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suicidio, il neologismo

Da Bloody Ivy
Jean-Baptiste Romand e François Rude (1832-1835) Catone Uticense legge il Fedone, prima di togliersi la vita Museo del Louvre, Parigi, Francia

Jean-Baptiste Romand e François Rude (1832-1835)
Catone Uticense legge il Fedone, prima di togliersi la vita
Museo del Louvre, Parigi, Francia

Questo è l’unico motivo per cui non possiamo lagnarci della vita:essa non trattiene nessuno.
(Seneca, Lettere a Lucilio)

Se togliersi la vita da sé è qualcosa di molto antico, il termine suicidio usato oggigiorno per indicare l’atto, ha in realtà un’origine recente e, pare perfino un creatore identificabile: Thomas Browne.

Browne, medico, e studioso erudito dell’antichità (Londra 1605 – Norwich 1682), introduce il neologismo suicidio ‘suicide‘ nella sua opera più famosa e di vasta risonanza europea, la Religio Medici (scritta già nel 1635 ma pubblicata prima abusivamente nel 1642 e poi con autorizzazione dell’autore nel 1643), scritto in cui afferma l’impotenza della ragione di fronte al problema della conoscibilità di Dio, e quindi, respingendo l’accusa di ateismo comunemente rivolta ai medici, richiede l’autonomia della ragione nelle questioni della scienza, scienza medica in primis. Sir Thomas Browne, usò un neologismo, ‘suicide‘, suicidio, per riferirsi a quello di Catone, e distinguerlo dal ‘self killing‘ condannato dalla religione cristiana, impregnato di implicazioni etiche e religiose, e termine che appariva nei libri e nei vocabolari.

Gli autori anglosassoni usavano anche l’espressione ‘intentional selfkilling‘, uccisione intenzionale di sé, oppure ‘self–homicide‘. Shakespeare nelle sue opere lo aveva descritto come ‘self- slaughter‘ (macello di sé), Spenser come ‘self–murdering‘, Burton con il crudo ‘to be their own butchers’ (essere macellai di se stessi).
Probabilmente, il primo a riportare il termine ‘suicidio’ in un dizionario inglese fu Edward Phillips nel 1662. In Germania viene usato per la prima volta la parola ‘Selbstmord‘ nel 1643 dall’abate Darmkarwven.

In Francia diventa di uso comune solo nel 1737, quando l’abate Desfontaines usa ‘suicide‘, uccisore di sé, scrivendo uno degli articoli per la Grande Enciclopédie. Prima, Montagne, nel suo saggio sulle usanze dell’isola di Ceo, parlava di ‘homicide de soy-mesme‘, ma in francese era anche usato termine ‘meutre par desespoir‘ (omicidio della disperazione).

melancholy

In Italia questa parola diventò consueta grazie al Dictionary of the Englisch and Italian Languages, di Giuseppe Baretti
, pubblicato a Londra nel 1760 e a Venezia nel 1787. Nell’opera il termine ‘suicide‘ era tradotto appunto con ‘suicidio’. Prima in Italia, teologi e giuristi usavano i termini di ‘sui homicida‘ e ‘sui ipsius homicidium, per poi arrivare all’espressione ‘omicidio di sé medesimo‘.
In Spagna il termine entrerà nel 1770 sempre grazie ad un dizionario inglese – spagnolo del Baretti, nel Portogallo nel 1844.

La parola suicidio infatti, nonostante la matrice latina, ‘sui‘ (di sé) e ‘caedes‘ (omicidio), non era conosciuta dai romani che usavano espressioni come ‘mortem sibi consciscere‘, procurarsi la morte su di sè o ‘vim sibi inferre‘, usare violenza contro se stessi. Agostino, chiamava l’atto ‘crimen homicidi‘ e ‘homicida‘ colui che lo commetteva. Prima gli altri termini usati per compiere l’atto, denotavano dei giudizi morali, un senso etico; ora il suicidio è collegato soprattutto all’intenzione, al massimo ad un disagio psichico, o come si chiamava allora la depressione psicotica, melanconia. “Anatomia della malinconia”, a questo proposito, fu un’opera molto letta e influente pubblicata nel 1621, dove Robert Burton descriveva con compassione i legami fra follia, malinconia e suicidio.

(la storia del suicidio continua su altri post) 

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