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Sopravvivere in tempi di crisi: come attrezzarsi sul piano personale (7° articolo)

Creato il 11 settembre 2012 da Raffaelebarone

Presente nella pagina Post-modernità come 7° articolo

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La crisi attuale sembra destinata a durare a lungo, ma un giorno o l’altro si concluderà, come tutte le altre lasciando dietro di sé innumerevoli vittime e qualche raro vincitore. Ma ciascuno di noi potrebbe anche uscirne in uno stato di gran lunga migliore di quello con cui ci siamo entrati. Questo a patto di comprendere la logica e il percorso, di servirsi delle nuove conoscenze accumulati in nuovi settori, di contare soprattutto su se stessi, di prendersi sul serio, di diventare attori del proprio destino e di attuare audacistrategie di sopravvivenza  personale. “Contrariamente a quello che vuole far credere qualche politico o qualche gruppo di banchieri la crisi  finanziaria del 2008, che non faceva altro che rivelare quella economica che veniva da molto lontano, è lungi da essere terminata.” (Jacques Attali 2010) Sono passati due anni e molte banche sono in sofferenza, molti stati sono in grave crisi finanziaria e si confrontano con la riduzione dei disavanzi pubblici, il livello della produzione  e il valore dei patrimoni restano ancora in grandissima parte inferiore a quelli precedenti della crisi, i fallimenti delle imprese sono in fortissimo aumento, la disoccupazione è in crescita, molte famiglie non potranno far fronte alle loro scadenze. Inoltre, molti altri cambiamenti radicali- tecnologici, economici, politici, sanitari, ecologici, culturali, personali si aggiungeranno a questi, rendendo meno decifrabile e ancora più precario il mondo nel quale ciascuno di noi dovrà cercare di vivere e sopravvivere. Crisi e scosse varie porteranno alla gente, alle imprese e alle nazioni diverse delusioni e molti pericoli. Molte persone continueranno a credere che ciò che viviamo oggi è il punto più basso di un ciclo economico come altri, e che basta attendere due tre anni perché tutto rientri nell’ordine finanziario, economico e sociale e continueranno a condurre i loro affari e la loro vita come prima e così andranno a sbattere dritti contro il muro. Altri, meglio informati sulle cause profonde dei problemi attuali e futuri, troveranno invece le opportunità per costruire nuove fortune sul fallimento altrui, comprando a basso prezzo dei beni che un giorno varranno molto di più. Altri, infine, preparati da questa lezioni ricorderanno che alcuni dei nostri antenati avevano capito di non poter attraversare i labirinti della condizione umana e sfuggire  ai suoi trabocchetti se non prendendo in mano il proprio destino facendo  uso di strategie molto sofisticate.

Di fronte ai pericoli del prossimo decennio chi vorrà sopravvivere dovrà, come le avanguardie del passato, accettare il fatto di non doversi più attendere nulla da nessuno e che qualsiasi minaccia e anche un’opportunità per ognuno di noi, in quanto lo  costringe a riconsiderare il proprio posto nel mondo, ad accelerare i  cambiamenti nella sua vita,  a mettere in atto un’etica, una morale, dei comportamenti, delle attività e delle alleanze radicalmente nuovo. Costui saprà che la sopravvivenza non implica per forza la necessità di aspettare questa o quella riforma generale quella grazia  o quel salvatore; che non esige la distruzione degli altri, ma  soprattutto la costruzione di sé e l’attenta ricerca di alleati; che non risiede in un ottimismo illimitato, ma in un’estrema chiarezza in relazione a se stessi, in un desiderio selvaggio di trovare la propria ragion d’essere; la quale non è da costruire soltanto nel singolo momento, anche sul lungo periodo; la quale non è finalizzata alla conservazione di ciò che si è acquisito, ma può riguardare il superamento dell’ordine  attuale; la quale non si limita soltanto a mantenere l’unità del proprio io, ma esige di prevedere tutte le possibili diversità.

