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Spdc no restraint nella rete dei servizi di salute mentale. la sfida della cura

Creato il 26 ottobre 2014 da Raffaelebarone

Estratto da Lorenzo Torresini

Cosa si intende per no restraint
Per no restraint si intende:
-la pratica di non legare mai il paziente al letto “senza se e senza ma”.
– La pratica di lavorare con la porta aperta. Sia nelle strutture abitative, che in SPDC.
MOTIVI PER IL NO RESTRAINT
Motivo terapeutico
Il primo motivo per superare il restraint è di carattere squisitamente terapeutico. Nessuno può sensatamente sostenere che legare una persona al letto rappresenti una misura terapeutica. Può semmai essere sostenuto che ciò può riguardare l’ordine pubblico in reparto e in ospedale, ma mai di per sé migliorare le condizioni del paziente.
Di buon governo dell’istituzione
il secondo motivo per cui è assolutamente insensato legare i pazienti è quello del buon governo dell’istituzione. Come ben quotidianamente sperimenta chi pratica il no restraint, Il fatto di evitare la violenza del legare, funge da elemento che previene la formazione di quell’atmosfera di terrore in reparto che spinge i pazienti, soprattutto quando essi divengono abituali, a rispondere e a prepararsi a rispondere con la stessa violenza che apprendono in corsia. In pratica l’aspettativa, la vista come testimoni di altri casi, l’esperienza diretta di contenzione semplicemente li rende violenti.
Sicurezza
La pratica del no restraint funge da elemento e da premessa di sicurezza. In realtà la sicurezza sul lavoro per gli operatori (medici e del comparto) degli SPDC è molto più rappresentata dalla possibilità che avvengano accadimenti quali aggressioni fisiche, che nei reparti chiusi e dove la contenzione rappresenta una misura routinaria, sono frequenti e comuni. Nuovamente la verifica basata sull’evidenza dimostra come nei reparti dove non si pratica il restraint le aggressioni fisiche rappresentino una ben più rara evenienza, fino alla loro quasi completa scomparsa.
La cultura del servizio
L’adozione del No Restraint Method in S.P.D.C, in parte definisce la cultura di tutto il servizio del DSM. Soprattutto trattandosi della parte più delicata del circuito, quella dove massima è, da parte di spettatori e a vario titolo autori, l’aspettativa di violenza come espressione massima di follia. Il messaggio che ne deriva diviene allora quello che in nessun punto è necessario contenere né rinchiudere.
Tortura
Ma c’è di più. C’è molto e c’è ovviamente di più. E cioè semplicemente che la contenzione rappresenta una forma di maltrattamento e di tortura. A chi obbietta che tale affermazione appare esagerata, lo scrivente propone di provare a farsi legare, di dipendere da altri per tutte le funzioni fisiologiche indispensabili, dal nutrirsi, allo scarico di alvo e vescica, all’impossibilità semplicemente di grattarsi o di cambiare posizione. Il tutto avvenendo in una situazione vissuta come ostile, sconosciuta, terrorizzante e per di più quantomeno umiliante.
Aspetti etici
La questione del restraint risponde a criteri di carattere e di segno squisitamente etico. Legare e isolare sono atti riprovevoli che nulla hanno a che vedere con l’ippocratico primum non nocere, anzi vi sono decisamente contrapposti.
Come si realizza
Il passaggio attraverso la fase del controllo umano della porta rappresenta tuttavia anche un percorso individualizzante per tutti. Per i pazienti perché subito essi realizzano che quella porta aperta o semiaperta non è per ognuno ugualmente valicabile. Per il personale perché esso in tal modo si consente, si costringe, si autocostringe, forse per la prima volta, a “negoziare”. A negoziare non nel semplice senso del contrattare, bensì anche nel senso etimologico del termine: neg-oziare. Non oziare. Negoziare tuttavia anche nel senso di contrattare. Contrattare sulla base delle soggettività, delle biografie, dei fatti concreti, delle storie. Tutti aspetti che devono essere conosciuti fin nei dettagli da tutti (il personale) nei confronti di tutti (i pazienti). Non più numeri, ma veramente e non solo a parole, bensì individui, soggetti veri.
Organizzazione del Dipartimento
Fattore fondamentale per facilitare la realizzazione del “no restraint” è una corretta organizzazione del Dipartimento di Salute Mentale. A tal fine è estremamente importante che:
a) la parte esterna dialoghi con quella interna e viceversa. Situazione ideale è quella in cui il team, almeno il team medico, sia lo stesso dentro e fuori. In tal modo si eviterà da un lato la tentazione dello scarico “magari almeno per qualche giorno” di quel certo paziente, con cui il medico esterno non sa più cosa fare, dall’altro la sensazione di solitudine del medico che lavora solo in reparto e che si sente il paziente difficile “scaricato addosso” dai colleghi del territorio. L’angoscia da ambo i lati non potrà in tali casi non riversarsi sul paziente, aggravandone la già compromessa situazione.
b) l’SPDC sia piccolo. Il limite di quindici p.l. stabilito dalla legge 180 ha evidentemente questo significato e va tassativamente rispettato. Va meglio se non supera i 10-12 posti letto.
Clima
Un aspetto determinante per l’ottenimento e l’organizzazione del no restraint è l’atmosfera. Il fatto che questa rivesta un fondamentale aspetto terapeutico nella cura dei pazienti è semplicemente evidence based, ma l’ottenimento di un buon clima nel reparto inizia con il perseguimento di una buona relazione fra personale medico e infermieristico.
Holding
Com’è noto holding è un termine coniato da Winnicott, con il quale egli indicava la contenzione fisica dei bambini autistici da parte dei genitori. Una contenzione, si comprende benissimo, che ben più che fisica doveva essere emozionale, “affettiva”. Una contenzione che alla fine è un abbraccio E così i nostri pazienti spesso e volentieri hanno bisogno, laddove si presenta una necessità di contenzione, piuttosto di un contenimento fisico, da attuare, se necessario, con i nostri corpi. Va da sé che lo si farà tutti insieme, onde evitare di fare del male e di farsi del male. E ciò in un numero sufficiente di persone. Il medico di servizio, anche se donna, si guarderà bene dal tirarsi indietro rispetto a questa eventuale, estrema misura. Se non basta il personale di servizio non sarà inutile chiamare in aiuto le forze dell’ordine. A prescindere dal fatto che in tali casi nove volte su dieci è sufficiente ai pazienti vedere la divisa, di per sé garanzia di legalità, per mettere ordine di per sé. Ma se ciò non bastasse e si rivelasse necessario trattenere fisicamente un individuo in crisi (cosa che, si ripete, nei reparti “no restraint” diviene un evento veramente eccezionalissimo), il fatto di “rischiare” il proprio stesso corpo in una relazione anche fisica con il paziente, in una modalità di interazione che accomuna operatore e paziente, cosicché anche la “contaminazione” diventa teoricamente possibile, rappresenta una misura di per sé terapeutica. Acquisisce in tali contesti importanza determinante la meta-comunicazione: del fatto che non si ha motivo di essere aggressivi con il paziente, del fatto che in nessun modo la costrizione a curarlo rappresenta alcuna sorta di punizione: “non ce l’ho con te”. Importante, così come in fondo nei bambini, far capire, sentire e percepire che il contenimento (fisico) e affettivo è una forma di interesse per loro.
Limitazione del numero di posti letto
L’indicazione della legge 180-833 è chiara e tassativa. Non più di quindici posti letto in SPDC. L’applicazione della 180 a livello nazionale appare da questo punto di vista corretta.
321 è il numero di SPDC aperti nel 2004 in Italia. 3.997 i posti letto in questi SPDC. 12.45 è il numero che si ottiene dividendo queste due cifre. Vale a dire il numero medio dei posti letto per SPDC. La media dei posti letto per ciascun SPDC in Italia è 12.45.Meno è il numero di posti letto più facile è attuare SPDC no restraint.
Allargamento delle fasce orarie dei servizi esterni
Va da sé che quanto e quanto più efficienti saranno i servizi territoriali, tanto più efficace sarà la prevenzione della messa in atto di tutto quello strumentario antiterapeutico e antidiluviano che normalmente si coniuga con l’ospedalizzazione. L’accessibilità rappresenterà un criterio cardine per la prevenzione ed il superamento del restraint. In altre parole si potrebbe dire: “si comincia a legare fuori”.
Ma l’accessibilità a sua volta non è un criterio meramente geografico, bensì anche cronologico di orario di apertura. Da questo punto di vista anche la WHO ritiene che i servizi territoriali migliori siano quelli aperti 24 ore su 24 e sette giorni su sette.

