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Spagna, Italia, Germania: la crisi che nessuno racconta

Creato il 21 novembre 2011 da Albertocapece

Spagna, Italia, Germania: la crisi che nessuno raccontaCosì dopo la Grecia e l’Italia anche la Spagna ha un governo conservatore e liberista. Per ottenere questo effetto non c’è alcun bisogno di avere un triste clown al potere, come da noi, basta giocare con gli spread che guarda caso salgono improvvisamente e irresistibilmente nei giorni precedenti le elezioni come in Spagna e Portogallo, oppure in quelli che anticipano manovre parlamentari già preparate da tempo o in contemporanea con il tentativo di sottoporre a referendum i diktat della Bce e dell’improvvisato direttorio Merkozy.

Ora non voglio fare il complottista ingenuo, ma non c’è dubbio che la “mano invisibile” del mercato proprio perché impersonale può essere guidata da impercettibili mosse che il migliaio di persone che fanno la finanza mondiale hanno modo di attuare. Così come il medium sa come guidare il piattino durante le sedute spiritiche.

Ma questo sarebbe alla fine un falso problema se non saltasse agli occhi una contraddizione enorme dentro questo buco nero della crisi: per ridurre i deficit di bilancio degli Stati piigs  vengono imposte politiche recessive che invece di migliorare la situazione, finiscono per aggravarla. E se questo è un vecchio quanto sciagurato modus operandi dell’Fmi,  è in totale contraddizione con l’obiettivo europeo di salvare l’euro.

Si tratta però di una contraddizione solo apparente per spiegare la quale vanno premesse alcune cose. Su ogni euro circolante in Europa 50 centesimi sono tedeschi, si tratta dunque di una moneta che appartiene a una pluralità di Stati, ma che di fatto è una semi divisa nazionale, con un azionista che ha la maggioranza assoluta. In queste condizioni, a suo tempo, sarebbe stato ancor più necessario  ”circondare” la moneta unica di una conchiglia politica che attutisse e armonizzasse gli effetti di questa situazione così sbilanciata. Non è stato fatto nella convinzione liberista che la moneta sia tutta la politica possibile e il paradosso che ne nasce non è solo che la Germania detta per forza di cose la politica monetaria (Sarkozy nel direttorio è solo una comparsa di comodo), ma soprattutto che proprio la Germania è assai meno interessata degli altri Paesi alla sopravvivenza dell’euro, potendo in ogni momento tornare a una divisa comunque forte e di riferimento per il continente.

Allora perché la Merkel tenta di difendere ad ogni costo l’euro? Non è un controsenso? Si lo è se ci si lascia andare alla vulgata che i media italiani, ma anche francesi e spagnoli danno delle terribili vicende della crisi. Però leggendo la stampa tedesca e le dichiarazioni di politici e industriali ci si rende conto che la realtà è molto differente: ciò che la Germania teme non è la fine dell’euro, ma il pericolo che il crollo della moneta faccia collassare anche il libero mercato continentale. E allora sì che sarebbero dolori per un Paese tra i più grandi esportatori al mondo e che ha proprio nell’Europa il suo Eldorado.  Mentre la recessione fuori dai confini fa molto meno paura perché questa accelera il trasferimento di risorse dalla maggioranza della popolazione a quel 10-15 per cento di benestanti che sono poi gli acquirenti d’elezione dei prodotti ad alto valore aggiunto e alta qualità della Germania. Visto che per trent’anni e passa della mia vita ho avuto anche il passaporto tedesco, non sono influenzato da particolare malevolenza o da dietrologie d’accatto.

Del resto l’attuale governo tedesco, guidato da una specie di Thatcher in ritardo alleata con gli ultraliberisti , è il meno adatto ad aprire spiragli su questo: l’egoismo nazionale è l’unica leva che rimane alla Merkel e alla Cdu per non essere spazzati via  alle prossime elezioni del 2013.  Da questa intima contraddizione derivano i tentennamenti merkeliani che sono tra le cause dell’aggressione dei mercati.

Ora se facciamo una panoramica di  chi oggi è alla guida dei piigs, vediamo che Papademos e Monti sono due campioni del libero mercato, non senza regole, ma assolutamente libero. E che Rajoy si è speso da mesi proprio in questa direzione. Vale a dire persone che per intrinseca cultura o interesse non andranno mai a Bruxelles a contrattare il debito facendo balenare lo spettro di una crisi del mercato comune. Non possiamo considerarlo un semplice caso.

L’economista Emiliano Brancaccio fa notare che la situazione è tanto più grave sia perché la sinistra sembra ipnotizzata dal liberoscambismo e dunque incapace di elaborare una qualche strategia alternativa, sia perché i documenti che da mesi vengono firmati da centinaia di economisti contro le misure recessive (l’ultimo in ordine di tempo lo trovate qui) risultano troppo generici e poco incisivi.

In effetti la mancanza di chiarezza sembra trascinare quel po’ di opposizione reale che rimane o su posizioni di fatto anti europeiste o su una protesta generica che non coglie l’essenza del problema e che spesso finisce per trascinare le persone, com’è accaduto in Spagna, direttamente nelle fauci del lupo, travestito da nonna, ma con denti ben aguzzi. Forse è l’ora che cappuccetto rosso si svegli.

 


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