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sit-com di coppia

Creato il 19 aprile 2011 da Duffy
Riflettendo sul fatto che, ultimamente, le serie tv sono più credibili e curate dei grandi film creati per il cinema, mi son detta: perché non parlare di sit-com?
Vivo in coppia da abbastanza tempo da conoscerne pregi e difetti, piccole follie e costanti battaglie. Se ci sono poche cose che ho imparato nella vita, una di queste sono tutte le possibili varianti del vivere con un uomo, il mio uomo.
E quando la sera a cena, gironzolando tra i canali dedicate ai telefilm della Fox, t’imbatti in alcune sit-com, ti rendi conto che c’è qualcuno al mondo che ti capisce.
Non ho mai trovato una serie, o anche film, di produzione italiana che centrassero così bene il problema. Inoltre gli americani hanno i tempi comici registrati sulla sit-com e, secondo me, spesso riescono a fare molto più lì, che non nelle grandi produzioni hollywoodiane.
Se in cartoni animati come i Simpsons trovate una versione gialla di un uomo un po’ troppo umano, e nei Griffin la versione estrema- ma non inverosimile- di un coglione da patente, i telefilm riescono molto meglio a sviscerare il tragicomico rapporto di coppia.
Certe volte ci stupiamo, io e il mio compagno, delle agghiaccianti verità messe alla berlina. Se siamo in rotta e la puntata tratta certe negligenze, ci tocca cambiar canale per non iniziare una questione, innescata da quella dei due protagonisti (sic!).
Le migliori sono Tutti amano Raymond e The King of Queens.
Nella cast della prima troviamo attori che da noi sono poco noti, al di fuori della stessa serie, tranne che per colui che interpretava il padre del protagonista, al secolo Peter Boyle: è stato il mostro in Frankestein Junior di Mel Brooks e ha avuto un parte anche in Taxi Driver( dicono la parte del “mago”, che sinceramente non ricordo).
Aldilà delle estremizzazioni, molto c’è di terribilmente vero: le lotte per non trovarsi tutto il parentado a casa, spesso condotte dalla sola moglie, con il protagonista Ray che si limita a darle un assenso passivo, sempre troppo vigliacco per affrontare l’incombente figura materna. Il fratello pieno di tic e affatto svezzato, che non sarà una figura comune in tutte le famiglie, ma non si ha difficoltà nell’immaginare reali le sue paranoie e azioni correlate.
Nell’altra troviamo un uomo che vive con la moglie e il suocero (interpretato dal padre di Ben Stiller, noto in America, sconosciuto da noi). Il protagonista, Doug, ha un lavoro che, come lui stesso dice, potrebbe fare anche una scimmia, e non ha nessuna aspirazione nella vita, se non quella di poltrire più tempo possibile.
E così non ha remore nel mentire, depistare e demolire ogni tentativo dell’aggressiva moglie, che cerca di fare alla coppia un salto di qualità.
Detta così la struttura di base appare come poca cosa.
Ma ogni puntata di entrambe le commedie sembra spiare nelle miserie semplici del vivere quotidiano.
In Italia si è avvicinata a un risultato altrettanto veritiero ed imbarazzante solo la serie Love Bugs con Emilio Solfrizzi e Giorgia Surina come protagonisti.
Ma la versione americana è migliore, anche perché lì non c’è la sindrome italiana, che si può definire anti-neorealismo, per cui ogni storia, nel cinema soprattutto, abbia come protagonisti benestanti, liberi professionisti, falsi poveri.
Il divano a casa della mamma di Ray Barone ha ancora la plastica per conservarlo, la cucina e la sala del protagonista sono l’esatto opposto di una pagina di Elle Decor, con i giochi e il cattivo gusto borghese a farla da protagonisti. Doug Heffernan è in sovrappeso e non sa vestire; la moglie, convinta di essere molto più elegante, ha, in realtà, uno stile mignottesco e grossolano.
In questi telefilm si parla di come evitare la cultura, l’impegno, grogiolarsi in una vita senza virtù né svolte soprendenti, per poi scoppiare in rari e veloci sprazzi d’orgoglio.
Nessuno legge, nessuno vorrebbe ascoltare, i parenti fanno schifo, gli amici rompono le palle, al marito puzzano i piedi e la moglie è sempre sull’orlo di una crisi di nervi.
E’ tutto vero, e ti viene da ridere per disperazione.
Si, cari singles: l’amore è….
L’amore è… avere un marito che va in giro per casa scalzo, ma la sera è troppo stanco per lavarsi i piedi, e tu trovi tutto quello che è riuscito a portarsi a letto sul lenzuolo la mattina dopo…e ci ridi con lui.
L’amore è…urlarvi in faccia quanto la famiglia dell’altro sia fatta da pazzi e asociali, e finire con unire le forze, nel tentativo di difendersi a ogni festa comandata.
L’amore è…vedere i difetti che tua moglie ti accusa di avere ogni giorno anche in lei, ma sapere di non poter mai rendere la pariglia. O di morire tentando.
E va bene così. Non perché non si deve sperare ad un miglioramento: io non mi sono mai arresa all’idea di alzare di molti punti il nostro livello di comprensione, realizzazione personale e di coppia, stimoli esterni, rispetto a quello che vivo e vedo intorno a me.
Ma anche guadagnassi bene scrivendo libri, e il mio compagno fosse felice a fare ciò che ama, e tutti i parenti fosser estinti, nulla nella sostanza cambierebbe, e la lotta per la quotidiana vittoria non si fermerebbe di certo.
Questo nella realtà fa un poì schifo, ma in tv è esilarante.

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