Ci si può attrezzare per affrontare con efficacia tale crisi adottando una serie di principi che possano essere punto per ogni persona

 Primo principio: prendersi sul serio:

La prima condizione, apparentemente banale è di attribuire importanza alla propria sopravvivenza,  alla propria felicità. E la prima condizione del rispetto di sé è quella di non lasciarsi andare a pensare che il destino sia padrone della nostra vita, né che la vita dopo la morte, si esiste,  esiga da noi  la rinuncia a migliorare le condizioni del nostro soggiorno terreno. Suppone inoltre di prendersi sul serio, dunque di non sottovalutarsi, né di odiarsi, di fare in modo che la propria vita diventi preziosa ai propri occhi, di credere nell’esistenza di una ragion d’essere, insomma di avere voglia di essere fieri di sé. Questo passa attraverso un’introspezione, una meditazione, una riflessione sulla propria unicità nell’universo e ciascuno deve considerare e organizzare a proprio modo con uno sguardo lucido su come siamo, sulla ragione della nostra esperienza terrena, sui principi di cui ci si è allontanati, sulle negligenze compiute prendersi cura di questa unicità. Il rispetto di sé presuppone anche di non contare soltanto sulla diagnosi degli altri,  anche se si tratta di specialisti, ma di responsabilizzarsi, di osservarsi, di controllarsi, di essere esigente nei confronti di se stessi. Ciascuno deve agire come se non avesse niente da aspettarsi dagli altri, come se potesse contare soltanto su di sé, in particolare in un periodo di crisi. Di fronte alle minacce di un licenziamento, la perdita del potere d’acquisto, di una malattia, di una disgrazia, di un disastro ecologico o sanitario, ognuno deve inizialmente contare su quello che può fare, e non su quello che gli altri, individualmente o collettivamente potranno dargli. Da questo punto di vista, i più poveri, abbandonati da tutti, sono maggiormente inclini al rispetto di se stessi e alla ricerca di alleanze sincere rispetto ai membri della collettività più protette. Il rispetto di sé esige di prendersi sul serio anche sul piano fisico. È una banalità che conviene non sottovalutare; niente sopravvivenza senza  vita; e la vita fisica, possibilmente in buona forma, è una condizione preliminare per il resto. Da qui l’importanza di tenersi sotto controllo, così come i flussi di energia interna, di praticare uno sport, di nutrirsi modo equilibrato, di prendersi cura del proprio aspetto, dalla testa ai piedi, di trovare gradevole l’immagine di sé che ci rinviano gli specchi e gli sguardi  degli atti e se non fosse così fare il possibile per cambiarla. Quindi accettare di farsi di conoscere dagli altri per imporre loro la propria presenza e il proprio ruolo. Il rispetto di sé esige così di perfezionare costantemente la formazione per migliorare al massimo le proprie capacità, di non essere mai abbastanza soddisfatti di quello che si conosce né in quanto si può fare, di perseguire senza sosta l’eccellenza della propria ragion d’essere. In termini economici, questo passa attraverso un regolare bilancio delle proprie competenze e la rimessa in discussione permanente delle proprie priorità;  in particolare attraverso una conoscenza approfondita dei cambiamenti a venire e di ciò che si può fare per imparare ad evolversi positivamente. Il rispetto di sé presuppone anche di prendere sul serio il proprio lavoro, di mantenere le promesse fatte a se stessi, come quelle fatte agli atti. Fissa anche i limiti  di ciò che si può accettare di fare per sopravvivere. Il rispetto di sé esige e quindi di essere lucidi riguardo alle proprie capacità e a quello che non va in se stessi fisicamente e intellettualmente, a ciò che si può attendere e sperare di sé. Questo presuppone di essere pronto ad ammettere la realtà anche in presenza di cattive notizie o di prospettive molto difficili; di essere anche disposti a coglierne le opportunità. Implica anche di non compiacersi dell’essere infelici, di non cercare a tutti i costi di essere compatiti  o consolati.  Richiede di saper fare i conti con le proprie debolezze, di analizzare r comprendere i propri fallimenti, in particolare di circoscrivere i rischi corsi personalmente le loro potenzialità, anche improbabili, di  accettarli, di non mentirsi, di non risparmiarsi, dunque di non schivare le verità su se stessi, sulla propria storia  personale e familiare,  su ciò che forgia ogni personalità nel non detto. Riassumendo, tale rispetto esige forza interiore e lavoro su di sé, lucidità e interiorità, integrità e coraggio.

