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State of Play: Adrenalinico Giornalismo Vecchio Stampo

Creato il 06 giugno 2012 da Dietrolequinte @DlqMagazine
Postato il giugno 6, 2012 | CINEMA | Autore: Vittoria Averni

State of Play: Adrenalinico Giornalismo Vecchio StampoProbabilmente uno dei film a cui viene maggiormente associato Russell Crowe è “Il gladiatore”. Svestiti i panni del legionario Massimo Decimo Meridio, tra i suoi ruoli più interessanti degli ultimi anni segnaliamo quello del giornalista Cal McAffrey nella pellicola “State of Play” di Kevin Macdonald (regista vincitore del Premio Oscar per il miglior documentario nel 2000 con “Un giorno a settembre” e noto per il pluripremiato “L’ultimo re di Scozia”) uscita in Italia nell’aprile 2009. Thriller basato su una miniserie a puntate trasmessa dalla BBC nel 2003, “State of Play” ruota attorno alla scoperta dell’omicidio dell’assistente del membro del congresso Stephen Collins (Ben Affleck). Dalle lacrime di quest’ultimo durante una conferenza stampa sotto l’occhio vigile delle telecamere si scatenano una serie di avvenimenti a un ritmo quasi forsennato. Cal, in quanto giornalista ma anche ex compagno di studi di Stephen, si ritrova a dover investigare sull’amico e sugli eventi che lo coinvolgono: così abbiamo modo di seguire dall’interno un’inchiesta giornalistica, il duro e a volte perfino pericoloso lavoro di Cal e di Della Frye (Rachel McAdams), giovane reporter e blogger che lo aiuterà nelle sue ricerche.

State of Play: Adrenalinico Giornalismo Vecchio Stampo

Un thriller politico decisamente avvincente quello girato da Kevin Macdonald, che tra colpi di scena e timeline del giornale scorre fluidamente per 127 minuti senza mai stancare, con un ritmo brioso e coinvolgente non permettendo allo spettatore di staccare gli occhi dallo schermo. Complice una colonna sonora che alterna ai brani composti da Alex Heffes alcune chicche, tra cui spicca “Long as I Can See the Light” dei Creedence Clearwater Revival. All’ottima riuscita del film contribuiscono sicuramente la mirabili interpretazioni dell’attore neozelandese e di Ben Affleck, che calzano entrambi a pennello i loro ruoli inizialmente affidati a Brad Pitt e Edward Norton. Ma ciò che caratterizza il lungometraggio è il particolare montaggio (curato da Justine Wright, ormai abituale collaboratrice del regista) molto serrato, che alterna ai dialoghi, permeati talvolta di ironia, scene di tensione. La frenesia, il continuo aggiornamento delle notizie, a volte utilizzato per non perdere fette di mercato, e la grande teatralità con cui la politica comunica ci porta in una dimensione stressata e stressante.

State of Play: Adrenalinico Giornalismo Vecchio Stampo

Ed è in questo presente di continui “refresh” che si staglia il dialogo-conflitto tra vecchi e nuovi media, tra carta stampata e blog. C’è la crisi di uno storico quotidiano, che si sente incalzare, se non quasi surclassare, dalla versione on-line e che per continuare a resistere deve scendere a compromessi. E come rappresentanti dei due modi di far giornalismo vi è da una parte Russell Crowe (con capello lungo e ribelle), reporter navigato appartenete alla scuola classica del giornalismo d’inchiesta che verifica personalmente l’affidabilità delle fonti, e dall’altra Rachel McAdams, che come tutti i blogger ha dalla sua la velocità degli aggiornamenti. Da cui la diatriba tra il diritto-dovere all’informazione, la ricerca della verità nuda e cruda e le (purtroppo) pressanti ragioni economiche.

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E a vincere poi come nelle classiche battaglie tra bene e male è la verità, perennemente ricercata da Cal, che al pari di un missionario si erge su tutti gli altri personaggi, spesso mossi da altri fini ed interessi nelle loro azioni. Egli infatti si configura come simbolo del vecchio giornalismo, “watchdog” che controlla attentamente, si appura della veridicità dei fatti, prima di poter calunniare ingiustamente qualcuno ed infine informa i lettori. Non sceglie di schierarsi dalla parte dell’amico, piuttosto che d’un altro, ma si schiera dalla parte della verità. Nella realtà, purtroppo, a vincere sono spesso le ragioni economiche che quasi mai conciliano con quelle dell’informazione. L’unica pecca a mio avviso è il finale, sorprendente senza dubbio, ma che si lega male con l’intera storia. Di grande effetto invece i titoli di coda che chiudono con l’immagine poetica e nostalgica del giornale che va in stampa.

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