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Social Fever

Da Loffio

Social Fever

A total guru

Ciao, visto che hai annullato per l’ennesima volta la mia richiesta di iscriverti al gruppo della clinica abortista “La gruccia rovente”, che io amministro, mi presento.  Sono un esperto di social media. Non fare quella faccia amico, non è così semplice come sembra. Per prima cosa devi scrivere “social media guru” in ogni social network in cui hai un profilo, poi devi farti un blog dove copiaincollare concetti presi da qua e la tra libri di marketing e siti inglesi e poi passare un sacco di tempo su facebook e twitter a scrivere quanto sia cambiato il cliente, quanto sia importante costruire una comunità e perché le aziende hanno assolutamente bisogno di te. E’ una cosa abbastanza complessa, dovresti comprare il mio ebook per capirne di più, sul serio.

Ma no amico posa la chiave inglese, è tutta una questione di ROI e di monetizzare il fatto che mi piace andare alle conferenze di miei simili e scrivere a perfetti sconosciuti distanti km e km chi sta salendo sul palco.

No ti prego, non iscrivere mia nonna a “Velone”, lascia che ti racconti una storia.


Siamo nella metà degli anni ’90, Rythm is a dancer è appena entrata nella fase “che due coglioni” e ci vorranno almeno altri dieci anni prima che tu possa usarla per strusciarti, in una squallida serata piena di gente con i rayban colorati, sulla tizia che non ti si filava a scuola e che hai beccato su facebook. Un ragazzino sta facendo i compiti ( o meglio, sta leggendo l’Alien vs Predator nascosto nel libro di storia) nella ditta del padre, entrambi i genitori lavorano e quindi lui sta li con loro, soprattutto perché così può mettere le mani sul costosissimo 486 dell’azienda e sfinirsi di Dune 2.

Ve li ricordate quei tempi? Ancora ci facevano pagare l’abbonamento per i collegamenti analogici, l’adsl era visto come ora vediamo l’acceleratore di particelle di Ginevra ed Internet era come il nuovo mondo senza indiani da sterminare, una prateria incontaminata da riempire di banner, siti in comic sans e gif di spiderman che balla.

Eravamo così giovani, così puri, a quei tempi il massimo in cui potevi sperare da una chat era la foto scannerizzata di nascosto con tanto di data stampata sopra, e spesso a mandartela era un pedofilo di Bolzano che le aveva prese alla figlia.

E’ stato proprio durante uno di quei pomeriggi di “studio” che sfogliando una rivista economica mi è balzato all’occhio un nome inglese, affascinate e pieno di promesse.

No, non era “blowjob”, quel nome era “NEW ECONOMY” e suona bello perfino ora che tutto è finito.
Era il periodo del “o sei su web o non esisti”, dei siti fatti con frontpage, di proclami altisonanti che profetizzavano un’era di perpetua crescita economica basata su buone idee e tecnologie innovative, sembrava che il mondo intero si fosse rollato una canna usando le pagine di Wired.
Chi sapeva un minimo di HTML si ritrovò improvvisamente in mano la Lancia di Longino, le aziende erano disposte a spendere milioni per poche pagine statiche che in teoria avrebbero dovuto portare far schizzare il business alle stelle.

Era il periodo dei PORTALI, cazzo ve li ricordate i portali? Jumpy, SuperEva, Virgilio, Kataweb, enormi caravanserragli che proponevano di tutto, dalle ricette al kamasutra, dalle newsflash ai servizi email. All’epoca il finanziamento dei progetti era deciso con la stesso approccio che un quindicenne pieno di birra applica in discoteca: rompi il cazzo a tutte, una ci starà. Quindi si finanziavano TUTTI i progetti che venivano proposti, senza il minimo criterio, i ricavi del progetto “di successo” avrebbero coperto le perdite degli altri progetti.

Vi giuro, funzionava veramente così, chiedetelo ad uno dei protagonisti di quel periodo.

