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Spoon River d’Ogliastra 18: gravellos de monte. Sulla Grande Guerra e alcune citazioni da “Un anno sull’Altipiano” di Emilio Lussu.

Creato il 09 agosto 2014 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
gravellosdemontedi Rina Brundu. Alcuni giorni fa, la futura regina d’Inghilterra Kate Middleton è stata papparazzata visibilmente commossa dentro quello che pareva un vasto giardino di fiori vermigli mentre rendeva omaggio ai caduti britannici della Prima Guerra Mondiale. Tutto si può dire della terra di Sua Maestà Elisabetta II tranne che non sappia rendere merito a coloro che hanno dato la vita per difenderne i confini. Per ricordare l’inizio della Grande Guerra (28 luglio 1914 – 11 novembre 2018), hanno infatti trasformato i cortili della Torre di Londra in un mare di papaveri rossi (al momento composto da 120000 fiori finti che diventeranno presto quasi un milione); hanno insomma realizzato un’opera d’arte titolata “Blood Swept Lands and Seas of Red” (Il sangue spazzolò le terre e i mari di rosso) per ricordare, idealmente, ciascuno dei loro caduti.

Beata quella terra che sa onorare i propri morti, e i propri eroi. Mi sarà sfuggito e certamente tra le nostri vallate italiche e sarde ci saranno stati infiniti momenti dedicati a ricordare i nostri caduti in quella medesima occasione, sebbene tali occasioni non abbiano avuto altrettanta visibilità mediatica. Vorrei ricordare qui i morti ogliastrini e villanovesi in particolare, e quelli che sono tornati. Vorrei ricordarli nell’unica maniera in cui mi è possibile farlo: mettendo insieme, come in un puzzle, momenti rubati alla mia gioventù. Momenti che ti capitava di testimoniare più per caso che per intenzionalità e la cui importanza riesci a comprendere pienamente solo adesso che il tempo è passato e puoi guardare a quei discorsi di allora da altra prospettiva.

Ora che ci penso, ogni 4 di novembre, giorno dedicato ai morti in guerra, all’immancabile messa di don Vinante partecipavano tutti gli anziani del paese, qualcuno portava la bandiera: era l’unico giorno in cui era permesso portare una bandiera in chiesa. C’era tanto non-detto in quelle occasioni, un dignitoso non-detto che per ovvie ragioni non potevo capire ancora. Il fatto era che la guerra per i nostri ragazzi del ’99 delle zone interne era stata una “faccenda estranea”, come erano sempre state estranee le grandi regioni che governavano il mondo alle logiche ribelli e solitarie delle assolate vallate del Gennargentu dove quei ragazzi erano cresciuti. Il fatto era che quei ragazzi nulla sapevano del re, dei suoi cortigiani, non ne parlavano la lingua, non la comprendevano e venivano da secoli di reclusione tra le montagne di Sardegna, non desideravano neppure nient’altro.

Eppure andarono, numerosi. Andarono a combattere ragioni non loro, che non li appartenevano. E per quelle ragioni in tanti morirono dopo essersi battuti come leoni, come solo i sardi sanno fare, gli unici soldati italiani a guadagnarsi il rispetto degli inglesi, mentre gli austriaci li chiamavano Die Reuten Teufel, i diavoli rossi (a causa di un nastro rosso che portavano), da cui DIMONIOS. In molti si ribellarono, fuggirono, altri tornarono fantasmi di loro stessi, fantasmi infestati da altri fantasmi che erano quelli dei corpi morti, squartati, dilaniati di migliaia di altri giovani uomini, nati in terre diverse, che avevano dovuto spostare con le baionette, senza troppi complimenti, per farsi spazio, in prima linea. Tornarono vinti da un dolore destinato a non cessare mai, da un dolore muto che sarebbe stato messo a tacere solo da una morte che a volte, per beffa o per destino, pareva non arrivare mai.

A tutti costoro, senza troppe altre parole, regaliamo un oceano infinito di gravellos de monte, garofani di montagna. Un fiore semplice, rosato e bellissimo che a volte cresce rigoglioso tra le nostre vallate ogliastrine e nella sua semplicità sa dare incredibile gioia. Di sicuro ne dava a me quando, migliaia di anni fa (così mi sembra adesso), al ritorno da una dura giornata nei campi mio zio non scordava di portamene un mazzo coloratissimo e profumato. Sono tenaci quei fiori, forse meno sgargianti dei papaveri rossi, ma si fanno ricordare.

Featured image, un garofano di montagna. Seconda immagine, sotto, Emilio Lussu.

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Emilio_Lussu_WWIRiprendo qui di seguito alcuni “estratti” da UN ANNO SULL’ALTIPIANO di Emilio Lussu, proposti da Wikipedia Italia che ringrazio.

Incipit

Alla fine maggio 1916, la mia brigata – reggimenti 399° e 400° – stava ancora sul Carso. Sin dall’inizio della guerra, essa aveva combattuto solo su quel fronte. Per noi, era ormai diventato insopportabile. Ogni palmo di terra ci ricordava un combattimento o la tomba di un compagno caduto. Non avevamo fatto altro che conquistare trincee, trincee e trincee. Dopo quella dei “gatti rossi”, era venuta quella dei “gatti neri”, poi quella dei “gatti verdi”. Ma la situazione era sempre la stessa. Presa una trincea, bisognava conquistarne un’altra. Trieste era sempre là, di fronte al golfo, alla stessa distanza, stanca. La nostra artiglieria non vi aveva voluto tirare un sol colpo. Il duca d’Aosta, nostro comandante d’armata, la citava ogni volta, negli ordini del giorno e nei discorsi, per animare i combattenti.

Citazioni

  • L’assalto! Dove si andava? Si abbandonavano i ripari e si usciva. Dove? Le mitragliatrici, tutte, sdraiate sul ventre imbottito di cartucce, ci aspettavano. Chi non ha conosciuto quegli istanti, non ha conosciuto la guerra.
  • Sentivo delle ondate di follia avvicinarsi e sparire. A tratti, sentivo il cervello sciaguattare nella scatola cranica, come l’acqua agitata in una bottiglia.
  • Fare la guerra è una cosa, uccidere un uomo è un’altra cosa.
  • Il caporale si rovesciò indietro e cadde su di noi. La palla lo aveva colpito alla sommità del petto, sotto la clavicola, attraversandolo da parte a parte. E il sangue gli usciva dalla bocca. Gli occhi chiusi, il respiro affannoso, mormorava: «Non è niente, signor tenente».
  • Prima tanto forte e pieno di vita, ora era sfinito. Steso sul lettino da campo, le labbra bianche, immobile, sembrava un cadavere. Solo una contrazione della bocca, simile ad un sorriso amaro, mostrava ch’egli viveva e soffriva.
  • Non è vero che l’istinto di conservazione sia una legge assoluta della vita. Vi sono dei momenti, in cui la vita pesa più dell’attesa della morte.

Explicit

Gli ufficiali trattenevano il respiro. Non Avevano sentito le parole dell’aiutante maggiore, ma, dalle mie risposte, avevano capito tutto. Muti, mi guardavano negli occhi, con un’espressione di angoscia. il tenente di cavalleria riempì il bicchiere e disse: – Beviamo alla Bainsizza! – I colleghi l’imitarono. L’offensiva sulla Bainsizza! La guerra ricominciava.

[Emilio Lussu, Un anno sull'Altipiano, Einaudi.]


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