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Stefano Iori “L’anima aggiunta” Edizioni SEAM, 2014: una recensione di Rosa Pierno

Creato il 09 luglio 2015 da Criticaimpura @CriticaImpura
Stefano Iori “L’anima aggiunta”  Edizioni SEAM, 2014Stefano Iori “L’anima aggiunta” Edizioni SEAM, 2014

Di ROSA PIERNO

Ancorché nascere da un elenco, dal convocare plurime cose sulla pagina, per trarne quel poco che basta a un’illuminazione pudica e sottile, quasi larvale, ma promessa concreta, la poesia di Stefano Iori, quasi accerchia i sinonimi, li segue dappresso, li pedina per costringere a rivelare la ricchezza semantica che il loro accostamento sprigiona: “Arcano, enigma / mistero / rebus / rompicapo, sfinge / Trame fitte d’incertezza  / sfibrano del riso / gli echi più sinceri / Dormire? Morire?” E’, d’altronde, evidente che la loro naturale prossimità sinonimica renda in qualche modo superflua la loro coesistenza, ne svaluti il senso denotativo, ne allarghi la trama facendo scivolare via la parte sostanziale. Ecco, in questo processo si coagula ciò che Iori cerca: lo scarto che apre, determinando un nuovo luogo concettuale, mai fra l’altro sganciato da quella che è una percezione fisica, il riso, in questo caso. In altri casi, è la percezione della distanza fisica che diventa distanza concettuale come in Nel ghetto, al terzo piano di una via stretta, dove “Orecchio turbato, / afona parola / fastidioso risultato / dell’acustica beffarda / Inutile frastuono / vana parola” conseguono la chiusa: “Nell’isola sospesa / non si prende e non si dà”, ove si rende manifesto il passaggio consequenziale che per Stefano Iori esiste tra il percepirsi in quanto corpo, il linguaggio e il pensiero.

Ma ove si può cogliere anche un certo gusto per la filastrocca, per il nastro sonoro che si svolge in un cielo sereno, forse solo a volte meno terso,  per un alleggerirsi dal peso dell’esistere, liberandosi da una certa dogmaticità delle parole, fino a sfiorare un lirismo che ha tangenza con la favola, tessendo un mondo di meraviglie visionate alla luce di lucciole e benigni astri: “È l’ignoto! / Nessuna paura / C’è infatti la cura, / sicura, sicura”.

La costruzione di un universo personale, in cui non si dia “l’amaro del consueto” non è di poca fatica! In ogni caso, costruito a fronte di un periglio: “Uomo distratto / uomo sfinito / intendo i mistici”. Se Iori riconosce uno stile comune, un’assenza di pensiero, “un vuoto costruito”, esso è un “Vuoto sovrapposto, / fors’anche opposto, /dove tutto quanto / è a portata di mano”, ma certo da cogliere, da realizzare, da manutere. Scrivere poesie è l’esercizio costante che consente di non avere crolli nella diga, di tenere le materie della realtà e del sogno separate, o meglio di avere plurime realtà a disposizione, di vivere in quella che più aggrada, in cui muoversi come in un’assenza gravitazionale.

Se per diretta ammissione è preferibile per il poeta “la via delle sinapsi intellettive / che la strada della pelle e della carne”, ciò non accadrà però con l’indefettibile piglio dell’intellettuale dogmatico che non s’avveda della secca perdita  da mettere in conto. In fondo, i suoi versi secernono miele in abbondanza per ammansire l’arsura determinata  dalla vita percettiva, ma restano in ascolto, che mai sia detta l’ultima parola. Quando il recinto si sia cancellato, il sé diffratto nelle mille forme di una lucente  parola,  non vi sarà più un io compiacente, insieme alla mancanza di “sete”, di “rito” e di “regno”, ma una via ascetica che passi per la poesia, consentendo di non rinunciare, ma di ampliare orizzonti, di sfondare in altri mondi.

Il sapere consiste anche nell’esercizio di un metodo, nell’ampliamento delle onde prodotte dalla propria posizione, nella capacità di espandersi e accogliere,  di non ammettere barriere e cesure: “L’importante è andare in fiamme / per poi poter volare”. Naturalmente, non mancano i morsi del dubbio, solo il fare potrà sostenere la ricerca: “Equivoca certezza, invero, /  che il fiotto di corallo / sia solo innocuo specchio /  La porpora incendiata / cola lenta e minacciosa”. In qualche modo, la presenza indefettibile della natura, delle sue più flebili manifestazioni vegetali vale quanto una maniglia che persino negli scossoni più duri della vita, riesce a fungere da sostegno. Sarà ancora il tempo di una sana incoscienza, di un andare innanzi in attesa di nuove meraviglie, da inventare, anche se minuscole, che stiano nel palmo di una mano. Come appunto è la poesia: quasi un amuleto contro “un mondo oscuro”.


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