Magazine Cinema

Strings – Festival Internazionale del Film di Roma – Alice nella Città

Creato il 14 novembre 2012 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Strings – Festival Internazionale del Film di Roma – Alice nella Città

 

Anno: 2012

Nazionalità: Regno Unito

Durata: 89′

Genere: Drammatico

Regia: Rob Savage

 

L’estate prima dell’inizio dell’università. Grace, Jon, Scout e Chris sono alle prese con la loro vita: devono fare tutto, ma non vogliono fare niente. Le loro giornate sono una ripetizione infinita di alcol, sigarette, sesso, divertimento. E poi di parole non dette, di stati d’animo inesplicabili, di umori imperscrutabili. Jon si sente una nullità, vorrebbe fare qualcosa di buono solo per sembrare una persona normale. Grace ha un problema irrisolto col fratello e i genitori e una fissazione per il sesso. Scout fa la cameriera, vuole fuggire dal paesino in cui vive, ma la sola cosa che sa fare è tradire Chris, il suo ragazzo, che, invece, tanto sembra (violentemente) innamorato. Nel momento in cui i quattro ragazzi cercano di uscire fuori dai loro cantucci e condividere qualcosa, i legami si deteriorano e la solitudine si fa pressante, tanto che i protagonisti soffrono di continui corto circuiti emotivi di difficile sopportazione. Raramente si trovano stati psicologici così complessi in un film, personaggi che non diventano mai tipi, ma che rimangono sempre allo stato di grumo polisemico.

La cosa colpisce perché il regista, Rob Savage, ha girato Strings ad appena diciotto anni. È chiaro: il film presenta molte ingenuità, ma cosa può fare tra dieci anni un regista che già a diciotto dimostra una notevole maturità tecnica e formale?

L’attenzione alla forma è costante, forse troppa. Savage decide di affidarsi al dettaglio, ai particolari, ai primi piani, alle penombre e ai fuori fuoco. Padroneggia in maniera incredibilmente eccelsa il sonoro: rumori, parole sfumate, canzoni troncate non fanno solo da sottofondo ma riescono a creare senso e a fare da controcanto alla psicologia dei personaggi.

Montaggio e regia scompongono l’inquadratura in pezzi piccolissimi, minuti, a tratti disturbanti, a tratti sin troppo assurti a cifra stilistica, e impediscono allo spettatore di avere un istante di pace, di prendere respiro tra una sequenza e l’altra. Forse è questa la grande ingenuità del regista: quella di non creare mai una cesura tra momenti di quiete emotiva e formale e il climax. Ma, in fondo, è un’ingenuità perdonabile, perché ha il sapore della scoperta del linguaggio cinematografico. Basti pensare che il giovanissimo regista ha anche inserito una sequenza che svela il lavoro della troupe, donando un’interessante riflessione sul flusso continuo tra arte e vita. Rob Savage, in tutto ciò che fa, dalla prima all’ultima inquadratura, con uno spirito da Nouvelle Vague dei primissimi tempi, mostra al pubblico l’amore per il cinema e l’amore per la tecnica, scandagliando le pieghe della visione fino a rendere l’immagine diafana e astratta. Rob Savage ha tutto il tempo per crescere e, visti gli inizi, non può che farlo nel  migliore dei modi. Un nome da tenere a mente per il futuro.

Veronica Mondelli

 


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :