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Soffia Scirocco.

Da Marlenetrn
Soffia Scirocco.

Sono le quindici. 32° all’ombra, vento di scirocco. Capelli lavati da poco, umidi, che svolazzano dal finestrino aperto. Jeans, top fascia, ballerine peep toe e foulard provenzale. Mascara, ombretto tortora, rossetto pesca, smalto arancione. Orecchini a ciliegia e bracciali di bronzo. Dalla radio Master Mixo parla di Carlo Rambaldi, di Alien ed E.T. trasmettendo esperimenti di techno-music dei primi anni 70’. Per la strada incrocio le prime mietitrebbie che tornano dai campi, si lasciano dietro l’aria colma di polvere e grano. Si squaglia. Entro in città. Sono in ritardo. I semafori a quest’ora sono quasi tutti disattivati, potrei approfittarne per recuperare tempo, ma la volante degli sbirri davanti non accenna ad accelerare. Li affianco, mi guardano, li lascio proseguire davanti. Sono arrivata. Devo parcheggiare. Non c’è un buco. Entrambi i lati della strada sono colmi di auto stipate. Rifaccio il giro. Una volta, due, tre. Poi mi fermo, in doppia fila, sotto quella che dovrebbe essere la finestra dell’ufficio in cui mi aspettano e spero di non trovare nessuna multa al ritorno. Borsa, pc, occhiali da sole. Mi avvio.

L’ufficio è in un palazzo di vecchia costruzione, ma tenuto bene. L’androne poco illuminato è freschissimo rispetto alla calura della strada. L’ascensore è vecchio, di quelli con la doppia porta da tirarsi dietro. Quarto piano. Lo chiamo è aspetto.

Aspetto. Come ho fatto per sei mesi. Come ho fatto fino a ieri, quando alle 14, mentre leccavo la crema al cioccolato del cucciolone che avevo diviso con la rana, squilla il telefono. Non me lo aspettavo più. Avevo già dato ragione a chi mi disse che era un’inutile perdita di tempo che era già tutto preparato. E invece. Soffia scirocco. E mi ricordo tutte le persone in fila con me sei mesi fa, per consegnare una domanda. Tante. Tante raccomandate. Tante no. Mi hanno chiamato. Mi stanno aspettando.

Al quarto piano, mi apre un ragazzo, non molto alto in maniche di camicia e pantaloni grigi. I capelli scuri appena ricci e la barbetta incolta. L’ufficio è un appartamento-ufficio, ogni stanza un settore. Microcosmi colmi di riviste, giornali, pubblicazioni, banner e manifesti. dalle scrivanie addossate alle pareti si stagliano i monitor dei mac, anche questi con le scrivanie straripanti di icone. La stanza in cui ci accomodiamo è il paradiso in mezzo al caos, semi vuota, solo una scrivania con il piano di cristallo, due poltrone in pelle nera e un armadietto grigio, basso, senza porte, con dei libri ben riposti. Il ragazzo che mi ha accolto alla porta, siede dall’altro lato della scrivania e recupera dieci centimetri in altezza grazie alla seduta rialzata della sua poltrona. Mi offrono un caffè. Sarebbe il terzo della giornata, tentenno un attimo ma poi accetto. E’ zuccherato, troppo zuccherato. Io lo prendo amaro. Fatico a berlo ma faccio uno sforzo e lo butto giù.

È bellissimo, è proprio quello che cercavo, è proprio come me lo immaginavo, è una redazione giornalistica. Esaminiamo il mio portfolio e facciamo una prova pratica. VA BENE. Mi sento sicura. Sento che questa è la volta buona, che lo scirocco soffia dalla mia parte, che la botta di culo che mi deve la vita è arrivata.

La tensione si allenta, penso alla macchina in doppia fila e non me ne curo. Aspetto solo la proposta ufficiale per pronunciare il mio SI con il sorriso sulle labbra. Parliamo dell’aspetto pratico, turni, orari, mansioni e la doccia fredda arriva. Dove non me l’aspettavo, dove non consideravo potesse nascondersi la fregatura. Era troppo bello per essere vero.

Se eccetto, dovrò lavorare dalle 14:00 alle 22:00

Mi sono presa del tempo per pensarci.

Al ritorno il vento s’è placato, i capelli sono completamente asciutti, il sole un po’ più basso e la luna pronta per l’eclissi.

Dalla radio Gigi Ariemma mi regala un disco match tra Nirvana, Pearl Jam, U2 e RHCP.

Che fare?

Song:Red Hot Chili Peppers - Give It Away


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