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Stralci di cangrande paladino dei ghibellini di giovanna barbieri

Creato il 08 dicembre 2015 da Gio74

ciao a tutti,

ho deciso di stuzzicarvi postando alcuni stralci del mio secondo romanzo storico “Cangrande paladino dei ghibellini”, ambientato nel XIV secolo alla corte di Cangrande della Scala e pubblicato con la casa editrice Arpeggio libero editore. Le vicende si svolgono tra Verona, Vicenza e la Valpolicella.

Quarta di copertina:

Tra il 1312 e il 1314 la guerra contro la guelfa Padova diventa più cruenta. In città entra il poeta Dante Alighieri a cui il signore di Verona concede riparo. Il rimatore decide di terminare “il Paradiso” nella Biblioteca Capitolare e di cercare i figli Pietro e Iacopo. Le vicende di Dante e di Cangrande s’intrecciano con il casato Aligari di Fumane, dove sono reclutati i cavalieri, senza terra e ricchezza, Paolo e Julien de Grenier, d’origine franca. Il cavalier Julien conduce una faida contro una famiglia di orfani d’origine ebraica. Paolo e Caterina, la maggiore dei ragazzi perseguitati, s’incontrano per caso nel bosco Belo e s’innamorano a prima vista. La loro relazione però è osteggiata dal padre di lui.

Primo stralcio dove compare la figura di Cangrande della Scala:

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Iniziò a lavorare con i mercenari provenienti da diversi stati, che parlavano lingue incomprensibili. Infine, sul giungere della sera, fu avvicinato da un messaggero.

«Mio signore, ho l’ordine di consegnarvi questa epistola.»

Cangrande l’aprì e lesse con attenzione. Federico della Scala, in allenamento lì vicino, l’osservò impaziente.

«Cosa afferma, cugino?» domandò.

«Gli ambasciatori veronesi sono trattenuti apertamente a Padova, forse per guadagnare tempo mentre le truppe patavine stanno distruggendo il distretto di Angarano.»

Julien de Grenier, un vecchio cavaliere che si stava allenando accanto a Federico s’intromise nel dialogo con il parente.

«La guerra si prospetta inevitabile.»

Chi è costui? Come si permette di commentare la lettera che mi è appena giunta? pensò Can Francesco fissando l’uomo con sguardo ostile.

Federico, comprendendo la sua irritazione, gli sussurrò chi erano e da dove provenissero i guerrieri.

«Sono della Valle Provinianensis: Julien de Grenier e il figlio Paolo sono stati assoldati dal castellano di Fumane molto tempo fa. Il conte Arnaldo Aligari, mio vassallo, li ha inviati con altri per la guerra imminente.»

Cangrande non replicò, non ce n’era alcun bisogno, erano molti infatti gli uomini del suo seguito che non frequentava.

«Armigeri, cavaliere e fanti, domani all’alba si partirà in guerra contro Padova: preparate i bagagli e le armi!» comandò.

Urla di giubilo giunsero alle orecchie del signore di Verona, le razzie di fortezze e cittadine portavano sempre profitti e i nobili nemici che resistevano erano presi prigionieri e liberati solo previo riscatto.

Prima dell’alba i trombettieri suonarono la sveglia e i soldati si misero in marcia verso Camisano, che distava poco da Vicenza. Cangrande diede ordine di bruciare la campagna man a mano che procedevano; il fumo del legno e della paglia dei tetti si poteva scorgere da lontano e all’orizzonte, Paolo de Grenier, riferì di vedere schiere di contadini portare nella cittadina i propri beni. Pochi istanti più tardi, attraversando un paesello di contadini guelfi, il suo destriero quasi inciampò in un mercenario. La scena agghiacciante di cui fu testimone gli drizzò i peli sottili del collo: l’assoldato, appartenente a qualche paese nordico, si stava divertendo ad abusare e torturare una ragazza guelfa, ghignando mentre la uccideva. Cangrande distolse lo sguardo e notò intorno altri quadri simili.

«I soldati mercenari stanno massacrando giovani donne e bambini che non possono muoversi in fretta. Sono immorali e più violenti dei veronesi» commentò Federico alle sue spalle.

«Non posso impedir loro di comportarsi in codesto modo, ci servono» disse lui con un filo di rammarico nella voce. «Preparali per l’assedio di Camisano» infine ordinò duro.

Secondo stralcio dove compare la figura di Caterina, la contadina:

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Non ho speranza di maritarmi, nessuno desidera una ragazza dalla pelle scura, con antenati ebrei, anche se ha favolosi occhi turchesi, constatò con tristezza. Inoltre devo occuparmi di Milo e Matteo, sono troppo piccoli per sopravvivere da soli.

Le sue considerazioni furono bruscamente interrotte da un rumore proveniente da sinistra e s’acquattò scrutando la boscaglia. Attenta, girò il capo, e con cautela incoccò una freccia nell’arco in attesa che l’animale si mostrasse. Quello che vide, però, la lasciò basita per alcuni istanti: un cavallo senza cavaliere era inseguito da un cinghiale ferito e inferocito.

Bel cavallo, di notevole stazza e garrese, pensò.

La sorpresa fu così grande che non riuscì a scoccare la freccia in direzione del cinghiale.

«Paolo!» sentì un uomo gridare in lontananza.

In quell’istante un giovane uomo uscì dal fitto sottobosco, correndo all’inseguimento della sua preda e del suo destriero. Caterina si nascose meglio presagendo guai. Non era insolito, infatti, che i berrovieri si eclissassero nelle foreste.

Il cavallo è troppo spaventato per ascoltare i suoi richiami, soppesò divertita.

Le scappò un risolino. Il giovane guerriero aveva raggiunto un punto poco distante dal suo nascondiglio e lei poté osservarlo meglio. Era biondo, con capelli mossi e un corto pizzetto.

Avrà l’età di Filippo.

All’improvviso il ragazzo scostò i cespugli spinosi dietro i quali era accucciata e si buttò su di lei gettandola a terra. Caterina sapeva difendersi bene, tuttavia il giovane pesava diverse libbre in più e non faticò a tenerla bloccata.

«Lasciatemi, mi fate male!» urlò lei.

Il giovane uomo la liberò subito. «Una ragazza» affermò allibito.

Terzo stralcio dove compare la figura del sommo poeta Dante Alighieri:

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Un tiepido raggio di sole colpì il viso di messer Dante il cui corpo giaceva rannicchiato accanto al fuoco da campo nel mezzo della foresta. Aprì gli occhi ancora confuso dal sonno; sbadigliò e infine si alzò. Montò in sella dopo aver mangiucchiato qualcosa e si diresse a Verona. Sebbene si sentisse stanco cavalcò con ostinazione tutta la mattina. Non volendo procedere in linea retta, sarebbe stato un bersaglio troppo facile per i guelfi, aveva deciso di passare per la valle Provinianensis. Quella mattina del 1312 doveva incontrare Can Francesco della Scala e alcuni altri nobili della valle Provinianensis, ghibellini che osteggiavano apertamente il papato.

In quegli anni era diventato piuttosto famoso grazie all’opera che aveva iniziato molti anni prima a Firenze. Le pergamene del suo poema si trovavano ora arrotolate nella sacca della sua sella in attesa di essere riprese in mano. Il nobile signore della Scala, noto filantropo, si era dimostrato molto incuriosito dal componimento. All’improvviso gli zoccoli del suo destriero persero la presa sul terreno fangoso. Quella notte aveva piovuto molto e Dante finì al suolo riuscendo per un pelo a evitare di essere schiacciato dal cavallo. L’animale si rialzò subito dopo sbuffando, ma lui si accorse di essersi slogato una caviglia. Zoppicando, si stava avvicinando di nuovo alla cavalcatura quando intravide, con la coda dell’occhio, una figura che si stava muovendo furtiva nel sottobosco. Dante non era più un combattente, aveva quarantasette anni e la sua mira non era buona come un tempo. Con suo sommo stupore la figura si palesò.

Non è un guelfo desideroso di uccidermi, altrimenti lo avrebbe già fatto, si disse appoggiandosi alla sella. Lo fronteggiò con coraggio ma ciò che vide lo lasciò di stucco. Una ragazza, vestita da uomo, lo fissava. Sulla sua schiena pendeva un arco con faretra e alla cintura erano legate delle anatre morte.

«Necessitate aiuto?»

Parlava dialetto veneto ma lui lo conosceva un poco avendo soggiornato a Verona nel 1303.

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