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Sud e letteratura/2

Creato il 19 dicembre 2013 da Angelonizza @NizzaAngelo

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Questa recensione del libro di Giorgio Bocca “Aspra Calabria” è apparsa sul quotidiano di informazione regionale “Calabria Ora” nel 2012 e s’intitolava: “Aspettando il Messia. Bocca e il mistero del paradiso perduto: «Dov’è finita Locri fiore d’Italia?»”.

Chi crede che la salvezza arrivi dal futuro, è vittima di un inganno. La redenzione dalla ferocia e dalla rozzezza del presente viene dal passato. Da quel glorioso tempo che fu. Quando Locri era una città di 50 mila abitanti che viveva di pesca e agricoltura, commercio e artigianato. Che disponeva di tre santuari, di un tempio e di un teatro da 2500 posti. Il reportage “Aspra Calabria” del 1992, riedito da Rubettino nel 2011, è un continuo “odi et amo” di Giorgio Bocca nei confronti di questa terra che a seconda di come la si guarda è periferia d’Europa o porta d’ingresso principale al vecchio continente.

C’è un capitoletto che s’intitola “Il ritorno di Pitagora”. Neanche sei pagine, su una settantina di cui si compone l’intero libro. Bocca piemontese antitaliano racconta del suo viaggio in Calabria, soprattutto nel reggino, nella Locride in particolare. Il testo è datato, ma al netto dei sequestri di persona che oggi non si fanno più perché ritenuti antieconomici, gli argomenti che l’autore tira fuori sono tuttora attuali. Mafia & politica, ecomostri, le opere aperte dell’autostrada A3 e della statale 106, la classe dirigente culturalmente deficitaria, l’arcana bellezza del mare e delle montagne.

Così c’è gente che davanti a tanta tristezza aspetta la reincarnazione di Pitagora. Il celebre filosofo e matematico di Crotone è usato a mo’ di un simbolo. Una metafora per indicare «il passato glorioso della Magna Graecia». Bocca è convinto di una cosa: i locridei, e più in generale i calabresi, «colti e miti», quelli «del sogno e della cultura», sono afflitti da un enigma. Eccolo: si chiedono come mai sia possibile che quell’epoca si sia esaurita e abbia ceduto il posto a un «presente feroce e rozzo». Questa gente vive attendendo il ritorno di Pitagora.

Qualcuno alzerà le spalle e non leggerà più avanti. Si dirà: quale enigma, è la storia che ha fatto il suo corso e questo è l’esito. Non serve a nulla baloccarsi con la nostalgia e con la retorica del paradiso perduto. Ancora: occorre guardare al domani. Ma il passato, tanto più quando è un passato ingombrante, non si cancella con un’alzata di spalle. Forse, è col passato che bisogna fare i conti per ripercorre e magari cambiare il corso della storia piuttosto che con il futuro ancora sconosciuto. L’età gloriosa della Magna Graecia non è affatto da guardare con statico rimpianto, con immobile malinconia. Di più: l’attesa del suo ritorno non è da vivere sotto lo schiaffo di un improduttivo sentimento nostalgico. Chi aspetta il Messia per salvarsi non sta mica lì fermo e inerte. Il ritorno del Messia è vissuto con vigore e dinamismo. Bisogna essere sempre pronti ad accoglierlo perché ogni ora può essere quella degna. Ogni giorno può essere quello del Giudizio. Pitagora il Messia può tornare da un momento all’altro per rivendicare i soprusi, redimere i disonesti, restituire la terra agli uomini.

Locri fiore d’Italia, così la chiamava Platone. L’impressione di Bocca mentre visitava la jonica, girando per le città della costa e addentrandosi nei boschi dell’Aspromonte, è che ci sono persone provviste di una sensibilità particolare. Persone che avvertono il richiamo delle cose buone che furono per ricalibrare le cose cattive che ci sono adesso. Quello di Bocca non è un messaggio religioso. Il Messia è secolarizzato, veste in borghese. Quello del giornalista allobrogo, come era solito chiamarsi alludendo alla sua origine nordica di là dove vivevano gli Allobrogi fra Francia e Piemonte, è un messaggio politico. Interamente laico. Per lui chiedersi che fine abbia fatto il tempo perduto e perché sia stato sconfitto è una questione da dibattere nei Consigli comunali. Ragionare intorno a Pitagora il Messia è un affare di cui devono occuparsi i Palazzi. Non perché il sentimento filo-messianico sia nato dentro le stanze. È la Piazza che lo sente e lo urla. Perlomeno una parte della Piazza, che, in cuor suo, perfino Bocca il nordico si augura possa essere composta dalla maggioranza dei piazzaioli.

Sia chiaro: per il ritorno di Pitagora non esiste un tempo critico oltre il quale non sarebbe più possibile aspettarsi la sua venuta. O la politica interpreta la passione dei cittadini «colti e miti», oppure loro il Messia lo accolgono da soli, senza delegare nessuno. Senza più alcuna rappresentanza né mediazione, dialogano col Salvatore. È l’anno zero della società civile contemporanea, l’anno in cui si è chiamati a pagare il conto. Tutti, nessuno escluso. Perché il Messia, almeno lui, non fa distinzioni e bada alla sostanza delle cose e dei fatti.



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