Magazine Lifestyle

Spoleto, la signora delle selve.

Creato il 27 novembre 2014 da Lilianaadamo
Spoleto, la signora delle selve.

Spoleto segna il confine meridionale della Valle Umbra, esattamente come Perugia ne segna quello settentrionale. Il carattere rupestre e la bellezza altera di questa valle, sembrano qui intensificarsi, mentre in lontananza già si delineano le ciminiere di Terni.

Virgilio ne cantò le acque

Fredde e limpidissime del Clitunno, che scorre lungo il bordo della strada che giunge alla città.

Spoleto, la signora delle selve.

Spoleto, la signora delle selve.

Le Fonti sono costituite da numerose polle d'acqua sorgiva che formano un laghetto circondato da pioppi e salici piangenti e da qui ha origine il fiume. Il volume delle sue acque è sempre costante, il letto che si adagia sulle sponde erbose e senza alvei mai straripa e neanche si riduce per la siccità. Sarà stato per il suo carattere imperscrutabile che gli antichi lo considerarono pari a un dio dell'Olimpo. Gli eressero templi, gli dedicarono sacrifici e il luogo intero fu permeato da un'intensa sacralità pagana che si riconosceva nello spirito della natura.

Spoleto, la signora delle selve.

Spoleto, la signora delle selve.

A torto si ritiene che il tempietto che sorge presso Pissignano, non lontano dalle Fonti, sia un superstite di questa cultura (il fiume era sacro al dio Clitunno, celebre per i suoi oracoli), si tratterebbe invece di una cappelletta paleocristiana risalente, forse, al V secolo, costruita con elementi tolti ai tempietti pagani e perciò con i criteri dell'architettura pagana classica. L'edificio è costituito da un pronao a quattro colonne corinzie scannellate. un timpano con decorazioni a rilievo. La cella presenta frammenti d'affreschi che documentano la pittura cristiana più antica dell'Umbria. Questo tempietto ci rende l'idea di ciò che dovevano essere i classici templi marmorei, che sorgevano numerosi in questo luogo, purtroppo andati distrutti.

A valle del tempietto affiorano le sorgenti delle Vene del Tempio, che fuoriescono dai calcarei cretacei.

Le acque inusitate del Clitunno e delle sue Fonti hanno ispirato molti poeti e scrittori latini: oltre che Virgilio (nelle Georgiche), Properzio, Plinio il Giovane e molti altri, come Stazio, Silio Italico, Giovenale. Per non parlare poi di Carducci (che dedicò una delle sue Odi proprio alle Fonti) e di Byron.

Dai resoconti di Plinio il Giovane e di Virgilio, sappiamo che le Fonti e lo stesso fiume, erano sostanzialmente diversi da come si presentano oggi; allora era molto più ampio e capace di far scorrere sulla corrente molte navi. Il paesaggio aveva connotati diversi, probabilmente i terremoti del 446 e del 1703 ne occlusero alcune sorgenti, riducendo quindi anche la portata del fiume.

E Francesco ringraziò il Signore alla vista della Valle Spoletina, colpito da tanta bellezza: "Nil jucundius vidi mea valle Spoletana"

Spoleto, la signora delle selve.

Spoleto, la signora delle selve.

A chi vi giunge, per la prima volta, si annuncia in lontananza con la sua Rocca e la cuspide del Duomo che s'intravede fra le selve di Monteluco; Spoleto è letteralmente avvolta da una cerchia di monti ricoperti di lecci e di querce, e " anche qui la natura e la storia si compongono in un accordo perfetto " (I).

Nobilissima e antichissima città, le cui origini sono scritte soprattutto nei tratti di mura pelagiche, che racchiusero il primo centro creato dagli Umbri, con bronzetti votivi rinvenuti alle pendici del colle di Sant'Elia e attualmente conservati nel Museo Archeologico.

Le mura urbiche formano una sorta di fortificazione, rappresentata da enormi macigni asimmetrici e grezzi, ma con criteri statici perfetti; segni di una primordiale civiltà, che ritroviamo anche ad Amelia. A Spoleto le tracce delle diverse epoche e civiltà paiono stratificate, proprio come stratificate sono le sue mura: sopra il livello umbro viene quello etrusco, poi quello romano, medievale ed infine comunale.

In epoca romana la città possedeva un anfiteatro di tali proporzioni da accogliere, pare, molte migliaia di spettatori. Ciò che ne rimane oggi, nell'attuale piazza del Mercato, testimonia non solo le distruttive invasioni barbariche (Totila se ne servì come fortezza), ma anche la cecità del potere ecclesiastico, quando il cardinale Albornoz lo trasformò in una cava di buon materiale per costruirsi la sua Rocca.

"Quod non fecerunt barbari, fecit Aegidius"!

Vestigie romane sono pure l' Arco di Druso, in parte interrato, la domus di Vespasia Polla, (madre di Vespasiano) e la cosiddetta Porta Fuga. Si tratta della fuga d' Annibale, che dopo la vittoria sul Trasimeno era arrivato baldanzoso a conquistare la Valle Umbra, ma non aveva fatto i dovuti conti con il furore travolgente nella vendetta degli spoletini: tutta la città preparò un calderone ribollente d'olio, che si riversò a flutti sui Fenici, segnando l'inizio della fine per il conquistatore Annibale e il suo esercito.

