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SPIRA MIRABILIS | Intelligenza musicale collettiva

Creato il 01 aprile 2015 da Amedit Magazine @Amedit_Sicilia
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bannersopraspiraa cura di Giancarlo Zaffaroni

Spira mirabilis è un progetto di studio musicale con diversi aspetti interessanti anche extra-musicali, uno spiraglio di speranza per la sopravvivenza della tradizione musicale occidentale, forse un nuovo modello di produzione culturale. Iniziò sette anni fa per iniziativa di Lorenza Borrani, Timoti Fregni e Giacomo Tesini. Quest’ultimo ci illustra spirito, obiettivi, metodi e risultati del loro lavoro.

Come costruite una visione d’interpretazione musicale collettiva?

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Usiamo tecniche che abbiamo trovato sperimentando, provando senza direttore e volendo lavorare in maniera collettiva cerchiamo stratagemmi che permettano al maggior numero di persone possibile di conoscere al meglio e per intero la partitura. Ad esempio il canto serve per trovare il modo di respirare insieme, per capire la musica al di là delle difficoltà tecniche dei diversi strumenti, conoscere le voci indipendentemente da quella assegnata a ciascun esecutore. Proviamo anche in cerchio, con i fiati opposti agli archi anziché dietro, oppure sparpagliati per ascoltare meglio le voci diverse e cogliere completamente la trama sonora scritta dal compositore. Abbiamo provato al buio, suonando a memoria per focalizzare sempre meglio l’ascolto. La disposizione sparsa, nata nelle prove, veniva usata anche per i bis, mischiandosi al pubblico, in modo che anch’esso potesse sentire più distintamente le voci musicali e venisse abbracciato dalla musica.

Si pensa normalmente che lo studio sia qualcosa di intimo, personale, introspettivo, anche lo studio di uno strumento musicale o la lettura analitica della partitura sono attività solitarie

La Spira è un progetto di studio collettivo dove ciascuno porta anche una visione che è frutto di un approfondito lavoro personale. Durante le prove ciascun musicista porta con sé la partitura sulla quale ha studiato, prima degli incontri collettivi c’è un fitto scambio di e-mail dove si comincia a parlare del brano, discutiamo anche molto durante le prove.

Gli approcci, anche filologici, variano in relazione ai diversi compositori?

Ci siamo concentrati soprattutto sulla musica della prima metà dell’Ottocento, quella tardo-classica o pre-romantica. Per questo repertorio le prove si sviluppano in modo chiaro e relativamente semplice, anche se ogni progetto ha le sue sorprese. Le volte in cui siamo andati oltre, con Schumann o con musica del Novecento (Bartók, Prokoviev, Strauss), abbiamo naturalmente adattato lo studio e la tecnica delle prove al tipo di linguaggio e allo stile dell’autore. Per le sinfonie di Beethoven, che abbiamo maggiormente approfondito nel tempo, abbiamo studiato anche le fonti, le analisi critiche ecc. e possiamo permetterci di suonare a memoria.

La musica diventa così parte delle persone

È quello che vorremmo, suonare in modo naturale come quando si parla fra persone che si intendono con facilità. Le prove sono molto più lunghe di quelle delle orchestre tradizionali, prepariamo un solo brano a concerto e lo proviamo per una settimana. Questo ci permette di entrare nella musica, e che la musica entri in noi in modo assoluto. È qualcosa di anti-storico, all’inizio dell’Ottocento non si provava certo così a lungo, ma serve per ricreare lo stile musicale della composizione, rendendolo chiaro agli interpreti, e così al pubblico. Al contrario una volta all’anno facciamo una settimana che si chiama Haydn-Fest, dove ogni sera suoniamo una sinfonia di Haydn che abbiamo provato durante la giornata, come fosse stata appena composta proprio per noi.

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Le vostre interpretazioni sono molto distanti da quelle consolidate per tradizione o da quelle dei grandi direttori?

Cerchiamo di capire e rendere quello che l’autore ha messo nel testo musicale, ma questo lo può dire qualunque musicista. Abbiamo iniziato con Beethoven e non col repertorio classico in teoria più adatto a un’orchestra da camera, e lo abbiamo suonato con strumenti moderni. Invece per gli autori del Settecento usiamo strumenti d’epoca, perché pensiamo che i colori e i timbri a volte divertenti, buffi, ironici oppure molto patetici siano più adatti allo stile di quel tempo. Sono scelte in qualche modo arbitrarie, che vengono dalla volontà di adeguare i mezzi esecutivi e il senso delle interpretazioni a una ricostruzione storica della prassi esecutiva. Il clarinettista Lorenzo Coppola è stato per noi un maestro e ci ha aiutato a trovare un nostro stile distintivo.

Ascoltando le vostre esecuzioni si percepisce una particolare nitidezza dell’intreccio delle voci, chiarezza nella scansione ritmica e nel fraseggio

Nel bene e nel male, è il risultato del nostro approccio molto analitico. Non c’è più durante le prove l’intervento di qualcuno che dice “io suonerei così perché lo sento così” come avveniva nei primi tempi. Con un approccio per così dire sentimentale sorgono discussioni ingovernabili e senza argomenti, e la prova diventa subito un caos. Abbiamo trovato un approccio più oggettivo, ogni decisione interpretativa è discussa in base ai trattati sulle prassi esecutive, all’analogia con altri brani dello stesso autore, all’andamento musicale delle voci e così via, e tutto funziona meglio.

