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Skyfall

Da Lorenzorobertoquaglia

Skyfall , Regno Unito - USA,  2012 - Regia di Sam Mendes


Recensione di Alberto Bordin


SkyfallGli anni si accumulano sulle spalle di tutti, uomini comuni e fuori dall’ordine, droghieri e agenti segreti. E il nostro celebre doppio zero ha pure lui raggiunto la mezza età e ha voluto celebrarla con stile. Il secolare contegno dell’oltre Manica non viene a mancare, regalandoci un festino ricco di saturo charme e pesato entusiasmo. Il cocktail è sobrio, ma la ricetta è complessa; partiamo dal regista.
Tutti si sono meravigliati della scelta di Sam Mendes; non uno scandalo, ma qualche domanda era sorta, e a buon diritto. Il regista britannico si è infatti distinto per poche pellicole i cui soggetti, certo di grande impatto –American Beauty, per cui gli è valso l’Oscar, Era mio Padre, Jarhead e Revolutionary Road –,non calzano minimamente, nel contenuto come per la forma, agli incredibili (“non” credibili) inseguimenti del super agente James Bond, o alle sue assurde missioni, né ai leggeri e passionali amori.Eppure la scelta si è rivelata azzeccata.Il film si è arricchito di un colore mai adoperato nella saga, con consistenti pennellate cobalto e nostalgia. Non mancano le mirabolanti azioni (visivamente sobrie ed efficacissime), ma Mendes sa alternare con estremo gusto il thrilling del conflitto esteriore con la suspance di lunghi spiazzanti silenzi e di dramma interiore. E qui suona il secondo campanello.
Il Bond di Daniel Craig ci stupì già nel lontano 2006 quando Casino Royale dipinse un agente alle prime armi, impedito professionalmente a provare rimorso: un problema tutto nuovo per 007 e il suo pubblico. Torna due anni dopo, ma qualcosa non va: Bond è stanco,fisicamente consumato da un lutto che non ha avuto tempo di assimilare; qualcosa di davvero mai visto.Dopo cinque anni la saga sente di invecchiare e il nostro agente con lei. Abbiamo già avuto dei James Bond che ingrigivano, ma mai il super agente inglese si era sentito tanto inadatto e fuori mano, e il super crimine organizzato sembra farsi ora meno spaventoso degli oscuri traumi del passato. Perché questo capitolo vorrà indagare dell’agente l’infanzia che non abbiamo mai conosciuto, e alle sparatorie con laser e corse nei bunker e bottoni rossi e dispositivi nucleari, si preferiranno invece fredde campagne delle Highlands, un vecchio cottage vittoriano in pietra viva, torbide fiamme arancioni, gelide acque di un verde lago e i ricordi di un bambino celati in un nero cimitero: poesia per gli occhi e il cuore.
A firmare il tutto: una fotografia discreta e saporita, un cast di attori eccellente – un eccezionale Bardem per un villain eccezionale, una sempre efficace Judi Dench e un sottile e ben piazzato Ralph Fiennes – e come sempre i titoli di testa, che da soli valgono un quarto del biglietto.
Qualcuno ha gradito poco una “tale sovversione tematica”, vedendovi la morte dell’ontologico 007. Ma se questo è il prezzo perché cresca nuovo frutto da un vecchio arbusto, allora prendi la mira come farebbe un orologiaio svizzero, e sparagli come un texano la notte del 4 luglio.

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