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Da Paride

- Non sento niente.
- Niente?
- No.
- Prova a spingere più in basso.
Niente?
- No.

La ragazza dai capelli rossi guardava indifferente una foto che aveva in mano. Con l’altra mano teneva sollevata a stento la cornetta di un telefono di fine anni ’90, di quelli squadrati con i tasti per i numeri e il filo a ricciolo. Era seduta su un letto verde acido, col cuscino azzurro ancora scoperto, e le lenzuola sistemate alla ben e meglio. Sul comodino e i muri intorno, un discreto numero di oggetti di cui non le importava più. Una sveglia di pelouche maculata e orecchiuta ticchettava sterile. Il lettore multimediale del pc era in play, ma le casse erano spente. Una linea elettrica monitorava l’andamento di una canzone rispettosamente muta.
La ragazza dai capelli rossi era scocciata. La sua voce era spenta. Una gamba dondolava avanti e indietro, l’altra era incrociata sotto il sedere. Le sue calze erano nere, rigate di tanto in tanto da un bordeaux sbiadito. Cominciò a sventolare la foto, guardandole attraverso. Dall’altro capo del telefono qualcuno faceva delle domande, qualcuno autoritario, qualcuno professionalmente indifferente e responsabilmente preoccupato. Lei si toglieva questo dente, rispondendo a monosillabi. Ultimamente leggeva molto. Non aveva grande fantasia nel creare una sua vita, così ne leggeva delle altre. Leggeva di posti e di modi di essere. Leggeva di sentimenti e coincidenze, spesso improbabili, spesso banali. Non cercava il riscontro nella quotidianità, non era quel tipo di idiota. Non stava fuggendo da niente. “È che non ho voglia”, aveva provato a spiegare all’inizio. Ma a poco era servito. D’altronde, vivere a carico di qualcun altro non può essere davvero gratis. E allora si toglieva questo dente.
Guardava anche i cortometraggi in bianco e nero sulla Rai, alle quattro del mattino. “Cosa ti svegli a fare alle 4 del mattino, se non fai un cazzo tutto il giorno?”, sbottava sua madre, quando se ne accorgeva. “Cosa mi sveglio a fare, se non faccio un cazzo tutto il giorno?”.
Era una ragazza sveglia. Dopo un quarto d’ora chiuse il telefono con spossata gentilezza. Mise giù il ricevitore come se pesasse cento chili. Si sdraiò a pancia in su. Pensò: “Non sento niente”. “Prova più in basso”, si disse. Pensò: “Non sento niente”.
Lanciò uno sguardo al libro aperto ai piedi del letto. Non corrisposto. Andò in bagno a spazzolarsi i capelli. Si fissò negli occhi per sei minuti circa. Tornò in camera e accese le casse, volume medio, accettabile. Bassi medi, accettabili. Tornò in bagno, si piegò sul water e vomitò. Tirò lo scarico e si lavò i denti. Si fissò negli occhi per circa quattro minuti. Per fortuna aveva il bagno in camera. Certi eventi fisiologici sono imprevedibili.
Andò verso il letto, prese la foto. Nella cornice bianca c’era una ragazza, una ragazza coi capelli rossi. La guardò negli occhi per un minuto e mezzo, circa. Girò la foto: “Ricordami.”, scrisse. Aprì il cassetto sotto la scrivania, tirò fuori il suo diario, lo aprì e cercò l’ultima pagina; poi afferrò un pennarello viola e scrisse la data in alto a sinistra.
Infilò la foto tra quelle pagine, mise a posto il diario e richiuse il cassetto.


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