"Pare che gli Spoletini avessero preso tale dimestichezza con l'olio caldo, visti gli splendidi risultati ottenuti, che spesso anche in seguito, lo applicarono alle loro vicende storiche" (II). Infatti, accanto a Porta Fuga, si trova la medievale Torre dell'Olio che, naturalmente, serviva a dissuadere i nemici, appressati alla mura, a entrare in città.

L'orrore di Formoso, la mummia trascinata per le strade

Spoleto conobbe anni travagliati, ma la sua storia sale ad un alto livello, influenzando perfino le sorti del regno longobardo, quando, per la sua particolare posizione, divenne il centro più potente dei trentasei ducati in cui si divideva l'antico dominio.

Nel IX secolo il duca Guido, che vantava legami di parentela con l'imperatore carolingio, si fece avanti con il figlio Lamberto, riuscendo ad ottenere il regno di Spoleto, che sarebbe così divenuta pari ad un' " Aquisgrana italiana" (III), ma da lì a poco, il tedesco Arnolfo di Corinzia, ne usurpò il potere con la collaborazione del papa Formoso. Morto quest'ultimo e tornato in Germania Arnolfo, tremenda fu la vendetta dei partigiani spoletini e del papa Stefano III, che fece disseppellire il suo predecessore per avviare un insensato processo al suo cadavere! Narra il Gregorovius che: " Gli furono strappati di dosso i vestimenti pontefici, recisi le tre dita della mano destra con cui i Latini sogliono benedire, e con grida barbariche gettarono il cadavere fuori dall'aula: lo trascinarono per le vie, e fra le urla della plebe, venne gettato nel Tevere" (IV).

La decadenza di Spoleto iniziò nel 1155 con l'avvento delle spietate incursioni del Barbarossa. La città, non si compiacque dell'autonomia di una fiorente cultura comunale come per altre città, ma, anzi, il cardinale Albornoz vi reintegrerò l'autorità pontificia; farà costruire da Gattapone da Gubbio la poderosa Rocca, che da opera militare divenne una sontuosa residenza rinascimentale del Governatore della città.

Vi rimase temporaneamente anche Lucrezia Borgia, nominata dal padre Governatrice di Spoleto. E la leggenda vuole che proprio durante il suo soggiorno spoletino ella stabilisse durevoli e propizi rapporti con alcuni perugini esperti in determinati prodotti chimici...

L'Albornoz commissionò al Gattapone anche la costruzione dell'ardito Ponte delle Torri, che, utilizzando un antecedente acquedotto romano, scavalca il dirupo fra il poggio della Rocca e il punto d'appoggio di Monteluco, con un salto di 230 metri di lunghezza e 80 d'altezza in dieci imponenti arcate.

La Rocca, il Ponte delle Torri e sullo sfondo le selve ombrose, i pendii coperti di boschi, rocce e dirupi,l elementi selvaggi e primitivi modellano uno scenario che racchiude tutta la "forza e la grandiosità" del paesaggio umbro, ed anche questo è un paesaggio " tutto intensamente penetrato dallo spirito della storia" (V).

Giungeva a Spoleto fra' Filippo Lippi, fiorentino, pittore e amante delle belle donne

Frate carmelitano e pittore di grande fama, fu invitato dalla comunità spoletina ad affrescare l'abside del Duomo. L'illustre monumento cittadino, in stile romanico di tipologia umbra, era sorto alla fine del secolo XII sulle rovine di un'antica cattedrale, distrutta da Federico Barbarossa.

Lippi era venuto a Spoleto accompagnato dal discepolo e aiuto fra' Diamante e dal figlio, Filippino, legittimamente riconosciuto e destinato a seguire l'arte paterna. Il giovane era nato da una relazione con una modella del padre, Lucrezia Buti, che, naturalmente, non fu certo l'unica amante del frate - pittore.

Il Vasari lo definisce invaghito di un incontenibile erotismo, che si trasmetteva anche sulla tela. A Spoleto, non esita ad allacciare tresche, come d'altronde aveva sempre fatto in ogni luogo, anche se ormai cinquantaduenne.

Appena ultimata la sua opera, muore proprio in questa città, il 10 ottobre del 1469.

Il monumento funebre a lui dedicato fu curato dallo stesso figlio, con un'epigrafe del Poliziano, visibile oggi nella porzione a destra del transetto.

Le sue ultime opere spoletine sono fra le più belle: gli affreschi sono divisi in tre fasi, riguardanti la vita della Vergine, l'Annunciazione a sinistra, la Natività a destra, la Morte della Vergine, al centro, mentre sulla volta si svolge l'Incoronazione.

Nulla, né della cultura, né del paesaggio della Valle Spoletana, sembra influenzare la sua opera.

"Il paesaggio di Lippi non è umbro, né toscano, è un simbolo astratto, ma pur sempre un capolavoro, fra i maggiori dell'arte italiana" (VI).

Note:

(I - VII) - Da " Viaggio in Umbria ", di Averardo Montesperelli. Natale Simonelli Editore. Perugia 1978;

pagg. 111 - 113 - 114 - 115 - 118.


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :