primavere arabe,» noi, figli di una retorica che saluta con imprudente favore qualunque ribellione di popolo senza prima chiedersi come sia nata, ci siamo rallegrati che Tunisini, Libici ed Egiziani fossero riusciti a rovesciare i dittatori che li dominavano da decenni. Ci siamo chiesti come approfittare della situazione per riprendere in Africa l’influenza che avevamo avuto tra Ottocento e primo Novecento. Nel complesso, però, Europa e Stati uniti sembrano incapaci di agire con un progetto d’insieme, anzi, con un progetto e basta. Più passa il tempo, più l’incertezza cresce: qualche mese fa per i moti turchi, poi per il nuovo colpo di Stato egiziano e oggi per l’aggravarsi della crisi siriana, sembra che abbiamo perso la favella. Dichiarazioni contraddittorie, passi avanti e passi indietro, solenni minacce seguite da caute retromarce e prese di tempo.

Le spiegazioni di piccola portata non mancano: vi sono altri fattori però, questi sì di portata globale, che vengono meno ricordati, uno in particolare: il ritorno delle religioni fra i protagonisti delle relazioni internazionali, anche in forme violente, e la progressiva perdita di peso degli Stati come soggetti del concerto internazionale di fronte alle nuove dinamiche dell’economia e della comunicazione.

Dopo più di tre secoli e mezzo, dopo la Pace di Vestfalia (1648), durante i quali le relazioni fra gli Stati del mondo si sono basate quasi ininterrottamente su un gioco di reciproci equilibri di potenza, ecco risuscitare un soggetto che pensavamo definitivamente spinto ai margini: la religione. Un’entità che ragiona secondo logiche non razionali, non agisce all’interno delle frontiere nazionali e secondo principi di sovranità territoriale, per non parlare della rappresentatività e legittimità delle sue istituzioni.

Un fenomeno che non riguarda solo i Paesi arabi. Osservando le nostre società, non sfugge che anche in Europa la religione sta riconquistando spazi che non sempre le sono propri, favorita dalla debolezza dello Stato, che le chiede volentieri soccorso.

Di fronte alle incertezze dei più grandi attori delle relazioni internazionali, particolarmente degli Stati uniti, si resta meravigliati. Dietro queste incertezze vi è l’emergere di nuovi protagonisti delle relazioni globali, che non sempre si riconoscono nei valori di libertà, laicità e progresso che, pur imperfetti, garantiscono il nostro attuale benessere e stile di vita. Le loro reazioni non sono sempre calcolabili secondo logiche a noi familiari. Noi occidentali abbiamo combattuto nei secoli per liberare la società dalle superstizioni e per costruire i primi Stati di diritto della Storia. Ora dovremmo trovare le idee necessarie per impedire che i prossimi decenni di questa Storia avvengano senza di noi. Non possiamo neppure pensare che la difesa dei valori che abbiamo conquistato possa avvenire solo usando la forza.

| ©2013 >Luca Lovisolo

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