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Stoker

Creato il 09 giugno 2013 da Ildormiglione @ildormiglione

Stoker-9Cosa succederebbe se si unissero le dinamiche familiari di “Parenti serpenti” di Monicelli, il leitmotiv ed il seme del sospetto di “L’ombra del dubbio” di Hitchcock, il parricidio che viaggia dall’ “Edipo Re” di Sofocle, all’ “Amleto” Shakespeariano, fino a “I fratelli Karamazov” di Dostoevskij, con il fascino vampirico del male incarnato dal “Dracula” di Bram Stoker? “Stoker” appunto, come il titolo del primo lavoro americano del regista di culto Park Chan Wook, sul banco di prova dopo alcuni film che hanno girato il mondo per uno stile inconfondibile. Come Bram Stoker fa nel suo romanzo, Park Chan Wook dipinge il male sul corpo e nella mente di una persona affascinante, magnetica ed assolutamente interessante nel suo essere cupa e tenebrosa, seppur ricordi il Norman Bates di “Psycho“. Ma zio Charlie(Matthew Goode), il protagonista della pellicola di Park Chan Wook, ricorda anche un altro personaggio creato dalla mente di Hitchcock, ossia Zio Carlo di “L’ombra del dubbio“, film da cui il regista coreano attinge in maniera evidente per creare la sua storia. Nel film di Hitchcock un enigmatico Zio Carlo torna dalla famiglia con il pretesto di scappare da un passato che lo rincorre, nello specifico si tratta della polizia, ed instaurerà un rapporto particolare con la nipote Carla. Questa è, in grandi linee, anche la trama di “Stoker“, che però esaspera la componente psicologica dei personaggi, la carica di devianza ed ossessività, giocando con lo spettatore che sin dall’inizio comprende la natura maligna del misterioso zio Charlie  senza mai capirne il perchè e rimanendo sorpresi dalla piega che prenderà la storia nonostante sia tutto chiaro sin dalle prime sequenze. Ma soprattutto sposta l’attenzione sulla nipote India, interpretata da Mia Wasikowska (molto convincente nel discutibile “Alice in Wonderland” di Tim Burton e in “L’amore che resta” di Gus Van Sant), analizzando la psiche fragile dell’adolescente. Park Chan Wook, come aveva fatto già in “Thirst“, si concentra su una sorta di esplorazione sessuale che viaggia di pari passi con il crescendo di violenza, come se sesso e violenza fossero due elementi imprescindibili che accompagnano India. E sin dall’incipit del film è ben chiaro che si assisterà ad una pellicola che schiva i thriller più classici, che si allontana velocemente dai canoni stereotipati del cinema americano, ne prende le distanze con una finezza estetica ed un’eleganza che hanno contraddistinto il cinema coreano degli ultimi anni. Eppure Park Chan Wook corre su binari tortuosi e pericolosi, perchè chi si aspettava la potenza di “Old Boy” o la carica espressiva di “I’m a cyborg but that’s ok“, probabilmente rimarrà deluso, eppure il cineasta coreano riesce a non cedere al mainstream americano, seppure da questo si nutra per creare il clima di tensione. Ma è evidente che se fosse stato un thriller tipicamente americano la tensione non sarebbe stata scandita dai “rumori”, come il rompersi del guscio delle uova o il fastidioso ticchettio del metronomo, e di certo si sarebbe evitata l’esplorazione nella mente e nel corpo di India, concentrandosi più che altro sulla trama e non sulla messa in scena e sulla psiche. Invece il thriller di Park Chan Wook è un film compatto, che vive il meglio di sè all’interno della casa, e che invece sembra a volte perdersi all’esterno, aprendosi e chiudendosi allo stesso modo, quasi a racchiudere la violenza e la psicopatia all’interno di un cerchio (familiare? societario? umano?) di cui sembrano vittime e carnefici i protagonisti. La densità e la pienezza cromatica che sfoggia “Stoker” per raccontare la sua storia, sono frutto di una fotografia ineccepibile che si concede immagini memorabili (la sequenza delle scarpe che viaggiano nel passato è a dir poco deliziosa), e che si distacca dalle tonalità monocromatiche scelte per alcuni lavori precedenti da P.C.Wook, ma che gli permette di osare parecchio mescolando con disinvoltura diverse gradazioni. Ma ancora si potrebbe parlare del montaggio serrato e mai fuori posto anche nei cambi repentini di scena, della colonna sonora originale che inquieta e fa sognare, dell’interpretazione dei protagonisti (brava Nicole Kidman, eccezionale Mia Wasikowska, discreto Matthew Goode, enigmatico e carismatico al punto giusto, ma che, per chi ha amato “Psycho“, con il suo ghigno assomiglia ad un bimbo se paragonato al Norman Bates di Anthony Perkins), dell’opera di perversione che ammalierà gli spettatori. Ma è preferibile gustarsi ancora questa pellicola, lasciare che il suo sapore tenebroso pervada ancora i sensi ininterrottamente, continuare a fare in modo che immagini e suoni si rincorrano nella mente, imprimere sentimenti di odio, di rabbia, di amore e affetto nel cuore. Perchè “Stoker” di Park Chan Wook riesce a fare tutto questo.

Voto 8-/10



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