Magazine Diario personale

Sono nato in un Paese ricco

Creato il 20 dicembre 2013 da Cinzia Tosini @cinziatosini

di Giorgio Ferrari

Sono nato in un Paese ricco. Non che tutti lo fossimo, anzi molti erano poveri.

Dove andavamo a fare la villeggiatura (si faceva la villeggiatura come ai tempi di Goldoni),  i bambini facevano un pasto al giorno. Ma c’era la consapevolezza di essere un Paese in crescita, si era positivi.

Molti credevano che saremmo cresciuti grazie alla tranquilla gestione democristiana, molti credevano che grazie al grande Partito Comunista Italiano presto sarebbe sorto il sol dell’avvenire, altri, in minoranza, credevano, come nella mia famiglia, che il progresso della ragione accompagnato da quello materiale avrebbe portato a un’Italia prospera e laica.

Giorgio Ferrari e...

Giorgio Ferrari… il primo da destra

I miglioramenti erano visibili e costanti, i sindacati lottavano, gli industriali innovavano e producevano. Ognuno sapeva fare il proprio mestiere. Le cose avevano una loro logica. Piccolo esempio: nelle auto il clacson era al centro del volante così lo suonavi solo quando volevi, non come oggi che è in entrambi i lati del volante così suona inevitabilmente ogni volta che mi allaccio la cintura di sicurezza e mi becco le occhiatacce dei passanti.

Gli enti mettevano a disposizione dei dipendenti case in luoghi di villeggiatura con affitti assai vantaggiosi, così per noi le vacanze duravano due o tre mesi. E dico noi intendendo anche gli impiegati ai più bassi livelli. Certe fabbriche lo facevano anche per gli operai.

Sono nato in un Paese ricco: in tv c’era solo un canale, ma li veniva messo in onda il meglio dello spettacolo, con i migliori autori, attori, presentatori e professionisti del settore. Tenevano inchiodati noi ragazzini a guardare i promessi sposi, o l’Odissea, e Ungaretti che introduceva le puntate leggendone alcuni versi sembrava nostro nonno.

Era una tv povera, ma molto più ricca. C’era solo un tg è vero, e molto ingessato. Ma non c’era faziosità, e ricordo inchieste sulla mafia o sui disservizi. Lo conducevano Andrea Barbato, Piero Angela e altri grandi professionisti. Lo sport c’era tutto: atletica leggera, basket, nuoto, pallanuoto etc…

Di calcio ce n’era poco: solo il secondo tempo di una partita la domenica alle 19. Andavamo allo stadio e ci divertivamo moltissimo, a prescindere dal risultato, di cui all’epoca noi romanisti non potevamo proprio essere schiavi.

A scuola ci parlavano della Storia italiana spesso con retorica, ma ce l’insegnavano. Il libro cuore ci commuoveva. Si disse che era retorica e ipocrita morale borghese. Nessun’ altra morale ne ha ancora preso il posto, e comunque De Amicis era socialista.

Eravamo ricchi, quando in camera mettevamo un LP sul giradischi ci sentivamo ricchissimi. Eravamo ricchi di ideali, giusti o sbagliati, eravamo ricchi di speranze, anche gli anziani speravano, e guardavano al nostro futuro sorridenti. Molti erano poveri, ma sempre meno.

Ora siamo un Paese povero, non di soldi, di mezzi, di beni materiali, si molti lo sono anche di questi, lo so. Siamo soprattutto poveri di tutto il resto…


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