Secondo principio: dare intensità al tempo

Sopravvivere deve essere per definizione una dimensione temporale: è anzitutto vivere il più a lungo e il più intensamente possibile. Significa evidentemente prendersi grande cura del proprio corpo  e spirito, in linea con le consegne del rispetto di sé. Dare intensità al tempo esige poi di dotarsi, con un orizzonte almeno ventennale, di un progetto di vita costantemente aggiornato e prorogato, sul piano sia personale sia professionale. Questo esercizio complesso richiede di forgiare l’immagine mentale di colui che si potrà essere vent’anni dopo, di vedersi altro in un tempo diverso, di prepararsi a diventarlo ed elaborare un progetto preciso. Esige l’ammissione che la vita non si riduce a vincere. Richiede di confrontare questo progetto con quello che si sa dell’evoluzione del mondo. Questo implica di cercare un senso per la parola” vocazione”,  e di darsi  i mezzi per attuarla. Dare intensità al tempo è infine il modo di vivere ogni istante il più pienamente possibile, come se fosse ultimo. In particolare,  accordare il massimo valore a un  suo non mercantile  del tempo, alla conversazione, alla sorpresa, al ridere, alla tenerezza, all’ amicizia,  all’arte e all’amore;  riconosce l’importanza del tempo passato a beneficiare di un piacere, più che al suo possesso: leggere un libro piuttosto che guardarlo da lontano, ben sistemato in una biblioteca o appoggiato su un  comodino, assistere a un concerto piuttosto che collezionare CD,  fare un viaggio piuttosto che cambiare l’automobile, vivere l’atto di comprare e di consumare  come una esperienza, come un con  argomento di conoscenze, di conversazione, di scambio, iscritto a sua volta, come ogni atto della vita, nel breve e lungo periodo, nell’istante e nel differito. E inserirlo così in un sistema di valori, un progetto, uno sguardo sul mondo.

Terzo principio: farsi un’ opinione personale del mondo attraverso l’empatia

Da sempre,  per sopravvivere, le persone hanno dovuto cercare di esplorare e capire l’ambiente circostante, tentare di prevedere  e prevenire gli eventi.  Pur utilizzando il parere dei migliori esperti, nessuno deve accontentarsi dell’opinione degli altri. Nessuno si deve allineare, nell’analisi di ciò che lo riguarda, al  punto di vista maggioritario. Ognuno deve farsi un’opinione personale su quello che lo minaccia e analizzare la sua riflessione da diverse angolazioni, in particolare di fronte ai pericoli sopra evocati. Occorre sforzarsi di  prevedere il concatenamento complesso delle reazioni degli uni alle azioni degli atti, mettendosi al loro posto. Questo esige di analizzare bene il proprio ambiente personale e professionale, di provare a interiorizzare i sentimenti dei membri della propria famiglia, storia, datori di lavoro, colleghi, amici, consumatori, concorrenti, nemici, per indovinare comprendere i loro punti di vista volta; per cercare di vedere, in particolare, gli altri per come sono davvero e non come vorremmo che ci fossero; e se possibile, ascoltarli per farne degli alleati. Questa empatia può, in alcune occasioni,  diventare simpatia, e condurre a raccogliere presso di sé o vicino a sé, con piacere, coloro che possono diventare alleati, a valle o a monte della propria vita professionale o personale. A praticare un altruismo interessato. In alcuni casi, diventa in questo modo possibile cooperare con i concorrenti che possano a loro volta diventare dei veri e  propri  partner nell’ambito della stessa catena  familiare o professionale. L’empatia permette  anche di riconoscere i propri nemici, dunque di non temerli, di non metterli in una situazione di legittima difesa; di capire che, a volte, anche il proprio concorrente, rivale, nemico e economico, sociale, politico o personale può avere le sue ragioni, e anche, forse, semplicemente avere ragione; di non creder a tutto quello che dicono le istituzioni politiche, sociali, bancarie. Per riuscirci,  occorre sviluppare qualità particolari:  essere curiosi, comprendere i valori  e le usanze di altre culture e immergersi  nel loro modo di pensare, sapere utilizzare la lingua degli altri, saper decodificare messaggi culturali diversi, accettare influenze culturali divergenti, ispirarsi a fonti culturali diverse e trovare sinergie tra loro.

