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Startup? La parola ai professionisti

Creato il 10 aprile 2014 da Propostalavoro @propostalavoro

Startup? La parola ai professionisti"Sono questi i nuovi imprenditori?", ci eravamo chiesti in un precedente articolo, parlando di startup e delle aspettative degli operatori economici riguardo a questo fenomeno.

La domanda è arrivata anche su LinkedIn (vedi la discussione a questo link), dove si è alzato uno stuolo di risposte davvero notevole. Molte sono interessanti: vorremmo proporne alcune in questo mini-articolo.

Emergono alcune tematiche di fondo: la mancanza di un contesto imprenditoriale recettivo verso la creazione di nuove imprese (più che l'impedimento della burocrazia), la speranza come pilastro dell'imprenditorialità, ed il ruolo del venture capitalist nella promozione di nuove realtà produttive.

Sicuri che i commenti qui di seguito saranno di spunto per alimentare il futuro dibattito, lascio la parola ai commentatori.

Buona lettura!

«Rispondo alla domanda: sono questi i nuovi imprenditori ? No. Sono una parte della "nuova" imprenditoria, a fianco di quella di "stampo" tradizionale che sostiene il 90% del PIL. Bolla o opportunità ? Entrambe le cose direi. Le novità si portano sempre appresso il classico fenomeno della bolla speculativa. Fa parte del nostro modello economico. Le opportunità è chiaro che ci sono, e lo sanno bene gli investitori istituzionali (e le multinazionali). Successo o trappola ? Beh, questo dipende dalle scelte che fanno gli imprenditori. Certo che se i nostri neoimprenditori continuano a considerare "struttura" solo le competenze core, la vedo molto grigia» Andrea Lodi - Aziendalista

«L’argomento start up, collegato anche alla questione del venture capital, è diventato recentemente di moda e visto come una soluzione per lo sviluppo imprenditoriale in Italia. Non che le start up non possano avere questa funzione, ma bisogna considerare che vi è un certo numero di illusioni che bisogna evitare: 

• Le start up vengono spesso presentate come una novità ma in realtà sono apparse in Europa con il venture capital già dalla metà degli anni 80 vi è quindi una certa esperienza riguardo al loro impatto e successo socio-economico 
• Una start up non ha più probabilità di successo di qualsiasi altra nuova impresa anche se è spesso caratterizzata da potenziali impatti socio-economici molto più elevati 
• Comunemente si considera un tasso di successo del 20-25% ma non mi stupisce che in Italia sia solo del 10%. In effetti le incertezze di natura tecnica ed economica che accompagnano una start up sono più o meno le stesse nei vari paesi e il fattore discriminante è il contesto in cui vive l’impresa. Si osserva che ad esempio negli USA o in UK il successo sembra maggiore e ciò dovuto soprattutto un contesto che facilita la creazione di imprese 
Un discorso a parte merita il ruolo del VC con le start up. Se il VC vuole avere un profitto deve ottenere un successo su una start up tale da compensare le perdite che ha con le altre. Il VC non può utilizzare la tipica strategia di portafoglio, usata in campo finanziario, poiché il numero di start up che dovrebbe finanziare per avere un campione statisticamente rilevante è al di fuori delle sue possibilità di finanziamento (skew distribution oucomes). Ne consegue che la strategia delle VC consiste nel prendersi in carico start up che hanno già ben avanzato il processo di riduzione dell’incertezza e che hanno un potenziale economico fortemente elevato. Questo implica una forte selezione dei progetti e del tipo d’innovazione che finanziano. A questo punto si apre un discorso se il VC può veramente finanziare le innovazioni che l’Italia ha bisogno nella sua struttura industriale ricca di PMI
». Angelo Bonomi - Consultant Technology

«L’entusiasmo dà il profumo che consente la voglia di intraprendere, ma poi occorre una forte e concreta speranza, e tanto dinamismo (fatica e sudore, ansia e preveggenza). E un rapporto aperto con l’altro per allargare lo sguardo e comprendere un cammino di gruppo. Soli si può partire ma soli non si arriva. Soli al traguardo è per una gara ma per il lavoro non funziona». Pier Z. Saffirio - Partner presso Andromedia

«Ritorno alla domanda iniziale: startup, bolla o imprenditorialità? 
Non vorrei dar l'impressione di esordire in modo banale dicendo: il mondo cambia, tutto cambia etc etc, ma in effetti se parliamo di startup nel senso che oggi si intende, ovvero imprese tecnologiche, ad elevato potenziale su modelli di business fortemente scalabili (perchè se invece intendiamo semplicemente "nuove imprese" allora non sono una novità), bene il punto è che queste sono il frutto di dinamiche totalmente nuove che, abilitate dalla tecnologia, cambiano i paradigmi che abbiamo imparato a conoscere nei decenni. Il venture Capital ha storicamente puntato su business caratterizzati da grandi barriere d'ingresso, tecnologiche o finanziarie, ma con bassa incertezza di mercato; oggi la situazione si è capovolta: barriere tecnologiche minime, possibilità di sviluppare una nuova idea in pochi giorni, ma completa incertezza su come il mercato reagirà! Conseguenza? Sono nate le fabbriche di startup! Vedi YCombinator, per fare l'esempio più celebre. Giocano sui grandi numeri, con costi unitari minimi, in attesa del campione. Non penso si debba definire una bolla, piuttosto un processo di produzione in serie, con scarti elevati ma dai costi ridotti; in una visione disincantata si potrebbe definire il prezzo da pagare per avere ogni tanto una Facebook o una Fab e così via. Molti degli "scarti" sono ragazzi che hanno lavorato magari gratis per giorni e notti inseguendo una passione o un sogno, ma anche questo non è a tutti i costi sbagliato; chi è veramente bravo ritenterà; qualcuno, pur senza diventare miliardario (in euro o dollari) smetterà di fare lo startupparo e diverrà imprenditore
». Piermichele Bosio – General Manager, CTO


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