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Soap Opera, interessante (ma vuoto) esercizio di stile – La recensione

Creato il 16 ottobre 2014 da Oggialcinemanet @oggialcinema

Il giudizio di Antonio Valerio Spera

Summary:

L’inizio è quello tipico di una commedia degli equivoci: un uomo e una donna che fanno sesso, il campanello che suona, il nascondiglio sotto al letto, un amico pronto al suicidio con una pistola in mano a peggiorare la situazione. Ma uno sparo proveniente da un altro appartamento del condominio ci porta immediatamente ad un’altra tonalità, un po’ malinconica, un po’ misteriosa. L’incipit di Soap Opera, film d’apertura della nona edizione del Festival di Roma, ci dimostra subito che non ci troviamo di fronte ad una commedia convenzionale e ci introduce già nei primissimi minuti nell’originale e inusuale gioco stilistico-formale costruito da Alessandro Genovesi. L’autore, allontanatosi nettamente dalla pura atmosfera slapstick del dittico La peggior settimana della mia vita-Il peggior Natale della mia vita, realizza infatti un prodotto quanto mai nuovo per il nostro cinema che in parte ricorda il metalinguaggio da lui stesso creato in Happy Family, pellicola diretta da Salvatores nel 2010 che segnò il suo debutto cinematografico come sceneggiatore.

Soap Opera - Poster
Se però in quel film la dimensione metalinguistica era giustificata narrativamente dalla presenza di un protagonista sceneggiatore in crisi creativa, in Soap Opera essa costituisce la natura stessa del film, la sua ispirazione primaria, il suo cuore pulsante, il motore del racconto. Questa nuova commedia dell’autore milanese infatti si presenta, al primo sguardo, come un’interessante operazione di smontaggio, svuotamento, rimescolamento e ridefinizione di diversi canoni del genere, facendosi ironica e divertita riflessione sul linguaggio cinematografico (e televisivo). Genovesi disegna un voluto collage di cliché e luoghi comuni e li impasta in un convincente alternarsi di commedia degli equivoci, non-sense, pochade, teatro dell’assurdo, parodia, inserendo il tutto in una cornice quasi espressionista dove la costruzione della messa in scena si fa manifesta davanti all’obiettivo.

Girato quasi tutto in interni e sorretto dalla sorprendente recitazione straniante dei suoi interpreti (notevoli Fabio De Luigi, Ricky Memphis, Cristiana CapotondiChiara Francini ed Ale&Franz), Soap Opera si fa apprezzare senza dubbio per questo suo impianto originale ma purtroppo, durante e dopo la visione, si ha la sensazione che Genovesi si perda nel suo stesso gioco. A non convincere non è il suo totale slegamento dal reale, né il suo spirito da “pastiche”, né la sua impostazione teatrale, piuttosto la mancata profondità narrativa e contenutistica. La complessità e la stratificazione della struttura formale non trova infatti una costruzione corrispettiva nel racconto: si avverte l’assenza di una profondità dei personaggi, di una vera e propria descrizione degli stessi, di una trattazione delle tante tematiche messe sul piatto (dall’amicizia alla solitudine, dall’omosessualità all’amore). Forse l’intento di Genovesi era proprio quello di far passare questa pochezza contenutistica e questo appiattimento dei personaggi come specchio della realtà contemporanea, ma è una conclusione a cui si arriva con molta fatica. Soap Opera diverte, strappa risate e coinvolge lo spettatore nei suoi “ingranaggi” stilistici, ma non va oltre un’essenza di vuoto divertissement, dimostrandosi solamente un piacevole (ma fine a se stesso) esercizio di stile.

 A cura di Antonio Valerio Spera per Oggialcinema.net

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