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Still Alice: il Coraggio di Affrontare l’Alzheimer

Creato il 22 gennaio 2015 da Dietrolequinte @DlqMagazine
Still Alice: il Coraggio di Affrontare l’Alzheimer

La memoria è una delle qualità fondamentali dell'uomo, poiché la capacità di assimilare e conservare ricordi e nozioni di fatto ci rende differenti da ogni altro essere vivente. La vita di ognuno di noi, dalla nascita alla morte, ruota attorno alla possibilità di costruirsi un proprio bagaglio di immagini mentali e di informazioni che si stratificano col tempo e ci rendono quello che siamo, costituiscono la nostra stessa coscienza. Quando poi il tempo e la vecchiaia corrodono pian piano ogni traccia del nostro passato, ecco che tutto, anche la nostra stessa identità, sembra svanire e l'individuo percepisce che lentamente egli si sta avvicinando verso l'oblìo, verso il nulla.

Ma cosa succede quando un tale processo degenerativo della memoria colpisce un essere umano all'apice della sua vita, mentre tutto sembra volgere al meglio e il successo tanto sperato è ormai a portata di mano? Questo è proprio ciò che accade alla dottoressa Alice Howland, una brillante e stimata professoressa universitaria di linguistica che, giunta al traguardo della mezza età, improvvisamente incomincia a perdere progressivamente ed inspiegabilmente la capacità di ricordare parole, nomi e persino nozioni e semplici eventi legati alla routine quotidiana. Dopo alcune analisi cliniche i dottori diagnosticano alla donna una rarissima forma di Alzheimer presenile che sarà in grado, nel giro di pochi mesi, di rubare ogni suo ricordo e persino la sua tanto stimata capacità oratoria, mettendo fine in un sol colpo a tutte le conquiste e i sacrifici messi in atto fino a quel momento.

Assistita dal marito e dai tre figli, ai quali per altro rischia di trasmettere per via ereditaria la sua malattia, Alice passerà i suoi ultimi mesi di lucidità nel tentativo di trattenere tutte le belle esperienze ancora a sua disposizione, cercando di lottare con tutte le sue forze per rimanere attaccata il più a lungo possibile ad una realtà e ad un passato che ormai stanno a poco a poco svanendo, lasciandola sola in un universo di nebbia e di vuoto. Il cinema ha più volte trattato il tema dell'isolamento e della paura che la malattia può portare con sé, rischiando in molte occasioni di cadere nel baratro del patetico e del sentimentale, dimostrandosi a volte troppo interessato al facile effetto di pàthos piuttosto che al contenuto narrato. Dunque non si può che rimanere a dir poco meravigliati dalla potenza, dalla sincerità e dal profondo rispetto che trasudano da una pellicola emozionante e tagliente come Still Alice: un soggetto di impressionante forza psicologica ed emotiva tratto dall'omonimo romanzo campione d'incassi della scrittrice americana Lisa Genova (tradotto in Italia col titolo Perdersi e pubblicato da Piemme) e diretto dalla coppia Wash Westmoreland e Richard Glatzer (quest'ultimo nel 2011 ha scoperto di avere la SLA, malattia neurodegenerativa che, come l'Alzheimer, finisce per cancellare il senso della propria identità), nel quale viene affrontato con grande realismo ed efficacia il turbine di paura e di disorientamento che può colpire all'improvviso l'individuo che entra in contatto con una malattia fra le più terribili (ogni anno pare vengano accertati oltre sette milioni di casi).

Ciò che rende quest'opera così aderente al soggetto originario è una modalità narrativa priva di quei cliché che, giocando sull'emozione facile, mirano ad arruffianarsi il pubblico e per la prima volta, come non si vedeva da anni, concentrata sulla necessità di saper tradurre sullo schermo il dramma di una donna che vede scomparire sotto i propri occhi tutta la sua vita, condannata ad una regressione che ha del drammatico e del terribile allo stesso tempo. Interpretata da una Julianne Moore alle prese con una delle performance più riuscite e profonde della sua carriera, anche grazie ad una sorprendente aderenza anagrafica ed emotiva col proprio personaggio, Alice deve convivere con una realtà ormai inevitabile, deve rassegnarsi a perdere ciò che ha assorbito nel corso degli anni e dirigersi verso un futuro in cui non riuscirà più nemmeno a riconoscere i figli o il marito. La pellicola rende con estrema grazia ed eleganza, senza mai cadere nel barocchismo fine a se stesso e ricorrendo ad un realismo essenziale ed asciutto, il progressivo declino della protagonista, mettendo in atto una identificazione totale fra il suo punto di vista e quello dello spettatore.

Lentamente, senza quasi nemmeno accorgercene, veniamo trascinati nel dramma quotidiano di questa coraggiosa donna che, nel suo lento dimenticarsi di parole, nomi ed indirizzi, non è più nemmeno capace di orientarsi in casa propria. Molto intenso poi appare il rapporto estremamente eterogeneo con gli altri membri della famiglia, con un marito ( Alec Baldwin) incapace di dividersi fra la carriera e il nuovo dramma, due figli maggiori ( Kate Bosworth e Hunter Parrish) ormai prossimi alla laurea che dimostrano atteggiamenti contrastanti dinnanzi alla situazione e una figlia minore ( Kristen Stewart promossa a gran voce a ruoli maturi) appassionata di recitazione che decide di dedicarsi anima e corpo ad accudire una madre sempre meno capace di mantenere il contatto con la realtà. Still Alice riesce pienamente nell'intento di emozionare senza inganno, riesce a comunicare sentimenti profondi in pochissime inquadrature cariche di dramma e di amore, riesce a saturare lo schermo con un racconto che tocca le corde più sensibili del cuore rimanendo obiettivo ed ancorato alla nuda e cruda realtà.

La stupenda fotografia di Denis Lenoir e il montaggio di Nicolas Chaudeurge sanno tradurre splendidamente in immagini il mondo frammentato ed in via di sgretolamento verso cui Alice si sta avvicinando, accompagnando lo spettatore a braccetto con la solitudine e l'intima esperienza della protagonista. Julianne Moore, reduce grazie a Still Alice da un Golden Globe come migliore attrice in un film drammatico, dimostra ancora una volta di essere in grado di tradurre per il grande schermo personaggi di straordinaria potenza ed umanità, oltrepassando il normale limite che separa l'attore dal personaggio. Uno dei lungometraggi sicuramente più impressionanti e toccanti dell'ultimo decennio, una pellicola capace di far riflettere su una condizione di cui forse non si parla abbastanza, una condizione troppo disturbante e perciò tenuta a debita distanza insieme ai protagonisti di queste storie in cui il lieto fine è solo un miraggio.


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