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Siria: nel ricorso di Obama al Congresso è in gioco l'equilibrio dei poteri Usa

Creato il 09 settembre 2013 da Pfg1971

Siria: nel ricorso di Obama al Congresso è in gioco l'equilibrio dei poteri Usa

Siria: nel ricorso di Obama al Congresso è in gioco l'equilibrio dei poteri Usa

Quando tutto sembrava pronto per l’attacco alla Siria e i missili Tomahawk erano già pronti al lancio dalle navi americane al largo delle coste mediorientali, Barack Obama ha deciso di tornare sui suoi passi e ha chiesto al Congresso di accordargli il proprio assenso per l’intervento militare contro Damasco.

 

La scelta del primo presidente afroamericano ha colpito molto l’opinione pubblica americana e mondiale.

 

Il 31 agosto, dal podio, posto nel Rose Garden della Casa Bianca, con a fianco il suo Vice Joe Biden, a significare l’unità di intenti della intera amministrazione, Obama ha sostenuto che malgrado avesse la piena autorità di decidere autonomamente se attaccare o meno la Siria, aveva deciso comunque di chiedere il nulla osta del Congresso.

 

Sorpresi dalla scelta, molti commentatori l’hanno interpretata come un escamotage per tirarsi fuori da una situazione imbarazzante, dovuta alla riluttanza di Obama a farsi coinvolgere in una nuova guerra in Medio Oriente.

 

In realtà il ricorso al Congresso da parte di Obama non deve essere considerato come un semplice stratagemma con cui condividere una responsabilità rilevante.

 

Per quale ragione il presidente avrebbe scelto di presentarsi di fronte ad un corpo legislativo che, in cinque anni di presidenza, eccetto alcune rare occasioni come la Riforma Sanitaria, non ha fatto altro bocciare le proposte  della sua Casa Bianca?

 

Perché accettare di sottoporsi ad un verdetto che, se negativo, potrebbe condizionare tutte le successive scelte di politica estera ed interna e trasformarlo anzitempo in un anatra zoppa, una “lame duck”?

 

Soprattutto in considerazione che alla Camera, la maggioranza repubblicana ha sempre condiviso l’opinione di Mitch McConnell, leader della minoranza al Senato, secondo cui Obama avrebbe dovuto limitarsi a essere un presidente da un solo mandato.

 

L’opzione tortuosa e rischiosa assunta dal presidente rientra a pieno titolo nel personaggio e va ben oltre la semplice contingenza politica del momento.

 

Non è nemmeno da attribuirsi ad un ulteriore cedimento, come altri suoi predecessori, da Bush sr. a Bill Clinton, a quella che qualcuno ha definito un’età di “Congressional Government”, un’epoca, come quella attuale, in cui la presidenza avrebbe perso gran parte del proprio potere, in favore del Congresso.

 

Un periodo analogo a quello descritto nell’omonimo libro da un giovane Woodrow Wilson, nel 1885, il quale, di fronte ad una lunga teoria di presidenti deboli, quali Ulysses S. Grant, Rutherford B. Hayes e Chester A. Arthur, lamentava che la Casa Bianca avesse smarrito la capacità di usare le proprie prerogative per farsele usurpare dal Congresso.

 

La scelta di Obama intende arrivare a toccare la reale sostanza dell’equilibrio dei poteri all’interno della democrazia americana.

 

Tutto si gioca sull’affermazione dello stesso presidente, nel suo ultimo discorso alla nazione del sabato, quando ha sostenuto che egli è il capo della più antica democrazia costituzionale del mondo.

 

L’essenza della decisione di Obama è tutta lì, in quella espressione, “democrazia costituzionale”.

 

Gli Usa rappresentano infatti il primo esempio, al mondo, di democrazia costituzionale, un regime politico in cui vige una stretta divisione ed equilibrio fra i poteri, secondo le classiche prescrizioni di teorici politici come Charles De Montesquieau.

 

In un sistema simile, ogni potere è chiamato a rispettare le prerogative degli altri, secondo quanto stabilito dalla Costituzione.

 

Proprio la legge fondamentale statunitense, all’art. 1, sezione 8, comma 11, recita che la prerogativa della dichiarazione di guerra non risiede nel presidente, ma nel Congresso.

 

In linea con tale articolo, il successivo War Powers Act, del 1973, votato in reazione al disastroso conflitto in Vietnam, afferma che, se il capo della Casa Bianca decidesse di impiegare truppe americane in combattimento, entro 48 ore, dovrebbe notificare la sia scelta al Congresso e se questo manifestasse disaccordo, il presidente dovrebbe ritirare le forze armate già utilizzate.

 

Con il suo discorso del 31 agosto, Obama non ha fatto altro che tornare all’essenza della Costituzione e all’equilibrio fra i poteri.

 

Una scelta, forse non compresa dai fanatici del Tea Party, tenaci difensori ad oltranza della carta fondamentale e che vorrebbe fare giustizia di tesi costituzionali aberranti come quella esposta da George W. Bush e Dick Cheney dell’”Unitary Executive”, per un abnorme incremento dei poteri della presidenza rispetto al Congresso.

 

Un passo indietro significativo dalla tradizionale “Presidenza Imperiale”, propria di tutti i presidenti del XX^ secolo e che un ex professore di diritto costituzionale come Barack Obama non poteva non fare propria.

Siria: nel ricorso di Obama al Congresso è in gioco l'equilibrio dei poteri Usa

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