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Storia dell’embargo a Cuba: dal nemico numero uno a todos somos americanos

Creato il 18 dicembre 2014 da Eldorado

Alan Gross è tornato a casa e presto lo faranno anche i tre cubani del gruppo dei Cuban Five ancora prigionieri nelle carceri Usa (http://www.mauriziocampisi.com/relazioni-cuba-usa-torna-a-casa-il-primo-dei-cuban-five/). Gross si è fatto cinque anni nelle prigioni cubane, mentre Ramón Labañino, Antonio Guerrero e Gerardo Hernández se ne sono fatti sedici ciascuno in quelle statunitensi (René González è stato rilasciato nel 2011, Fernando González lo scorso febbraio). Un segno indubbio di distensione, che segna un cambio di rotta nelle relazioni tra Stati Uniti e Cuba e che ha già scatenato una lunga serie di reazioni. Un provvedimento storico, che se portato a termine, muterà una parte di mondo da come sempre l’abbiamo conosciuto, gli Usa da una parte, Cuba dall’altra. Obama, infatti, ha già decretato che il castello delle sanzioni sarà smantellato: si comincerà dal turismo, poi avanti con le comunicazioni, la finanza, le rimesse degli emigrati.
L’embargo a Cuba comincia nell’ottobre 1960, quasi due anni dopo la presa di potere da parte di Fidel Castro. La decisione venne presa all’indomani delle espropriazioni statali, una disposizione che non piacque per nulla agli interessi Usa e che cancellò in un sol colpo l’egemonia delle multinazionali a stelle e strisce nell’isola caraibica. Agli Stati Uniti non andò mai giù la rivoluzione, non solo perché comunista, ma perché veniva a sfidare la superiorità di Washington nel Mare Nostrum a sud di Miami, egemonia geopolitica, commerciale ed economica. Cuba era rimasta per quasi 70 anni sotto il controllo Usa, prima attraverso un’occupazione militare e poi attraverso i governi fantoccio che culminarono con la presidenza-dittatura di Fulgencio Batista. Difficile, anzi impossibile, digerire il rospo di quella presenza color rosso nel mezzo delle limpide acque blu del Mar dei Caraibi.
Nel 1962 l’embargo si fa ancora più duro (viene applicato agli alimenti e alle medicine) e passa come se fosse una necessità patologica del sistema Usa attraverso altri tre decenni fino a diventare una legge della Repubblica, il Cuban Democracy Act (1992). Helms e Burton, i due congressisti conservatori della Carolina del Nord e dell’Illinois, riescono a far votare una nuova legge nel 1996 che proibisce ogni relazione d’affari tra i due paesi e, di conseguenza, tra privati cittadini. Negli anni Novanta ogni recrudescenza è buona. Ci si mette anche Clinton, che nel 1999 vieta alle filiali straniere delle aziende Usa di fare affari con L’Avana. È l’epoca dello scandalo dei Cuban Five e del tira e molla del bambino Elián González. Cuba è il demonio e quindi ogni mezzo è buono per demonizzare il regime dell’isola. Intanto, l’embargo colleziona veti all’Assemblea delle Nazioni Unite: alla fine saranno ben ventitrè, firmati e sottoscritti dalla stragrande maggioranza dei paesi dell’assise universale (contro hanno sempre votato solo Stati Uniti ed Israele).
Con il nuovo secolo, gli Stati Uniti cambiano registro. I mostri sono altrove (soprattutto in Medio Oriente) e le vendite a Cuba riprendono. Sono infatti autorizzate se vengono effettuate sotto il marchio dell’aiuto umanitario e le aziende si avvalgono di questo stratagemma per riallacciare le relazioni commerciali, soprattutto per quello che riguarda il settore alimentare.
In America Latina l’embargo a Cuba è sempre stato visto come un esercizio della forza, un eccesso giuridico che risponde più all’escrezione di bile di una parte della società statunitense che di una razionale presa di posizione. La colonia cubana ha acquistato un potere immenso, un potere che viene esercitato per rinnovare periodicamente l’embargo. Almeno fino a ieri, quando anche Obama si è reso conto del più lapalissiano dei ragionamenti: todos somos americanos.


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