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STORIA DI UN CANE CHE INSEGNÒ A UN BAMBINO LA FEDELTÀ di Luis Sepúlveda

Creato il 30 ottobre 2015 da Letteratitudine

STORIA DI UN CANE CHE INSEGNÒ A UN BAMBINO LA FEDELTÀ di Luis SepúlvedaNell'ambito di "GIOVANISSIMA LETTERATURA", il nuovo spazio di Letteratitudine interamente dedicato alla cosiddetta "letteratura per ragazzi" e alla "letteratura per l'infanzia", dedichiamo un post al nuovo volume di Luis Sepúlveda intitolato "Storia di un cane che insegnò a un bambino la fedeltà" (Guanda).

Sul post proponiamo: un video realizzato da Letteratitudine, un estratto del libro e il booktrailer.

Massimo Maugeri

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Le prime pagine di "STORIA DI UN CANE CHE INSEGNÒ A UN BAMBINO LA FEDELTÀ" (Guanda) di Luis Sepúlveda

Kitie — Uno

STORIA DI UN CANE CHE INSEGNÒ A UN BAMBINO LA FEDELTÀ di Luis Sepúlveda
Il branco di uomini ha paura. Lo so perché sono un cane e fiuto l'odore acido della paura. La paura ha sempre lo stesso odore e non importa se la prova un uomo spaventato dal buio della notte o se la prova waren, il topo che mangia finché il suo peso diventa una zavorra, quando wigna, il gatto delle montagne, si muove guardingo fra gli arbusti. Il fetore della paura negli uomini è così forte da guastare gli aromi della terra umida, degli alberi e delle piante, delle bacche, dei funghi e del muschio che il vento mi porta dal folto del bosco. L'aria mi porta anche, molto leggero, l'odore del fuggiasco, ma quello sa d'altro, sa di legna secca, di farina e di mele, sa di tutto quel che ho perduto.
« L'indio si nasconde di là dal fiume. Non dovremmo slegare il cane? » domanda uno degli uomini. « No, è molto buio. Lo sleghiamo alle prime luci dell'alba » risponde l'uomo che comanda il branco. Il branco di uomini è diviso in due: quelli seduti intorno al fuoco, che hanno acceso maledicendo la legna umida, e quelli che con le loro armi per uccidere in mano guardano verso il buio del bosco, senza vedere altro che ombre. Anche io mi accuccio sulle zampe, tenendomi a distanza. Mi piacerebbe stare al caldo, ma evito il fuoco che hanno acceso perché il fumo mi annebbierebbe gli occhi e mi impedirebbe di fiutare i mutevoli odori. Il fuoco è stato acceso male e si spegnerà presto. Gli uomini di questo branco non sanno che lemu, il bosco, dà buona legna secca, basta chiederla dicendo mamull, mamull, e allora il bosco capisce che l'uomo ha freddo e lo autorizza ad accendere un fuoco. Mi arriva alle orecchie il gracidio di llungki, la rana, nascosta frai sassi sull'altra riva di leufu, il fiume che scende dalle montagne. A tratti konkon, il gufo, imita il vento dalla cima degli alberi e pinuyke, il pipistrello, sbatte le ali volando mentre divora gli insetti notturni. Il branco di uomini teme i rumori del bosco. Si muovono inquieti e io sento il fetore penetrante della paura che non li lascia riposare. Cerco di allontanarmi un po' da loro, ma la catena che ho al collo, assicurata a un tronco, me lo impedisce. « Diamo qualcosa da mangiare al cane? » domanda uno degli uomini. « No. Un cane caccia meglio quando è affamato » risponde il capobranco. Chiudo gli occhi, ho fame e sete, ma non mi importa. Non mi importa di essere solo il cane per quel branco di uomini e da loro non mi aspetto altro che frustate. Non mi importa, perché dal buio mi arriva il lieve aroma di quel che ho perduto.

(Riproduzione riservata)

© Guanda editore


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Il booktrailer del libro


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