Residenzialità territoriale
Un Dipartimento di Salute Mentale che si riprometta di non legare deve disporre di un numero sufficiente di posti nelle residenze territoriali. Appare ormai assodato che in tutto il mondo la deistituzionalizzazione si è confusa tout cort con la riduzione dei posti letto. Dimenticando il semplicissimo assioma che è il posto letto ospedaliero che va superato, con la sua logica e i suoi molteplici significati, non il posto (letto) in sè e per sé.
ben gestita
Alla fine significa una cosa soprattutto, e cioè che se si vuole che le crisi dei pazienti ospitati nelle strutture riabilitative residenziali diventino col tempo sempre più rare e diminuiscano gradualmente di intensità, bisogna che la struttura territoriale residenziale impari a poco a poco a gestire la crisi senza più bisogno di ospedalizzare il paziente in SPDC, a convivere con il ricorrere delle crisi, ad adattarsi ad esse, alla fine ad adattarsi al paziente così come egli si adatterà alla struttura stessa e alla relativa comunità.

Alla fine tuttavia un concetto prevale fra tutti. E cioè che per superare il restraint possiamo invocare tutti gli strumenti di cui riteniamo di doverci preventivamente dotare: un Dipartimento con ottimali collegamenti dentro e fuori, un’équipe unica fra ospedale e territorio, SPDC piccoli e con pochi posti letto, CSM aperti 24 su 24 e 7 giorni su 7, residenze esterne piccole, ben protette e capaci di affrontare le crisi dei pazienti ivi residenti, una buona dotazione di personale territoriale, un buon rapporto con i medici di base e un buon impegno da parte loro. Ma alla fine è chiaro che la premessa fondamentale, quanto irrinunciabile, è che ci deve semplicemente essere la volontà di attuarlo, la volontà di farlo.



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