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Stilisti e Stiliti

Creato il 30 novembre 2012 da Albertocapece

stilitaMassimo Pizzoglio per il Simplicissimus

Un’amica che stimo molto, politica “vera” che si impegna sul campo e non sulle poltrone, riferendosi alle critiche che piovono costantemente sul suo “settore” e di cui anch’io sono un prolifico produttore, disse un giorno: “va benissimo criticare, anche aspramente, l’operato di chi fa politica, ma alla fine delle vostre filippiche domandatevi sempre, come fanno i polemisti anglosassoni «…and so what?»”.

“E quindi?” me lo sono sempre domandato, perché per indole, formazione e destino lavorativo, nella vita mi sono state sempre richieste più soluzioni che interrogativi, che mi sono sempre posto comunque per poter fornire, ove possibile, le prime.
Ora mi starei un po’ seccando di tutta una serie di critiche sterili che vengono poste a queste maledette primarie che stanno stracciando l’anima (per essere educato) a tutti quanti, in particolare sul web.

Premesso:

come ben sanno i miei amici iscritti, che non sono mai stato un fan del Pd fin da prima della sua fondazione.
Che questa fusione a freddo, che non ha ancora avuto riscontro sperimentale neppure al Cern di Ginevra, tra trinariciuti e scudocrociati non mi piace e, come ho più volte scritto, non funziona.

Che le strigliate (sempre propositive) che non ho lesinato alla succitata maionese impazzita erano sempre speranzose di stimolare ravvedimenti operosi (anche operai, sempre un po’ trascurati).

Tutto ciò premesso, uno sguardo da terra e non dalla colonna da stilita aiuterebbe a capire che adesso come adesso questo c’è sul tavolo e con questo bisogna preparare la cena.
Tra pochissimi mesi si andrà a votare e, qualunque sia la legge elettorale, produrrà una maggioranza, risicata o rosicata che sia, che comporrà un governo.
Visto il seppuku della destra (non certo la presa di coscienza dei suoi elettori dei disastri da essa causati) è altamente probabile che al suddetto governo vada ciò che attualmente viene definito centrosinistra.
E di questo cosiddetto centrosinistra il candidato premier uscirà da queste maledette primarie. Questa è l’unica certezza.

E poiché tra i due sfidanti le differenze su quello che dicono che vorranno fare una volta al governo non sono marginali, anzi, non mi sembra corretto continuare a sbeffeggiare coloro che, coscientissimi dei limiti e dei tarli dell’attuale situazione generale, sono andati a cercare di arginare la diga domenica scorsa e torneranno a farlo domenica prossima (e chi vuol fare solo la finale, un’altra volta si sveglia prima!).

Sottovalutare tre milioni e rotti di persone che si muovono all’unisono per compiere un’operazione di qualunque genere non è indice di grande attenzione, ma omogeneizzare le motivazione di costoro è segnale di presunzione intellettuale.

Le motivazioni degli elettori sono state poco meno che tre milioni e rotti.

Anche gli stati d’animo, gli spiriti e gli umori con cui costoro hanno affrontato gli eventuali disagi della tenzone sono stati milionari.

(Piccolo inciso: mi sono registrato, con scarsissima convinzione, giovedì scorso alle 16.00 in una efficiente sede  facendo zero coda e ho votato alle 10.30 di domenica in una ben meno efficiente sede perdendo otto minuti otto. Quindi se uno dei candidati è stato così poco informato sul funzionamento della SUA eventuale elezione da doversi registrare la domenica alle 17 e trenta, è il minimo del contrappasso che abbia fatto due ore e passa di coda).

Ora, credo che nessuno, ma neppure i renzichenecchi più sfegatati, abbia fatto tutto ciò per un futuro idilliaco da romanzo rosa.

Quasi (e decida ognuno quanto grande è questo quasi) tutti sono andati a votare per cercare di evitare ciò che ritengono peggio.
Nessuno (e qui il quasi proprio non ci sta) ha pensato di brandire la spada della democrazia e, come San Giorgio, decapitare il drago dell’antipolitica (grilliana o montana che fosse).
Non ho visto quegli sguardi di orgoglioso compiacimento che hanno contraddistinto i partecipanti a quelle che erano considerate svolte epocali o, almeno, pietre miliari della Storia.
La frase più sentita era “ah, sei andato anche tu a fare il tuo dovere?” vedendo il certificato in mano.

Ma, ciò detto, andremo di nuovo domenica, non a cambiare il mondo, ma a tamponare un po’ di una delle mille falle di questo nostro paese.
Ognuno con un suo perché, che può essere condiviso o meno, ma sbertucciato o stilosamente deriso no.

E (e qui parlo per me e per le persone che stimo che hanno votato) con la massima coscienza di ciò che capita, dei burattini e dei burattinai, delle parole e dei fatti, della storia e delle storie, da persone informate eccome sui fatti.
E proprio per questo moltissimi di noi “pecoroni” lunedì, se andrà come abbiamo votato, non sarà comunque soddisfatta, perché il lavoro da fare sarà appena iniziato, ma almeno un piccolo sasso su cui appoggiare il piede dentro questa guazza di fango ci sembrerà di sentirlo.

“E quindi?”

chiedo a molti dei critici strafottenti e choosy che ho letto in grande abbondanza in questi giorni.
Ok, andare a votare le primarie è stata una trovata infantile da babbioni, e allora, invece, cosa proponete?
Visto che dalla cima delle colonne la visione delle piazze semivuote vi è più chiara, visto che vedete le facce indignate e, forse un po’ attutiti da lassù, sentite i mugugni a cui però non seguono barricate, Manin, Marianne o quarti di garibaldini, visto che non si crea in un mese una monolitica coscienza civile di Popolo da parte di una moltitudine che popolo non lo è stata mai:

visto tutto ciò, un consiglio applicabile e non chimerico ce l’avete?
(non vorrei ricordare a così attenti commentatori politici che tutta una sinistra visionaria dalle ultime urne non è proprio neanche uscita)

La sinistra, quella vera, ce la dobbiamo riconquistare, con fatica, per dove si è persa e se chi uscirà vincitore sarà un po’ meno peggio, guadagneremo tempo, che di quello ne abbiamo bruciato abbastanza, a sinistra…
P.s. “un po’” è anche un mio intercalare tormentonico, finirà che dovrò andare a farmi un birrozzo col Pigi.
“dai!” invece lo lascio a don Matteo, che mi sa di questua, che è l’ultima cosa di cui sentiamo il bisogno.


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