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Sono di Volpiano e ho passato la mia adolescenza sulla Canavesana

Da Gynepraio @valeria_fiore

G. Ma siamo sicuri che 10 metri lineari ci bastano?
VSC. Con quello che costano, piuttosto li mettiamo su due file.
G. No, seriamente, tutti i miei libri non ci stanno. A casa dei miei ne ho almeno altrettanti, e poi ci sono i tuoi…
VSC. Ma li hai letti veramente? Oppure guardavi le figure?
G. Certo che li ho letti, pirla.
VSC. Ma allora eri sempre chiusa in casa a leggere e ripassare i paradigmi greci! Poverina, che adolescenza difficile.
G. Un’adolescenza difficile, sì. Ma, in verità, non leggevo mai in casa.

Dalla nascita ai 25 anni ho vissuto in un piccolo comune della provincia di Torino che si chiama Volpiano. Nessuno lo conosce, oppure l’ha sentito nominare solo per due fatti di cronaca: una Madonnina che ha pianto sangue (effetto me-too-Civitavecchia) e due anziani bloccati in ascensore ma sopravvissuti diversi giorni grazie alla spesa appena fatta alla Coop.

Volpiano

Nello stemma di Volpiano figura ovviamente una volpe in corsa

La sfortuna di questa cittadina -oltre ad essere vittima dell’ottusità del correttore automatico di Word che la trasforma implacabilmente in Volpino- è stare nella terra di mezzo. Non abbastanza piccola da essere dimenticata da Dio, ma nemmeno abbastanza grande da essere ricordata dagli uomini. Non brutta come una Multipla né bella come una Mini. Ecco, Volpiano è un po’ come la Panda: nessuno ti prende in giro, ma nemmeno te la invidia. Dal punto di vista geografico, Volpiano si trova proprio a metà strada tra la città e il nulla. Infatti, non è sufficientemente isolata da essere countryside (ah, tranquillissima, si dorme da Dio), né abbastanza comoda da essere suburbs (massimo un quarto d’ora e sono in centro).

Seppure con alcune pecche, Volpiano si prende cura dei suoi figli, fornendo loro una sommaria educazione religiosa e scolastica. Ma compiuti i quattordici anni, come fa mamma volpe con i suoi cuccioli, li abbandona al loro destino, consegnandoli a un’altra madre. Se possibile ancora più degenere.

Infatti, ci ritrovavamo tutti nel grembo caldo, rumoroso e angusto della Canavesana, il treno che ogni mattina alle 7:45 vomitava al binario 3 della Stazione di Torino Porta Susa una fiumana di ragazzi di provincia, per poi recuperarli al binario 5 intorno alle 13:50. Ma il mio rapporto -ombelicale, a questo punto- con la Canavesana non si esauriva alle 14, anzi. La casa dei miei genitori, infatti, affaccia proprio sulla ferrovia e, da che io ricordi, il treno non ha mai mancato di emettere un lamentoso guaito, giusto quando passava sotto la mia finestra.

volpiano canavesana

Eccola qui, che bolide

Non mento se affermo che, in cima alla lista dei motivi che mi spinsero a pagare un affitto sproporzionato per trasferirmi un appartamento condiviso e orribilmente ammobiliato, c’era non prendere mai più la Canavesana. Ironia della sorte, quando mi sono spostata a Torino tutti i treni sono stati sostituiti e adesso sono più belli degli interregionali FS, oltre che mediamente più puntuali.

volpiano canavesana

I treni nuovi e fiammanti

Ma torniamo a noi: se ho viaggiato quotidianamente per 8 anni scolastico-accademici (ah, già, anche all’università facevo la pendolare), significa che ho vissuto sulla Canavesana circa 1584 ore, pari a 198 giorni. Insomma, ho 32 anni, di cui 6 mesi passati su un treno.

Penso che ora sia facile immaginare dove e quando leggevo.

PS. Perché non andavi in auto? chiederà un lettore dell’ultima ora. Amico, ti rispondo con la frase che ha chiuso la maggior parte delle discussioni adolescenziali in casa mia: MICA CI CHIAMIAMO ONASSIS.


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