Poi un giorno uno si è alzato e ha detto: “Tutto molto bello ma.. chi paga?” ed il sistema ha subito una ristrutturazione, un nome gentile per identificare centinaia di web agency che affogavano nel proprio sangue. per intenderci è come se la bomba atomica avesse ristrutturato Hiroshima.
I portali sono morti come i dinosauri, le felpe best company e la parola “ghevido”, la maggior parte dei sedicenti “esperti di comunicazione” è dovuto tornare a vivere con i genitori e adesso il sito te lo fa per 5 euro il tabaccaio all’angolo.

La New Economy era morta, non senza portarsi la verginità anale di parecchia gente.

Ma internet fortunatamente se n’è battuta ed è andata avanti, crescendo con la rapidità di un bambino clonato nei film di fantascienza, ed è sempre pronta a ricoprire d’oro che per primo fiuta un nuovo mercato.

E a scherzare con la crudeltà di un bulletto 15enne tutti quelli che si affannano a salire sul carro del vincitore.

Il nuovo west adesso sono i social network, che rispetto ai portali hanno un’arma segreta che ne garantirà la sopravvivenza per anni e anni: farsi i cazzi degli altri ci piace quasi quanto fargli vedere le nostre diapositive, e inoltre sono gratis. Non ci vuole un genio del marketing per capire che un’azienda in grado di comunicare sui social network si può fare un botto di pubblicità senza neppure dover chiamare lo IULM per prendere un altro stagista sottopagato.

Social Fever

Peccato che la cosa funzioni solo se sei qualcuno e se hai qualcosa da dire (perché ammettiamolo, a volte funziona, altrimenti non avrebbe tutto questo successo), solo che la mancanza di lavoro unita alla innata voglia di essere pagati per non fare un cazzo ha generato una nuova figura nel pantheon di macchiette dell’internet: “il social media expert”, i diretti discendenti dei webmaster degli anni ’90, solo che non sanno neppure l’HTML.

Ecco come sono diventato quello che vedi, amico utente, ecco perché sono l’equivalente 2.0 di una presentatrice Avon.

Ormai non puoi cercare in santa pace il tuo porno fetish tra calamari senza imbatterti nell’ennesimo “esperto di social media” (di solito si riconoscono dall’avatar in camicia e cravatta), ovvero un personaggio laureato in scienze delle merendine che sa usare un blog ed i social forum (non importa se sapete farlo anche voi, non avete scritto “social media expert” nel profilo) e cerca di convincere le aziende a farsi pagare per creare loro un gruppo su Facebook, rompendo i coglioni a tutti quelli che conosce affinché ci si iscrivano, sperando che venga spacciato per un lavoro serio, senza smettere un secondo di atteggiarsi ad uno “dentro” alle cose, seguendo convegni in cui suoi simili dicono sempre gli stessi concetti da circa 10 anni, ma parlandone con l’aria entusiasta di un fanatico di scientology.

Perché diciamoci la verità, molti di voi fanno questo, ma guai a farvelo notare, vi ritraete come ragni colpiti dal DDT, escludendo prontamente il “non allineato”. Probabilmente dopo aver letto queste righe mi prenderete a male parole, mi ignorerete o mi tratterete con sufficienza, ma quando sarete nel buio della vostra stanzetta, col vostro macbook in grembo, a scrivere “Vuoi diventare fan della CEMENTUBI ALTOPASCIO?” mi darete ragione.

Ma io non ve ne faccio una colpa (e penso che vivrete lo stesso dopo il mio j’accuse), in qualche modo il pane bisogna pur portarlo a casa, e tra tutti quelli che setacciano il fiume c’è sempre quello che trova la pepita d’oro. Sperate solo che succeda prima dell’inevitabile ristrutturazione.


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COMMENTI (1)

Da  Loffio
Inviato il 08 luglio a 17:14
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ora che ci penso, mi sfugge quali benefici dovrebbe apportare al mio blog questo servizio, visto che le visite ve le beccate voi

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