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SUL DIVIETO DEL PRANZO DEI PORTATORI - nota delle Comunità Capi AGESCI di Potenza

Da Giulia
Come comunità educanti ci troviamo a lavorare quotidianamente con i ragazzi e Dio solo sa quanta fatica facciamo a remare controcorrente e infondere loro valori quali la cittadinanza responsabile, la fede incarnata nella vita della comunità, la cura per l’altro e per le cose, l’amore per l’ambiente e la salute dell’uomo riconosciuti opere del Creatore. Per questo motivo dinanzi all'articolo “Vietare non è la strada giusta” di Valerio Panettieri, comparso su il Quotidiano della Basilicata lo scorso 17 Maggio, non possiamo tacere.
Il pezzo si lagna del divieto di vendere alcolici ai minorenni durante il pranzo dei portatori (posto per autotutela dagli stessi organizzatori della manifestazione), sostenendo che da ciò non vi si guadagna “nulla, al massimo si perde e non poco”.
È vero che il proibizionismo non porta ad alcun risultato educativo, ma il limite posto al pranzo dei Portatori è un semplice rispetto della legge italiana (Legge 189/12), che non consente ad alcuno e in alcun modo la vendita di alcolici ai minori di 18 anni, come precisato dalla risoluzione 18512/13 del Ministero dello Sviluppo Economico.
Dire “siamo nel rispetto assoluto della legge ma a che pro?” significa non solo ignorare che dietro ciascuna norma c'è la risposta ad un'esigenza sociale, ma anche credere che essa ponga semplicemente dei veti. E invece la legge educa! Indica ciò che è giusto e addita ciò che è sbagliato (e anche le Forze dell'Ordine, col loro lavoro, educano. Checché se ne voglia dire con quel riferimento alla Municipale, fatta passare come una infame!).
Certo, non sempre ciò che è legale è anche giusto, ma crediamo assolutamente che non sia questo il caso.
È vero che Potenza è una città perbenista, che gira lo sguardo dinanzi a problemi scomodi, ma combattere questa mentalità ipocrita non equivale al rendere lecito tutto.
È vero che la Festa di San Gerardo è da tempo entrata nella tradizione popolare potentina andando oltre la mera connotazione religiosa ma, da educatori cristiani, siamo convinti che essa non debba essere in contrasto con la figura del santo che celebra, il quale viene descritto dal suo biografo Manfredi “di tanta sobrietà da sembrare un monaco”.
È vero che le feste contadine sono feste dell’abbondanza, momenti in cui è permesso fuggire alle restrizioni di costume della vita quotidiana (cfr. R. Riviello, “Costumanze, vita e pregiudizii del popolo potentino”). Ma se è vero che da sempre la festa finisce a tarallucci e vino, è vero anche che i nostri “bracciali” dell’epoca bevevano e sapevano bere, conoscevano i loro limiti e di sicuro non avrebbero permesso ai loro figli di imbruttirsi agli angoli delle strade come avviene oggi. E ciò non lo presumiamo, sono i nostri genitori e i nostri nonni, contadini e potentini doc (a differenza del giornalista), a raccontarcelo.
Non è vero, invece, che sia necessario “modernizzare san Gerardo”. Le tradizioni, tutt’al più, vanno recuperate e ripulite da stucchi di varie “mani”, non orpellate di novità finte e innaturali come l’acqua addizionata. Bisogna lavorare alla riscoperta della propria identità, non riprendere e alterare a proprio comodo antiche usanze. E fra l’altro non è vero che “modernizzare” significa rendere più scollacciato.
Non è vero neppure che certe tradizioni, se sbagliate, non possano essere abbandonate soltanto per una questione insensatamente intellettuale.
Non è vero, soprattutto – e non ci stancheremo mai di dirlo – che per divertirsi sia necessario “alzare il gomito, sporcarsi un po’ e allargare i colletti inamidati”, né è vero che serva ad entrare nel clima di festa.
Ed è inutile – lo diciamo anche se non è tesi sostenuta nel suddetto articolo - tentare di giustificare tutta questa questione vestendola di devozione e tirando in ballo la storia che il più noto miracolo di san Gerardo è quello di aver mutato l’acqua in vino: anche Cristo ha caricato il vino del significato più alto che gli si potesse attribuire, ma nemmeno uno stupido lo assimilerebbe per questo a Bacco.
L’insegnamento del miracolo di san Gerardo sta invece nel dare sapore a ciò che non ne ha; e in un presente in cui, come dice lo stesso Panettieri, certi comportamenti al limite dell’abuso sono pane quotidiano, dare sapore significa proprio andare oltre ciò e cercare nella vita sensi più profondi.
Non è vero, a tal proposito, che “uscire fuori dagli schemi” significhi concedersi di esagerare un po’, semmai in una società dove, nel silenzio, tutto ciò accade ogni giorno, dovrebbe significare l’opposto: andare oltre tali vanità.
Non è vero che tutto ciò “livella lo spirito della festa”. Lo spirito della festa è ben altro, ma non ci proviamo neppure a spiegarlo, non è cosa che si spiega: si sente!
Non è affatto vero, in fine, che questo divieto è una sconfitta!
Nel complesso riteniamo questo articolo profondamente diseducativo, perché legittima e normalizza comportamenti che, col sudore, cerchiamo di estinguere. Ci verrebbe voglia di chiedere a “il Quotidiano della Basilicata” di mettere alla porta certi redattori, ma riflettendoci, se qualcuno gli ha dato spazio è inutile anche pensarci.
Piuttosto chiediamo che, in merito, faccia sentire personalmente la sua voce anche monsignor Superbo, certi che la sua autorevolezza aiuti a dissipare ogni nebbia.
Invece il nostro grazie va proprio agli organizzatori del pranzo che hanno deciso di porsi questo limite: se qualcuno ha voluto leggerlo come un semplice gesto di autotutela o, peggio, di cedimento a delle “pressioni”, noi vogliamo leggerlo invece come un passo importante incontro alle esigenze sociali della città.
Le Comunità Capi dei Gruppi
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