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“Storie di Nebbia e di Sole” il viaggio di Franco Calabrese all’interno dell’Uomo e della Storia

Creato il 24 luglio 2012 da Federbernardini53 @FedeBernardini

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Presentando “Grazie, nave bianca” abbiamo notato come quest’opera aggiunga un elemento di novità nel contesto della vasta e multiforme attività letteraria di Franco Calabrese. La stessa cosa possiamo dire parlando di queste “Storie di Nebbia e di Sole”, che ci rivelano il Calabrese biografo.

Si tratta, come nel caso dell’opera precedente, di un viaggio. Non più nello spazio, bensì nel tempo, scandito dai ritmi antichi e sempre uguali dell’umana tragedia. Dopo averli praticati quasi tutti, L’Autore si accosta al genere biografico per confermare, appunto, la sua visione tragica della vita, nella quale, accanto ai toni crudi, troviamo tuttavia quell’elemento di purificazione e di riscatto che, come un sole, consente di dissipare le nebbie dell’umana miseria, al di là della quale l’individuo e la collettività si riconoscono nella loro dimensione escatologica.

“Uno scrittore di sicura Fede” così Orazio Tanelli definisce Calabrese, ed è appunto nel segno della Fede che la storia comincia, con un pellegrinaggio a Cascia, al santuario di santa Rita. E’ proprio lei “L’Avvocata degli afflitti” al cui sepolcro l’Autore si reca “Per sciogliere un antico voto” che ci accoglie all’inizio del viaggio, del quale la parabola della sua vita rappresenta come la sintesi: “Da una nuda cella alla luce dei cieli”.

Così, fin dal primo capitolo, il disegno dell’opera è subito chiaro. E non c’inganni l’apparente discordanza dei tempi e dei luoghi, l’apparente casualità che accomuna nel viaggio le più eterogenee figure, perché di un solo tempo e di un solo luogo si tratta: un tempo e un luogo dello Spirito, nel quale, come riscattati dal gorgo della Storia, i personaggi del libro si stagliano su un piano uniforme, in ordinata teoria. Quasi un bassorilievo.

E sono solo i chiaroscuri, in fondo, la maggiore o minore plasticità del rilievo che li distinguono gli uni dagli altri perché, al di là dei diversi accadimenti che segnarono le loro vite, unico è il loro destino: quello dell’Uomo, che ha aperte mille vie per raggiungere la Verità, la Bellezza e la Giustizia e può percorrerle tutte o una soltanto, ma sempre sotto il giogo di un antico peccato da espiare e con l’unico conforto di una disperata speranza.

Così passano dinnanzi ai nostri occhi santi e pittori, sovrani e peti, letterati e principi, ciascuno dei quali ha lasciato un segno intangibile, lottando e soffrendo per l’affermazione dei suoi ideali, spesso oltraggiati, e ritrovando a volte solo al di là della morte il riconoscimento del suo valore e della sua dignità.

Tra i venti personaggi che rivivono nel libro vogliamo ricordarne due soltanto: la principessa Mafalda di Savoia e il poeta Dino Campana. Ambedue, a loro modo, vittime sacrificali, che esprimono in suprema sintesi l’ineluttabilità del dolore ma, nel contempo, la possibilità di trascenderlo in virtù della Fede o anche della semplice Dignità umana.

Chi crede in Dio li vedrà purificati e illuminati da una luce che non è di questo mondo, chi crede soltanto nella religione dell’Uomo troverà la giustificazione di tutto nelle parole magnifiche di Vincenzo Cardarelli:

“La speranza è nell’opera.

Io sono un cinico a cui rimane

Per la sua fede questo al di là.

Io sono un cinico che ha fede in quel che fa.”

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Federico Bernardini

Illustrazioni: La principessa Mafalda di Savoia, fonte  http://it.wikipedia.org/wiki/File:Princess_Mafalda_of_Italy.jpg

Il poeta Dino Campana, fonte http://it.wikipedia.org/wiki/File:Dino_Campana.jpg



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