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Socialismo e utilitarismo

Creato il 28 febbraio 2016 da Conflittiestrategie

Scritto da: MauroTozzato

[*] Il tradeunionismo non esclude affatto ogni "politica", come talvolta si crede. Le trade-unions hanno sempre fatto una determinata agitazione politica ed una determinata lotta politica (ma non socialdemocratica). Nel capitolo seguente esporremo la differenza che passa fra la politica tradeunionista e la politica socialdemocratica.[Nota di Lenin]

[*] Nel contesto del nostro discorso possiamo sostituire la locuzione "del proletariato" con la parola "rivoluzionaria".[N.d.r.]

Naturalmente la parola socialdemocrazia usata qui da Lenin si deve intendere come sinonimo di comunismo. La Grassa ha ripetuto innumerevoli volte negli ultimi anni che il "vero" revisionista - nella temperie storica e culturale che portò alla rivoluzione d'ottobre e alla nascita della terza internazionale - fu in realtà Lenin e non Kautsky; non soltanto egli comprese come il proletariato, intesa come classe operaia di fabbrica, non era destinato ad essere, autonomamente, la forza sociale decisiva di un possibile superamento del capitalismo ma capì anche che i cosiddetti "specialisti borghesi" non avrebbero mai potuto - per il loro ruolo sociale e per la loro funzione nella produzione e nelle altre sfere della società - essere i catalizzatori della fusione delle "potenze mentali della produzione" e dell'"intelletto generale" politico-culturale con il corpo lavorativo associato, portatore soggettivo della socializzazione oggettiva delle forze produttive. In questi passi Lenin lascia intendere ulteriori sviluppi possibili nella sua analisi che rimasero coperti dalla necessità tattica di presentarsi come difensore dell'ortodossia affibbiando la patente di eretici ai suoi avversari. Egli aveva compreso che l'azione rivoluzionaria poteva nascere soltanto da una visione della conformazione sociale che tenesse conto dei rapporti di forza - necessariamente conflittuali - tra tutti i gruppi sociali, appartenenti sia al livello dei dominanti che a quello dei dominati. Le elitè dei gruppi "principali" avrebbero avuto il compito di costruire dei "blocchi sociali" che si sarebbero confrontati, guidati dai rispettivi agenti strategici, per la supremazia all'interno di una formazione sociale particolare delimitata da uno spazio statuale. Nella sua teoria dell'imperialismo Lenin allargò ai rapporti internazionali questa impostazione e fu anzi proprio in questo sviluppo che egli si distanziò di più dal sentiero tracciato dai principali fondatori del da non confondere con la teoria del comunismo critico elaborata da Marx e dal "primo" Engels): il "secondo" Engels, Kautsky e Bernstein.

Uno studioso di valore come Portinaro ritiene che, dopo la breve stagione del comunitarismo americano ripreso in Europa in maniera vaga e pasticciata, il pensiero politico contemporaneo abbia messo al centro dei suoi temi principali l'opposizione tra costituzionalismo (liberale) e (nuovo) repubblicanesimo. Il comunitarismo voleva essere un supporto filosofico alle teorie politico-economiche che ancora propugnano la difesa dello stato sociale, uno stato sociale che di fatto è stata una creazione britannica e europea mentre negli Stati Uniti abbiamo assistito, a causa dello sviluppo specifico del capitalismo Usa, ad una estensione notevole della fino al termine del XX secolo. Si cominciava, però, già da un po' di tempo a presagire una crisi di questi strati sociali e probabilmente la ripresa di tematiche parasocialiste riguardanti l'equità e la solidarietà erano legati, negli Usa, a questi problemi. In termini più realistici, comunque, ci sembra corretto individuare attualmente come centrale, nella teoria politica, la contrapposizione tra le teorie della giustizia . Le prime considerano ancora valide le problematiche che ritengono possibili una pluralità di fini a cui l'agire politico può essere indirizzato mentre le seconde pongono, di fatto, come unico fine realisticamente plausibile la conquista del potere, della supremazia, la vittoria, in un concetto di politico appiattito su quello di guerra ( conflitto militare ). In realtà le grandi masse che hanno lottato, sacrificando anche la loro vita, per l'ideale socialista e comunista sono risultate il prodotto di congiunture storiche che le vedevano in un particolare stato di oppressione e soprattutto in una situazione di guerra esplicita (come nel caso della rivoluzione d'ottobre con la prima guerra mondiale) o implicita (assedio, politico, economico e militare da parte di potenze estere ostili o altro). Situazioni tragiche producono, in qualche maniera che non staremo a specificare, uomini e donne all'altezza di queste tragedie. In linea generale, però, le classe subordinate nell'epoca capitalistica hanno sempre pensato a - e desiderato - una forma il più possibile avanzata di giustizia distributiva e di benessere da raggiungere possibilmente in maniera pacifica. L'ideologia politica di John Stuart Mill è sempre stata più vicina alla cultura delle masse di quella di Marx e del marxismo. Dal punto di vista della produzione teorica Stuart Mill è stato un eccellente filosofo e studioso di logica ma come economista e scienziato sociale si è distinto soltanto per aver sistematizzato, in maniera divulgativa, le idee dei due grandi economisti classici: Smith e Ricardo. Marx, che pure non lo disprezzava, lo criticò principalmente per la tesi che individuava due diverse tipologie di leggi economiche: le leggi che regolano la produzione, che dipendono dallo stato della tecnica e non possono essere modificate dalla volontà degli uomini, e le leggi della distribuzione che invece non sono naturali e per questo devono essere definite dalla società. Ne teorie della decisione politica Marx scrive, in proposito, che questa divisione

