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Storie di ‘ndrangheta in Valle d’Aosta (1° parte)

Creato il 27 febbraio 2014 da Patuasia

‘ndrangheta in Valle: “ l’ Operazione Lenzuolo” del 1999.

Dalla lettura delle motivazioni della sentenza Tempus venit, emerge una notizia clamorosa: già tre pentiti di ‘ndrangheta, alla fine degli anni ’90, avevano rivelato la presenza di un’ organizzazione ‘ndranghetista in Vda. Si tratta Francesco Fonti, Salvatore Caruso e Annunziato Raso. Ecco le loro dichiarazioni.
Francesco Fonti: “sono arrivato a Torino nell’anno 1971 e da subito, ho saputo che in Valle d’Aosta vi era un Locale
attivo. (
Il “Locale” è la struttura di base della ‘ndrangheta che sorge in un determinato paese, allorché si supera il numero minimo di 49 affiliati a qualunque “copiata” a cui appartengono (per copiata si intende il nome di uno dei responsabili del Locale a cui i picciotti fanno riferimento. Tale nominativo viene comunicato all’affiliato dopo la cerimonia di affiliazione detto battesimo). Allorquando si forma un Locale si deve dare notizia alla “mamma” di San Luca, da dove viene inviato un rappresentante il quale organizza la riunione del Locale alla presenza di tutti gli affiliati di quel paese. Nel corso della riunione viene nominato il Capo Bastone, il Contabile ed il Crimine ndr).
Continua Fonti: “responsabile del Locale di Aosta era tale Pansera Santo (deceduto ad Aosta il 2 Aprile 2003 per cause naturali. Alla sua morte, imponenti funerali con la partecipazione di Guido Grimod, sindaco di Aosta, dal 2000 al 2010, ndr), proprietario di un autolavaggio in Aosta e da noi ‘ndranghetisti veniva identificato come “Compare Santo”; dal Locale di Aosta dipendeva a sua volta il sottolocale di Ivrea. Questo sottolocale era gestito dalla famiglia Forgione;
Fonti riferiva inoltre: “…l’attività principale del locale di Aosta erano le estorsioni a imprenditori e la droga”.Salvatore Caruso: “ per che ne so io, già dall’88 di sicuro, perché ero in carcere in Valle d’Aosta e già lì mi avevano detto che attivavano, perché c’erano degli ‘ndranghetisti calabresi a Brissogne e hanno detto che attivavanolì ad Aosta”.
Il termine “attivare” significa operare, essere operativi.

Raso Annunziato:
non so se effettivamente in Valle d’Aosta sia attivo un locale della ‘ndrangheta, ma comunque essendoci in Valle una forte comunità calabrese, è sicuramente probabile che esistano delle persone referenti della ‘ndrangheta per la Calabria. Infatti è sicuramente improbabile che qualsiasi comunità calabrese, intesa come criminale, tronchi i collegamenti con la terra d’origine. Infatti tanto più sono ampie le conoscenze e le amicizie, per qualunque Capo, tanto più ampio è il suo potere”. Per queste ragioni a partire dal mese di novembre 1999 il Nucleo Investigativo del Reparto Operativo dei CC della Valle d’Aosta eseguiva indagini per verificare l’esistenza di un “Locale” della ‘ndrangheta operante in Valle d’Aosta. I rapporti degli inquirenti avevano consentito di ipotizzare con una certa sicurezza che la famiglia della ‘ndrangheta egemone in Valle d’Aosta era quella dei Facchineri , che contava sulla presenza di “parenti e sicuri fiancheggiatori residenti in Valle d’Aosta da molti anni e quindi ben inseriti nella comunità valdostana”. Al termine dell’inchiesta giudiziaria, denominata “Lenzuolo”, venivano deferite 16 persone perché ritenute responsabili di aver creato in Valle d’Aosta un’associazione per delinquere di stampo mafioso con le caratteristiche gerarchiche tipiche dell’organizzazione criminale calabrese. L’indagine veniva svolta dal p m Francesco Mollace, della DDA di Reggio Calabria. La competenza della procura calabrese derivava dalla convinzione che la struttura criminale, per le sue caratteristiche di “locale di servizio” fosse una promanazione delle cosche operanti in Calabria. Il Gip di Reggio Calabria tuttavia si dichiarava non competente , trasferendo il procedimento Penale alla Procura della Repubblica di Torino , presso la DDA (Direzione Distrettuale Antimafia).
Il Gip del Tribunale di Torino disponeva però l’archiviazione dell’indagine , non ritenendo provato il reato-fine dell’associazione.
(roberto mancini)


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