Magazine Diario personale

Sorridiamo.

Da Arthur

cristina

E’ un po’ di giorni che mi sento come se fossi in standby, nell’attesa di scrivere qualcosa per il blog. Ultimamente tra una cosa e l’altra lo sto trascurando, preso dal lavoro e dalle situazioni di vita che spesso incombono senza lasciare spazio ad altri pensieri, guardo, con un po’ di sconforto la “situazione Italiana”, questa campagna elettorale ormai in postazione fissa, permanente, ahimè.

Salto da un giornale all’altro e la storia è sempre la stessa. Tutti e tutto contro tutto e tutti, chi è dentro e chi è fuori, senza più una vera distinzione che renda le appartenenze quanto meno plausibili. Un grosso calderone dove c’è di tutto, compresa la mancanza di ciò che invece parrebbe essere scontato, la determinazione nel considerare il nostro prossimo semplicemente delle persone da rispettare e null’altro.

Ma oggi, leggendo un articolo di una mamma, Caroline Boudet, ho sorriso: “Louise, mia figlia. Quattro mesi, due braccia, due gambe, due guanciotte tonde e un cromosoma in più.”

Con garbo e con molta ironia, lei spiega ciò che non bisognerebbe mai dire ad una madre che ha una figlia affetta da sindrome di Down o trisomia 21, una specie di simpatico decalogo che c’insegna a considerare i bambini per ciò che sono, dei bimbi appunto, e non per ciò che rappresentano perché ammalati di qualcosa. E infatti a chi le chiede se è una bambina Down, lei risponde semplicemente che è sua figlia, “I suoi 47 cromosomi non rappresentano quello che è. In un’altra situazione, non definireste una bimba una piccola malata di cancro”.

Beh, ho sorriso perché anch’io sono convinto che sia giusto quel che dice e non soltanto perché a mia volta ho una nipotina anche lei affetta da sindrome di Down, Cristina, “Cri, Cri”, sulla quale ho scritto una cosa tenerissima con Nonno Archimede, ma perché Caroline Boudet scrivendo quelle cose ci dà una lezione di vita che oggi più che mai dovremmo prendere sul serio per farla nostra e non dimenticarla mai, perché la nostra vita ha un senso se riusciamo a condividerla con chi ci sta accanto, vicino o lontano che sia, altrimenti diventiamo prigionieri della nostra solitudine, della nostra inedia; quell’apatia che ci rende simili e lontani mille miglia, dove l’unico approccio diventa la spasmodica rincorsa per fare andare velocemente le nostre dita sulla tastiera di uno smartphone, uno a caso, non importa quale.

Sorridiamo, così come sorride Cri Cri nella sua dolce ingenuità, la stessa di noi quando eravamo bambini, la stessa di noi che, da adulti, non abbiamo dimenticato come eravamo.



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