‹‹ si fonda sulla confusione e sull'identificazione del processo sociale, con il processo lavorativo semplice, che deve compiere anche un uomo artificiosamente isolato, senza alcun aiuto sociale. Giacché il processo lavorativo è soltanto un processo tra l'uomo e la natura, i suoi elementi semplici rimangono identici in tutte le forme dell'evoluzione sociale. Ogni determinata forma storica di questo processo ne sviluppa la base materiale e le forme sociali. Quando è raggiunto un certo grado di maturità, la forma storica determinata viene lasciata cadere e cede il posto ad un'altra più elevata. Si riconosce che è giunto il momento di una tale crisi quando guadagnano in ampiezza e in profondità la contraddizione e il contrasto tra i rapporti di distribuzione, e quindi anche la forma storica determinata dai rapporti di produzione ad essi corrispondenti, da un lato e le forze produttive, capacità produttive e sviluppo dei loro fattori, dall'altro. Subentra allora un conflitto tra lo sviluppo materiale della produzione e la sua forma sociale››.

Marx, si esprime in maniera drastica e parla dell'"insulsaggine degli economisti che trattano della produzione come di una verità eterna relegando la storia nel campo della distribuzione". Nelle Theorien über den Mehrwert il giudizio su Mill è ancora più deciso:

Ma a questo punto si potrebbe osservare che la giustizia distributiva trova una fondazione realistica e razionale più nell'utilitarismo di Bentham che nella versione rivisitata di Stuart Mill, il quale non a caso rileva i limiti del primo proprio nella scarsa comprensione del "carattere umano", che lo portano a sostenere una visione "ristretta ed egoistica" dell'uomo. Mill muoveva da preoccupazioni assai diverse da quelle da Bentham - che egli conosceva bene perché era amico intimo del padre James - dato che questi era partito dal problema di una riforma della legislazione, quindi da un'istanza di tipo normativo e prescrittivo; Mill, invece, muoveva da un' istanza descrittiva ed esplicativa. Bentham si muove sul piano della sanzione, esterna al soggetto agente; Mill intende invece comprendere come i sentimenti morali, le volizioni e i ragionamenti funzionino all'interno della coscienza del soggetto agente. Nell'approccio di Stuart Mill è presente una distinzione tra piaceri bassi e piaceri elevati e un richiamo alla moralità e ai valori tradizionali che è praticamente assente nel suo predecessore; ne deriva, come rilevato dalla maggior parte degli studiosi, che nei due autori sopra citati l'utilitarismo compare sotto due forme diverse anche se non sempre esplicitamente differenziate: come e come teoria della moralità personale . La teoria delle scelte pubbliche o teoria della scelta pubblica , si è affermata più recentemente, come è noto, negli Stati Uniti alla fine degli anni Cinquanta ( vedi soprattutto J. Buchanan e G. Tullock) e si occupa del modo di individuare i meccanismi di formazione delle decisioni pubbliche presupponendo che i soggetti in esse coinvolti abbiano le stesse motivazioni di quelli che operano scelte economiche di mercato. Questa teoria si basa dunque sull'assunto che i partiti politici, la pubblica amministrazione, ma anche i gruppi di pressione o di interesse, come i sindacati dei lavoratori e degli imprenditori, si comportino in modo tale da massimizzare il proprio benessere e questo può concretizzarsi nel raccogliere più voti possibili o nell' ottimizzare il risultato degli obiettivi (economico-politici) che ci si è prefissi. La teoria delle scelte sociali vuole investigare, dunque, le modalità con cui si arriva alla formazione di quegli obiettivi di politica, soprattutto economica, che devono essere tradotti concretamente in azioni o beni tangibili da parte del pubblico (parlamento o governo) in un contesto "democratico". Nella citazione di Lenin, all'inizio di questo intervento, la "coscienza tradunionista" viene definita come public choice policy maker

La teoria delle scelte pubbliche è la forma elaborata dalla scienza sociale accademica che esprime, tra l'altro, la coscienza e la prassi trade-unionista dei gruppi sociali medio-bassi (e delle loro elité) nei paesi avanzati e in parte di quelli emergenti; questo aspetto la mette in correlazione con le teorizzazioni che, come quella di La Grassa, hanno preso atto della natura assolutamente non antagonistica del lavoro salariato e assimilati nei confronti di quel sistema sociale che doveva trovare, secondo Marx, proprio in questa "classe" il suo "seppellitore". Il benessere, la ricerca dell'utile e il miglioramento del tenore di vita sono gli obiettivi delle masse, non certo la realizzazione della società migliore, del miglior regime politico in termini morali e spirituali (in senso lato).

(1)Riprendo questa citazione da una tesi della Luiss(2012-2013) scritta da Giulia Sciotti che in nota scrive: K. Mark, Il Capitale, libro I, Einaudi, Torino, 1975 p. 958. Nella mia edizione Einaudi, del 1978, la pagina non corrisponde ma mi fido della studentessa.


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