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Spasmi di supernova in 3D

Creato il 19 marzo 2014 da Media Inaf
Il modello 3D degli ultimi spasmi della supernova 1987A. Le ceneri gialle di zolfo vengono ripescate dal nucleo arancione sottostante. La struttura multi-scala della turbolenza è prominente. Le linee bianche indicano il confine del dominio computazionale. Crediti: Arnett, Meakin and Viallet/AIP Advances

Il modello 3D degli ultimi spasmi della supernova 1987A. Le ceneri gialle di zolfo vengono ripescate dal nucleo arancione sottostante. La struttura multi-scala della turbolenza è prominente. Le linee bianche indicano il confine del dominio computazionale. Crediti: Arnett, Meakin and Viallet/AIP Advances

Di solito le stelle di grande massa passano una fase violenta del loro ciclo vitale che termina con una esplosione, evento che porta la stella a diventare una supernova. Un gruppo di ricercatori ha sviluppato un nuovo modello in 3D delle turbolenze di una supernova nella sua ultima fase di vita: le esplosioni possono eclissare anche intere galassie “distribuendo” nell’Universo gli elementi che rendono possibile la vita sulla Terra e che consentono un nuovo ciclo di formazione stellare. Questo modello, sviluppato dall’Università dell’Arizona e dall’Istituto di astronomia Max Planck, è il primo a rappresentare il collasso di una stella in tre dimensioni ed è stato descritto in uno studio pubblicato su AIP Advances. I ricercatori hanno mostrato come la miscelazione turbolenta di elementi all’interno di stelle le fa espandere, contrarre ed espellere materiale prima di esplodere.

W. David Arnett ha per primo studiato le ultime fasi della supernova di tipo II 1897A nella Grande Nube di Magellano, esplosa 168 mila anni fa e  visibile anche a occhio nudo dalla Terra. Il precursore della supernova era una stella supergigante blu, di nome Sanduleak -69° 202a, e ha da sempre affascinato e interrogato gli astronomi perché il materiale espulso durante l’esplosione finale sembra essersi amalgamato in modo non uniforme con materiale espulso precedentemente dalla stella. Modelli esistenti non hanno spiegato questa particolarità. Si è sempre pensato a questa stella come una serie di cerchi concentrici, con elementi più pesanti, come ferro e silicio, al centro e elementi più leggeri, come il carbonio, elio ed ossigeno, verso la superficie. Gli elementi più pesanti avrebbero esercitato una potente attrazione gravitazionale sugli elementi più leggeri. Questa avrebbe compattato la stella, aumentando pressione e temperatura tanto da creare neurtrini, il cui flusso verso l’esterno del nucleo avrebbe disperso una notevole quantità di energia velocizzando il processo di morte della supernova. I ricercatori hanno rivisto queste teorie analizzando luce e radioattività dei resti della supernova e creando un nuovo modello basato su processi fisici che hanno portato a simili risultati. I ricercatori avevano analizzando luce e radioattività dei resti della supernova, arrivando a modelli molto complessi e difficilmente elaborati dai calcolatori usati in passato.

Il modello sviluppato da Arnett, invece, ci dice qualcosa di diverso sulla supernova: un nucleo turbolento che espelle i resti della stella prima dell’esplosione finale, proprio come accade quando l’acqua in una pentola bolle oltre il bordo. “Abbiamo ancora i cerchi concentrici, con gli elementi più pesanti al centro e quelli più leggeri verso la superficie, ma è come se qualcuno li avesse mescolati”, ha detto Arnett. “Come ci avviciniamo al momento finale, osserviamo flussi che mescolano i materiali, aumentando la velocità della stella fino all’esplosione”. Riferendosi all’anello di elementi pesanti e leggeri che formano le nebulose attorno alle stelle esplose ha aggiunto che “è quello che vediamo oggi nei resti della supernova”. Arnett ha utilizzato computer più veloci e potenti rispetto al passato, per questo è riuscito a sviluppare il primo modello 3D.

I nuovi dati aiutano gli esperti a capire come muoiono le stelle: “Invece di andarsene dolcemente nella notte buia, combattono prima di morire, violentemente espellono materiale e poi esplodono. Ciò può richiedere anche uno o due anni. Ci sono piccoli eventi precursori, numerosi picchi, e poi la grande esplosione”, ha spiegato.

Fonte: Media INAF | Scritto da Eleonora Ferroni


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