Quarto principio: essere capaci di resistere a un attacco (la resilienza).

Poiché i pericoli ci possono tutto sommato concretizzare, conviene mettersi nella situazione di resistere a uno shock; di  sopportare senza crollare una delusione o un fallimento professionale o sentimentale, di non soccombere alla perdita di un sostegno, di un alleato, di un’attività, di una persona cara, di un lavoro ,di un cliente, di un patrimonio, di un paese d’accoglienza, in una fonte di piacere. Essere preparati a non perdere tutto in caso di slealtà dei propri partner, pubblici o privati, poichè tutti questi elementi  sono plausibili nei vortici delle crisi e delle evoluzioni sopra evocate. Occorre, in previsione, essere ridondanti,  e almeno mettere in atto piani per affrontare le crisi e le strategie di reazione rapida. Questa si chiama resilienza. La resilienza porta  in particolare a verificare la propria capacità di non dipendere, in caso di crisi, da un solo lavoro, da una sola formazione, da una sola competenza, da un unico luogo di vita o di lavoro, da una sola fonte di reddito o di prestito; a imparare a trovarsi  a proprio agio al tempo stesso come lavoratore e come imprenditore, come dipendente e  datore di lavoro, operaio e quadro, artista e funzionario, consumatore e produttore, creditore e debitore. A non indebitarsi oltre la propria capacità di rimborsare il prestito, a investire con prudenza i propri risparmi, ad analizzare bene i prodotti finanziari che vengono proposti, a disporre in modo permanente di una tesoreria personale sufficiente, a non darsi alle spese voluttuarie oltre i propri mezzi. E anche assicurarsi contro i rischi sociali, economici, finanziari, ecologici, sanitari. L’assicurazione è uno dei principali strumenti della resilienza. Sapere che si dispone di mezzi per resistere alle minacce consente di assumersi dei rischi.

La  creatività.

Se gli attacchi esistono e diventano strutturali, se la crisi si radicalizza si iscrive in una tendenza irreversibile, bisogna imparare a trasformarli in opportunità; fare di una mancanza una fonte di progresso; volgere a proprio vantaggio la forza dell’avversario. Ciò esige un pensiero positivo e creativo, il rifiuto della rassegnazione, un coraggio e una creatività pratica. Queste  qualità si forgiano e si allenano come i muscoli.

L’ubiquità.

Se gli attacchi  continuano, sempre più destabilizzante, e non è possibile nessun loro impiego positivo, bisogna prepararsi a cambiare radicalmente, a imitare il migliore di quelli che sanno resistere a rimodellare la rappresentazione di sé per poter passare nel campo altrui senza perdere il rispetto di se stessi. Occorre imparare a essere mobili della propria identità e,  perciò, tenersi pronti  a essere doppi dentro l’ambiguità e l’ubiquità.

Il pensiero Il rivoluzionario.

Infine, occorre essere pronti, in una congiuntura estrema, in situazioni di legittima difesa, a osare tutto per tutto, a forzare se stessi, ad agire contro il mondo violando le regole del gioco, pur persistendo nel rispetto di sé.

Colui che metterà in atto questi principi, con qualsiasi tipo di crisi, e ne verificherà incessantemente l’applicazione, avrà più possibilità degli altri di sopravvivere. Come diceva M.  Gandhi: “ siate voi stessi il cambiamento che volete vedere nel mondo”.

 Spunti da “ Sopravvivere alle crisi. Sette lezioni di vita”. Di  Jacques Attali  Fazi Editore


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