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storie da Frantoio

Creato il 07 gennaio 2012 da Aureliocupelli

Gli amici di TerritorioTeatro hanno confezionato e regalato alla città un'altra piccola pozione di piacere per le anime sensibili.
storie da Frantoio
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Parto subito con le impressioni, magari riesco anche ad aprire un dibattito.
Momenti come questo hanno un valore incommensurabile. Come lo sono tutti quei momenti che rendono all'uomo tutta la propria qualità. Momenti in cui l'uomo riesce a definire il senso della sua esistenza.
Sia l'esistenza che definirei "pratica", visto il luogo in cui lo spettacolo è stato allestito, un vecchio frantoio padronale in disuso. Così romantico, stratificato di grande storia di secoli pregressi di arte e artigianalità, ma anche di tante piccole storie, come le piccole vite che hanno attraversato con il loro percorso questi locali. Esistenza pratica dell'uomo dovuta alle proprie qualità fisiche e motorie, perché non dobbiamo dimenticarci mai il dono di avere i pollici opponibili, qualità e prerogativa che ci permette di costruire e fare tutta una serie di cose (buone o cattive a seconda dei punti di vista), che ci distingue dalla quasi totalità del resto del mondo animale che abita questo pianeta.
Ma quanto, e soprattutto, l'esistenza che definirei "intelligente". Sta in questo, nella capacità di utilizzare al meglio l'altra grande qualità fisica dell'uomo, il particolare rapporto che c'è tra il peso del suo cervello e la sua massa corporea. Ma non è sufficiente avere il cervello per distinguere un uomo da un qualsiasi altro animale.
Essere riusciti a mettersi al vertice della catena alimentare non distingue l'uomo dagli altri animali.
A distinguere l'uomo dagli altri animali è la sua qualità di saper nutrire il proprio cervello, come, meglio e prima del proprio corpo. La sua capacità di migliorarne le potenzialità, riuscendo ad alimentare una sempre maggiore acquisizione di nozioni ed informazioni.
Le informazioni sono la base utilizzabile per l'elaborazione di nuovi risultati, le nozioni sono il motore che rende elaborabili le informazioni.
Ed essendo la storia, un raccoglitore di informazioni e nozioni, cosa di meglio potevano fare gli amici Andrea Mancini e Lapo Chiari, se non raccogliere e raccontare storie di questa città, e raccontarle ai propri concittadini?
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Fin qui tutto bello, romantico, emozionante.
Come la lettura di alcuni brani scritti da Mario Caponi, che ho avuto la fortuna di conoscere, frequentare e di essere annoverato tra i suoi amici, che raccontano il tragico luglio sanminiatese del 1944.
Come, e forse per me soprattutto, ascoltare alcuni brani letti dal romanzo di Dilvo Lotti, "la morte del paese".
Ma anche il raccontar di lucciole del mio "tipografo" Franco Palagini.
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Non ho potuto assistere a tutto lo spettacolo, purtroppo.
Ma forse è stato questo che mi permesso di fare delle considerazioni più distaccate su questo evento.
La sala è piccola ed angusta, forse una cinquantina i presenti. Li conosco tutti, più o meno. Noto che i più sono parenti ed amici, altri sono coloro che non mancano mai alle cose di qualità che vengono fatte a San Miniato.
Noto sistemi di riscaldamento rudimentali, e ritengo opportuno (qui) tacere sul loro funzionamento.
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Penso:
Questi sono momenti che devono essere per tutti. Qui si raccontano storie già accadute che servono come informazioni per tutti. Qui si raccontano storie scritte da chi aveva modo e motivo di raccontarle.
Ma non si racconta e basta, si esprimono pensieri, si attraversa la storia stessa, confrontandola con l'oggi, e con i pensieri espressi.
Con la poesia delle parole, con la musica delle parole.
Perché ci sono solo 50 persone? Perché in un posto per sole 50 persone?
E' vero che sono andato via in anticipo, perché avevo da andare a riprendere la bimba ad un compleanno, e così tante altre persone avevano da fare cose che le hanno tenute su percorsi lontani dal Frantoio della Briccola.
Come è anche vero che anche nella sola via Paolo Maioli, così ricca e frequentata da persone di "cultura", abitano più di 50 persone, che magari sarebbe per loro utile ascoltare la storia del luogo che abitano, forse di più che ascoltare storie di luoghi che non abitano e non conoscono, come quelle che invece, in gran parte, hanno preferito ascoltare attraverso la finzione della tv.

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«Il Frantoio parla, eccome se parla. E’ come la gente. Basta saperlo ascoltare».
No, non mi piace pensare che la questione sia proprio tutta lì, nel solo saper ascoltare.
Mi sembra una scusa. Come quelle di certi bimbi svogliati, "tanto non mi riesce", o di certi pedagoghi più svogliati dei propri allievi, "tanto non impareranno mai".
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Andrea e Lapo interpretano due uomini che fanno ritorno al paese dopo un lungo esilio (assenza o viaggio).
Portano con sé sprazzi di memoria e due valigie piene di libri. Ma si tradiscono subito.
Cosa siamo a fare qui (per cosa siamo tornati)?
Abbiamo da raccontare cosa è già successo.
Mezzo secolo di storie del quartiere, prima che della città, con una struttura narrativa che spesso assume i tratti della voce di una coscienza collettiva.
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