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Sul “Furioso”: Conclusione del Canto I (dal verso 60)

Creato il 01 maggio 2012 da Postscriptum

Commenti selvaggi e sproloqui affettuosi sul Furioso ovvero come l’Ariosto mandò tutti a quel paese.

Sul “Furioso”: Conclusione del Canto I (dal verso 60)

Avevamo lasciato Sacripante che dalle lacrime passava ai pensieri lussuriosi. Anzi, più che pensieri, ormai si trattava proprio di tramutarli in atto. Angelica ridotta a mal partito? Beh, se si parla di “partiti” e di “mali”, vi assicuro che non è la sola a doversene lagnare. In ogni caso, questa volta non aveva fatto adeguatamente i conti con l’ardore dell’ennesimo suo spasimante. Una smorfia dispettosa segnava il suo volto:

“Disdetta, dovevo servirmene…e invece questo bruto si servirà di me?!?”, qualcosa del genere doveva pensare.

Almeno sino a quando l’Ariosto non decide di far intervenire il salvamento, un modo per giocare ancora ad impersonare il Destino, beffardissimo!!!

60
Ecco pel bosco un cavallier venire,
il cui sembiante è d’uom gagliardo e fiero:
candido come nieve è il suo vestire,
un bianco pennoncello ha per cimiero.
Re Sacripante, che non può patire
che quel con l’importuno suo sentiero
gli abbia interrotto il gran piacer ch’avea,
con vista il guarda disdegnosa e rea.

Quello di Ludovico Ariosto è un modo di parlare ironico, il voler mettere in risalto la sembianza di uomo gagliardo e fiero, il pennoncello vagamente fallico che s’impenna sul cimiero, son tutte cose che permettono al lettore più accorto di rendersi immediatamente conto dello “scherzo”. Non può che trattarsi di Elton John, tutto vestito di bianco e paillettes, mentre canta Philadelphia Freedom (tanto per citare un mio libro), no? Oppure? Oppure una donna?!? L’unico a non porsi queste domande basilari è il povero imbecille Sacripante. Ignorante di tutto, compreso il genere sessuale di questo misterioso cavaliere. Come del resto la stessa cosa vale per le ignote intenzioni del suo autore, che tra l’altro lo “stima” abbastanza inferiore all’avversario. Così Sacripante – ignaro – sfida a duello lo sconosciuto guerriero:

 

61
Come è più presso, lo sfida a battaglia;
che crede ben fargli votar l’arcione.
Quel che di lui non stimo già che vaglia
un grano meno, e ne fa paragone,
l’orgogliose minaccie a mezzo taglia,
sprona a un tempo, e la lancia in resta pone.
Sacripante ritorna con tempesta,
e corronsi a ferir testa per testa.

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Non si vanno i leoni o i tori in salto
a dar di petto, ad accozzar sì crudi,
sì come i duo guerrieri al fiero assalto,
che parimente si passàr gli scudi.
Fe’ lo scontro tremar dal basso all’alto
l’erbose valli insino ai poggi ignudi;
e ben giovò che fur buoni e perfetti
gli osberghi sì, che lor salvaro i petti.

63
Già non fêro i cavalli un correr torto,
anzi cozzaro a guisa di montoni:
quel del guerrier pagan morí di corto,
ch’era vivendo in numero de’ buoni:
quell’altro cadde ancor, ma fu risorto
tosto ch’al fianco si sentí gli sproni.
Quel del re saracin restò disteso
adosso al suo signor con tutto il peso.

Lo scontro è potente, virile, mascolino! Troppo serio per terminare in modo altrettanto consono. Infatti i due cavalli si scontrano e quello di Sacripante ha la peggio. Muore ed il suo cavaliere rimane impedito sotto, come un qualsiasi cretino che lungo la provinciale impenna con il suo scooter 50 e cade quasi da fermo restando incastrato sotto. Lo sconosciuto cavaliere lo guarda con pena e se ne va:

 

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L’incognito campion che restò ritto,
e vide l’altro col cavallo in terra,
stimando avere assai di quel conflitto,
non si curò di rinovar la guerra;
ma dove per la selva è il camin dritto,
correndo a tutta briglia si disserra;
e prima che di briga esca il pagano,
un miglio o poco meno è già lontano.

65
Qual istordito e stupido aratore,
poi ch’è passato il fulmine, si leva
di là dove l’altissimo fragore
appresso ai morti buoi steso l’aveva;
che mira senza fronde e senza onore
il pin che di lontan veder soleva:
tal si levò il pagano a piè rimaso,
Angelica presente al duro caso.

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Sospira e geme, non perché l’annoi
che piede o braccia s’abbi rotto o mosso,
ma per vergogna sola, onde a’ dì suoi
né pria né dopo il viso ebbe sì rosso:
e più, ch’oltre al cader, sua donna poi
fu che gli tolse il gran peso d’adosso.
Muto restava, mi cred’io, se quella
non gli rendea la voce e la favella.

