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Spacciatori di fuffa

Creato il 06 ottobre 2011 da Tnepd

SPACCIATORI DI FUFFA

pollock

Nell’immagine: Jackson Pollock, N. 5, 1948, pagato 140 milioni di dollari

ad un’asta del 2006.

 

INFLUENZA DELLA CIA NELLO SVILUPPO DELL’ARTE OCCIDENTALE

di Raffaele Giovannelli

dal sito Effedieffe

 

L’arte moderna è stata un’arma nelle mani della CIA. Questa è la notizia che non è mai entrata nel  mondo della critica ufficiale, che ha sempre preferito costruire complicati teoremi per spiegare al popolo come accettare con entusiasmo le assurdità e le brutture dell’arte moderna. Chi prima delle recenti rivelazioni avesse scritto che la CIA tramava nell’ombra per far trionfare la spazzatura artistica americana (ed europea) si sarebbe beccato l’ennesima accusa di pervicace complottista.

Fiumi di inchiostro e, più recentemente, uno sterminato numero di bit sono stati impegnati per descrivere come fosse meravigliosa ed esaltante la modernità in tutte le sue variegate forme. Per intenderci chiamiamo modernità tutto ciò che è stato creato dall’espressionismo astratto(1) in poi, sino ai ripensamenti del postmodernismo realista. Un lasso di tempo superiore al mezzo secolo. E’ vero che da un po’ di tempo qualche dubbio è sorto a causa dell’ostinazione con cui la modernità si ostina a rimanere “moderna” a dispetto degli anni che passano e delle minime differenze che appaiono tra i successivi movimenti artistici. Ma neppure il postmoderno, che sarebbe dovuto nascere da una naturale evoluzione del moderno, ha intaccato l’atmosfera di mistica trascendenza che avvolge la modernità sin dal suo nascere. Tuttavia recentemente, tramontato definitivamente il clima della guerra fredda, sono venuti alla luce fatti inquietanti che erano stati occultati per mezzo secolo.

Con semplici deduzioni, partendo da realtà storiche, ero già arrivato ad ipotizzare la presenza di un disegno sottostante al trionfo del moderno, che si è affermato nonostante l’ostilità di gran parte del pubblico. Si veda in proposito: Berenson e la lunga farsa dell’arte moderna, (2). Parlando del principale personaggio che promosse la nuova arte americana: Peggy Guggenheim, dicevo:

«Peggy, da buona ebrea, seppe utilizzare bene i suoi soldi. Riuscì nell’impresa senza disporre delle risorse finanziarie dei suoi parenti. Aveva una rendita che, riportata ad oggi, era di circa 5 milioni di dollari, tra i Guggenheim era considerata quasi indigente. Philip Ryland, direttore del Peggy Guggenheim Collection a Venezia, dice che Peggy per la sua collezione di quadri moderni in tutto non spese più di cento mila dollari (del dopoguerra, oggi equivalenti a circa un milione e mezzo di dollari). Che cosa indusse Peggy Guggenheim a preferire nel 1943 il quasi sconosciuto “pittore” Pollock, che realizzava quadri il cui unico merito era quello di essere uno specchio fedele della sua pazzia e della sua perenne sbornia? I suoi quadri vennero inquadrati nella corrente  dell’espressionismo astratto. Esistevano in America molti artisti, sovvenzionati dallo stato durante la grande recessione, con lo scopo di togliere dalla disperazione persone che, con il loro carisma, avrebbero potuto infiammare una rivoluzione. Ma nessuno tra i pittori “figurativi”, come ad esempio il bravissimo Thomas Benton, venne preso in considerazione. A Peggy probabilmente quella scelta fu suggerita per mettere a tacere l’arte vera, quella che mostrava la realtà della miseria americana insieme ai sogni perduti durante la grande recessione del ’29.»


Sappiamo adesso che i suggeritori erano molti, abilmente piazzati dalla CIA in posti strategici. «Non potevano certo essere i quadri di Pollock ad entusiasmare gli esperti d’arte come Berenson, ma dopo la guerra, in una Europa alla fame, si trattava piuttosto del profumo del denaro dei Guggenheim.» Oggi sappiamo che quel denaro e il suo profumo non provenivano solo dalla non ricchissima Peggy, ma dal supporto della CIA.

