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Sul delfino che ha dato scacco al re: chapeau Alfano (quasi-padre della Patria?)! Sulla strana coppia a palazzo Chigi e sullo Scilipoti tarantolato.

Creato il 03 ottobre 2013 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali

450px-Tarantuladi Rina Brundu. Si è presentato leggermente in ritardo, quando il Presidente del Consiglio aveva già iniziato il suo discorso ai senatori della Repubblica; aveva un volto tirato a metà strada tra il faccione largo di uno smagrito commissario Basettoni e lo sguardo spiritato del mitico Jack Nicholson di Shining. Sedutosi accanto a Enrico Letta ha però ripreso la sua più tradizionale posizione di sparring-partner sui generis e apparentemente muto, come si conviene ad ogni buon siciliano del tempo che fu, ma vigile e presente, attento a spiare ogni movimento minimo tra le fila dei suoi compagni del centro-destra (traditori e non) e a ogni nuovo corrucciamento sul viso stanco di Silvio Berlusconi, l’ex padre adottivo.

Del resto non sarebbe potuto essere altrimenti: non ci si trasforma da delfino-designato, soprattutto perché ritenuto di facile manipolazione, in un quasi-padre-della-Patria e questo, Angelino Alfano, il segretario del PDL che ieri ha assestato un duro colpo ai falchi e al leader del suo partito (ma anche all’attuale opposizione politica), lo sapeva bene. E sapeva bene che il berlusconismo non perdona: o sei con noi o sei contro di noi, anche quando invece di spingerci nel baratro sei colui che ci sta salvando il fondo-schiena e i gioielli di famiglia con un’unica mossa, per quanto azzardata. Che far partire una telefonata a Sallusti affinché crei un titolo-mirato costa niente di questi tempi; lo sa bene Fabrizio Cicchitto che a Ballarò a rischiato grosso e lo sa bene qualunque commentatore decida di dire la sua contro questo peculiare giornalismo in stile “pizzino” pubblico corleonese, laddove anche mentre scrive la sua critica gli/le pare di avvertire il prurito sui polpastrelli del titolista de “Il Giornale” mentre il velo di polvere dimenticata diventa pericolosamente sottile sulla catasta di scheletri nell’armadio.

Ma sono anche tempi in cui la sottile linea rossa (o azzurra?) che separa un traditore da un figliol prodigo è quasi inesistente, soprattutto quando di mezzo ci sono le folli inversioni ad U di un Silvio Berlusconi sempre più in balìa di se stesso e dei cattivi consiglieri. Che a buon guardare il padre-nobile del PDL, seduto sul suo pericolante scranno, faceva comunque un po’ di tenerezza, così come la farebbe un qualsiasi anziano genitore abbandonato dal figlio-prediletto nell’istante in cui si scopre circondato da avidi cugini lontani venuti a spartirsi l’eredità; se poi uno di quei cugini-acquisiti somiglia ad un tarantolato Scilipoti determinato, questa volta, a non passare dall’altra parte, e che trascorre l’intera mattinata a bisbigliargli nell’orecchio (ma cosa aveva da dirgli?), la tenerezza suscitata non può non trasformarsi in pena.

Tutto sommato a noi però è andata bene: c’è infatti un qualcosa di buono, di fresco, di giovane, di pulito in questa strana coppia (strana per l’Italia) che guida palazzo Chigi, sebbene più che degli improbabili padri della Patria, Letta e Alfano ricordino Ric e Gian, un duo biricchino e irriverente ma simpatico. Del resto fare peggio per loro sarà impresa quasi impossibile, quindi la fiducia è d’obbligo. La sintesi? Parafrasando il miglior Silvio d’annata: l’apocalisse dopo di me, ma per fortuna Alfano c’è!

Featured image, una tarantola, fonte Wikipedia.  

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