E forse così si costruisce un’interpretazione più equilibrata rispetto a quella decisa da un solo uomo (o donna) al comando

Anche qui nel bene e nel male, il direttore può essere arbitrario ma geniale e completamente fuori dagli schemi, caratteristiche che le interpretazioni della Spira rischiano di non avere con la loro analiticità. Ma siamo continuamente in ricerca, quest’estate abbiamo studiato la Serenata per archi di Dvořák, una musica che non permette di essere molto analitici, per provare a lavorare su un metodo diverso, suggerito dalla musica stessa, ampliando la nostra visione e capacità interpretativa.

Nelle esecuzioni in pubblico usate molto il linguaggio del corpo, gli sguardi, l’insieme dei musicisti sembra un organismo naturale vivo

È un modo per respirare e suonare insieme, a volte è usato in modo eccessivo, anche se poi quando lo si fa notare alcuni dicono che non si muovono affatto.

Ciascuno è un riferimento per tutti gli altri

Siamo consapevoli che ciascuno è responsabile del lavoro di tutti, dal momento dello studio individuale, fino alle prove e all’esecuzione col pubblico, nell’elaborazione della visione musicale e nella sua realizzazione. Ci sono diverse orchestre senza direttore e in genere le prove sono guidate e governate da uno dei musicisti. Noi non facciamo così, parliamo molto e apparentemente perdiamo tempo nei dettagli, ma questo serve a lavorare in modo veramente corale.

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Durante le esecuzioni in concerto accadono comportamenti individuali imprevisti, che magari divergono dalla visione delle prove?

Si spera di sì, se non è una follia o un incidente, se ha un significato musicale, l’inventiva è sempre benaccetta. Il nostro modo di provare fa sì che il gruppo di musicisti sia capace di reagire a questi stimoli, lavoriamo in modo che il concerto non assomigli alle prove ma sia un ulteriore momento di ricerca. Quelli che chiedono – magari dopo due ore che stiamo parlando di due battute – “ma allora come lo si fa in concerto?” di solito sono nuovi e non hanno ancora capito bene come funzioniamo. Senza imprevisti si mette il pilota automatico e la routine prende il sopravvento, proprio quello che non vogliamo fare.

Il vostro lavoro suscita speranza, giovani che si auto-organizzano, siete un modello nuovo di produzione culturale?

Alla fine dei concerti c’è sempre un momento di discussione con il pubblico e spesso viene fatta questa considerazione, che siamo anche un modello positivo di società, e ci fa molto piacere considerarlo. Un modello scomodo, basato sulla responsabilità individuale e collettiva, che richiede molto impegno e interesse autentico.

Avete trovato ascolto in un’amministrazione pubblica che ha sostenuto la vostra attività

Il comune di Formigine ci ha dato molto, e abbiamo restituito molto. Noi abbiamo coperto un bisogno in mancanza assoluta di offerta musicale. Siamo partiti da luoghi piccoli fuori dei soliti circuiti, mandando descrizioni del progetto e richieste di sostegno a comuni di Emilia Romagna e Toscana, aree di provenienza del primo nucleo di musicisti. Così abbiamo iniziato ad andare a Formigine il più possibile, anche sei settimane all’anno, concludendo sempre lo studio con un concerto pubblico. Ci hanno dato molto perché ci hanno ospitati e siamo diventati di famiglia, è buffo vedere tedeschi e norvegesi che si sentono a casa in provincia di Modena. E poi le scuole, almeno una volta durante la settimana incontriamo bambini e ragazzi, le iscrizioni alla scuola di musica comunale sono esplose negli ultimi anni.

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Siete musicisti di paesi diversi, ci sono differenze di gusto, stile, preparazione?

Fra musicisti queste differenze si colgono poco, facciamo musica insieme da anni, direi che non vedo specificità nazionali, dipende più dal gusto e dai caratteri personali. Gli italiani si difendono bene.

C’è molto turn-over o siete un gruppo di musicisti stabile?

C’è un gruppo di tredici membri che è un po’ il cuore anche organizzativo della Spira, mentre per le sinfonie ottocentesche siamo di solito almeno una quarantina. C’è sempre bisogno di musicisti nuovi, non tutti possono partecipare stabilmente per motivi di tempo e altri impegni. Per la ricerca usiamo il passaparola fra le persone già coinvolte. I musicisti vengono invitati, a volte si trovano bene altre no, non tutti sono adatti al nostro modo di lavorare, siamo un progetto di studio, proviamo per giornate intere in modo molto intenso.

È un lavoro libero, anche da impegni economici, che bilancia il lavoro “normale”

Sì, è una boccata d’ossigeno per noi assolutamente necessaria. Altrimenti la routine appiattisce la vivacità intellettuale e artistica, un destino quasi inevitabile nella stragrande maggioranza dei musicisti, anche ai massimi livelli. I concerti che facciamo negli ambiti istituzionali in Europa e in Italia ci danno risorse economiche essenziali.

La spirale del vostro nome è un simbolo affascinante, può espandersi nel grande e nel piccolo all’infinito

Ogni parte della spirale di Bernoulli è sovrapponibile a se stessa, per dire che ogni persona della Spira, ogni formazione di due, quattro o più musicisti, e tutti insieme, sono sempre la Spira mirabilis nell’essenza e nel modo di lavorare.

Questi musicisti straordinari si muovono in un ambito che è tutt’altro che provinciale. Nel 2012 Spira mirabilis è stato il primo progetto italiano scelto come ambasciatore della cultura europea, il compositore Colin Matthews ha scritto per loro un brano chiamato Spiralling. C’è più di una speranza nella musica. Grazie.

Giancarlo Zaffaroni

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Questo articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 22 – Marzo 2015.

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