«Peggy Guggenheim fu il personaggio che più si è prodigato per la diffusione delle novità più cervellotiche di qua e di là dell’Atlantico. Inconsapevolmente Peggy provocò all’arte un danno maggiore di quello causato da tutte le invasioni barbariche perché alla fine venne distrutto il senso del bello. Ma non è stato solo un ghiribizzo di una ricca ereditiera un po’ svampita, in cerca di sensazioni, è stata una scelta criminale che ha contribuito in modo decisivo a distruggere l’arte. Infatti assegnando alle persone un ruolo improprio, si ottiene in ogni caso una serie di conseguenze funeste. Pollock stesso è stato la prima vittima di quella scelta impropria. […] Il processo degenerativo messo così in atto ha colpito a morte prima l’arte occidentale poi ha contagiato tutto il mondo. La scelta fatta dalla “ricca” Guggenheim fu l’operazione più vistosa ed efficace condotta nel campo della pittura e coincise con l’indebolimento della borghesia nel dopoguerra. Il successo fu enorme, ben al di là della aspettative e venne a coincidere con l’annientamento del senso del bello e del gusto estetico. Bellezza e buon gusto poco apprezzati dalla classe dei nuovi ricchi, privi di cultura e favorevoli ad un’arte “nuova”, che ignorasse scomodi richiami alla cultura ed alle tradizioni. L’operazione ebbe una tale fortuna che oggi un quadro di Pollock ha raggiunto la quotazione massima mai raggiunta da un dipinto: 140 milioni di dollari.»


La distruzione dell’arte e della cultura europea, che avvenne lentamente nel dopoguerra, si può paragonare a quella imposta dal Sacro Romano Impero, con Carlomagno, che militarizzò tutto il mondo occidentale per rendere ardua le penetrazioni delle invasioni barbariche. La difesa allora venne frazionata con la costruzione di castelli sempre più potenti, una tecnica di difesa poco apprezzata dall’Impero Romano. La divisione del Sacro Romano Impero in feudi fu la fine della civiltà e della cultura dell’Impero romano di Occidente, ma fu l’unica soluzione per resistere senza disporre di una organizzazione statale e di un esercito stabile.

La CIA realizzò una fortificazione ideologica del mondo occidentale, ma contemporaneamente non dimenticò l’obbiettivo di sostituire l’anima europea in modo da toglierle ogni velleità di  indipendenza. Paradossalmente furono proprio i francesi a fornire agli americani gli strumenti per questa azione. I francesi dopo la guerra aspiravano ad un ruolo di predominio nel mondo dell’arte, della cultura e della moda. Si apprestarono a mettere in campo i loro maggiori maitres a pensée, elaborarono nuovi stili nelle arti visive, nella musica, seguendo la volontà di dissacrare l’arte di ieri. Gli americani, credendo che quella fosse l’arte del futuro, ci si buttarono, avendo capito che in quel modo facevano tabula rasa di tutta l’arte del passato, una eredità enorme contro la quale non potevano combattere da soli. Così gli americani ebbero tra le mani gli strumenti per realizzare il loro fine di dominio culturale, mentre contemporaneamente sconfiggevano le idee diffuse dai comunisti.

E’ stato grazie alle avanguardie francesi nella filosofia e in tutte le arti che gli americani trovarono la strada per soppiantare la cultura e l’arte europea. La Francia aveva già perso la guerra contro la Germania, pur disponendo all’inizio di un esercito superiore a quello tedesco. La sconfitta militare fu merito di una gerontocrazia che dominava gli alti comandi militari francesi, nell’indifferenza degli intellettuali che poi si risentirono violentemente contro il governo di Vichy suddito della Germania.

La Roma Imperiale adottò l’arte ellenistica come suo strumento di rappresentazione e di  propaganda. Gli americani invece preferirono imboccare la strada della distruzione dell’eredità dell’arte europea, poiché semplicisticamente raccolsero l’ultimo nato dell’arte francese, quella che si dilettava a mettere i baffi alla Gioconda di Leonardo e a svillaneggiare tutti i grandi capolavori del passato, da quelli più recenti a quelli più antichi: compresa l’arte greca. Gli americani pensarono di creare una nuova arte che fosse il portabandiera e il simbolo del potere degli Stati Uniti e non trovarono di meglio che saltare sul carro dell’arte moderna europea e soprattutto francese.

Neppure i grandi critici d’arte di quel periodo dettero molto peso all’influenza degli americani. Mi chiedo se Bruno Zevi, il più celebrato critico e ideologo del modernismo, ma anche un ficcanaso cronico saltabeccante dovunque, fosse mai stato a conoscenza di questa così vasta intromissione della CIA in territori come l’architettura e l’arte in genere, dove lui faceva e disfaceva critiche e giudizi definitivi. E’ impossibile supporre che lui fosse all’oscuro, certamente non risulta che ne parlò mai.

Eppure qualche voce circolava. Da dove veniva la ricchezza che affliggeva artisti, critici e galleristi che si dedicavano all’arte moderna?

Sembrava che tutto il merito dovesse essere ascritto al mercato. Ma non era così. Un fiume di denaro usciva dalle casse della CIA e quindi dai contribuenti americani per alimentare un’arte che in realtà prefigurava il declino dell’occidente. L’operazione fu così radicale che venne distrutta anche l’eredità dell’arte americana maturata durante la grande recessione del ’29.


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