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Staffette improbabili

Creato il 14 febbraio 2014 da Giuseppe Lombardo @giuslom
Staffette improbabiliEnrico lo aveva giurato: con Matteo non avrò problemi, prevarrà il buon senso toscano. E il primo cittadino fiorentino gli era andato incontro a braccia aperte: premier subito? Ma non scherziamo. Eppure qualcosa si è rotto nel magico cerchio del Partito democratico: ancora una volta la composizione alchemica d’interessi così eterogenei ha generato una frattura. Polito ha giustamente ricordato come la Dc garantisse una certa continuità istituzionale, una rodata vocazione governativa, a dispetto delle scorribande interne e nonostante la presenza di squali e squaletti d’acqua dolce. Nel Pd è vero il contrario: ogni battesimo elettorale si conclude con un de profundis. Veltroni vince la girandola delle primarie e Prodi è costretto a lasciare Palazzo Chigi; Renzi diventa l’azionista di maggioranza del governo e l’esecutivo Letta si squaglia come neve al sole. Promesse future prendono il sopravvento sulle certezze del presente, con tutto ciò che ne consegue sul piano della stabilità e della credibilità di fronte all’opinione pubblica.
Si pescano dal trapassato inedite formule tattiche, spregiudicate pietanze d’annata – nate male e cresciute peggio – vengono servite a dispetto di un odore acre e pungente. Si parla di staffetta e con perentoria stupidità si cita l’esempio craxiano, la famigerata faida con De Mita. Altri tempi, indubbiamente, ma a ben guardare anche allora il campionario strategico partorì qualcosa di fallimentare: il governo Craxi, entrato in carica il 4 agosto 1983, cedette il passo il 17 aprile 1987. Ne venne fuori il Fanfani VI: tre mesi di grigiume diccì prima del tracollo della coalizione fra le macerie della legislatura. Non so se questo sia l’auspicio di Renzi e francamente nemmeno me ne curo. Il segretario del principale partito della sinistra italiana aveva dinanzi a sé una straordinaria possibilità: esercitare immediatamente un’indebita pressione su un governo cui non legava le sue sorti, costruendo parimenti un’alternativa rigorosa al folklore populistico in voga in Transatlantico: un’alternativa basata su un liberalismo sociale serio, sul dialogo fitto con associazioni e movimenti d’area, per riscoprire il patrimonio di una perduta identità riformista. Avremo invece una strampalata coalizione pseudo-costituente, un’allegra ammucchiata con democratici, forzisti, alfaniani, montiani, vendoliani e leghisti, coinvolti tutti a vario livello. Più che una proposta plausibile, sembra ad occhio e croce un casino improbabile.

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