Il cretino è ancora stordito. Angelica che aveva assistito allo scontro, si lamenta. Ma non perché prova compassione del cavaliere, magari vagamente infortunato…qualche sbucciatura al ginocchio, una escoriazione o che so… No, quella si lamenta per la vergogna! Si vergogna lei stessa dell’eroe che si era scelta per farsi scarrozzare. Bell’imbecille ‘sto Re di Circassia! E pensare che stava pure approfittando di lei…bah, che vergogna. Ad un certo punto è addirittura lei stessa che aiuta Sacripante a liberarsi del peso morto. La scena avveniva nel silenzio più increscioso. Fu anzi Angelica a rompere il ghiaccio, con una delle sue soliti finzioni:

 

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– Deh! — diss’ella — signor, non vi rincresca!
che del cader non è la colpa vostra,
ma del cavallo, a cui riposo et esca
meglio si convenia che nuova giostra.
Né perciò quel guerrier sua gloria accresca;
che d’esser stato il perditor dimostra:
così, per quel ch’io me ne sappia, stimo,
quando a lasciare il campo è stato primo. –

Le donne, che malefiche entità, talvolta! Ecco come ti prendono un tizio che più stupido non si può e lo fanno sentire un genio. Come dire: Se Bowser alla fine perde sempre contro Mario è solo perché ci sono le cheats scaricabili da internet. E tutta questa disaffezione degli elettori per la Politica? Tutta colpa di quelle malelingue dell’antipolitica, non c’è dubbio! Se Monti ha sostituito Burlesquoni è solo perché il primo non organizza cene eleganti. No, quest’ultima non c’entrava granché, ma mi piaceva scriverla. E poi non potevo mica scrivere qualcosa tipo “Se la gente s’impicca più spesso del solito, di questi tempi, non è mica colpa del Governo di Monti (o di quelli che lo hanno preceduto), ma è solo la conseguenza di una certa massiccia produzione di cordame.”

Sul “Furioso”: Conclusione del Canto I (dal verso 60)

Nel caso di Sacripante, il reo, ovviamente, era il cavallo. Lo diceva persino Angelica! E dunque sembrò evidente anche al cavaliere. Basta poco per compiacere un finto eroe (Ruby Rubacuori Docet), ma sono comunque sicuro che Angelica non si sarebbe mai fatta sistemare in via Olgettina.

 

68
Mentre costei conforta il Saracino,
ecco col corno e con la tasca al fianco,
galoppando venir sopra un ronzino
un messagger che parea afflitto e stanco;
che come a Sacripante fu vicino,
gli domandò se con un scudo bianco
e con un bianco pennoncello in testa
vide un guerrier passar per la foresta.

Che ridere, signori miei, i personaggi ariosteschi sono magnificamente inopportuni, spuntano sempre a rivoltar i cosiddetti coltelli nelle piaghe. Come quel contadino che si incontrerà più avanti e che tanto con beata incoscienza romperà le scatole ad Orlando informandolo di quanto Angelica andava facendo in giro insieme ad un certo Medoro, ecco che anche qui arriva il Disturbatore di turno.

 

69
Rispose Sacripante: — Come vedi,
m’ha qui abbattuto, e se ne parte or ora;
e perch’io sappia chi m’ha messo a piedi,
fa che per nome io lo conosca ancora. –
Et egli a lui: — Di quel che tu mi chiedi
io ti satisfarò senza dimora:
tu déi saper che ti levò di sella
l’alto valor d’una gentil donzella.

 

70
Ella è gagliarda, et è più bella molto;
né il suo famoso nome anco t’ascondo:
fu Bradamante quella che t’ha tolto
quanto onor mai tu guadagnasti al mondo. –
Poi ch’ebbe così detto, a freno sciolto
il Saracin lasciò poco giocondo,
che non sa che si dica o che si faccia,
tutto avvampato di vergogna in faccia.

71
Poi che gran pezzo al caso intervenuto
ebbe pensato invano, e finalmente
si trovò da una femina abbattuto,
che pensandovi più, più dolor sente;
montò l’altro destrier, tacito e muto:
e senza far parola, chetamente
tolse Angelica in groppa, e differilla
a più lieto uso, a stanza più tranquilla.

L’umiliazione è feroce! Forse sarebbe stato meglio Elton John… In ogni caso non restava che battersela, alla templare, due su un solo ronzino, quello di Angelica. Andarsene via da lì, in silenzio, senza altro commentare. Ad ogni modo, ecco come Angelica salvò la sua verginità, o meglio, come l’Ariosto gliela salvò… sempre che questa ci fosse veramente ancora!

 

Ma subito avviene altro, un forte rumore s’ode provenir dal bosco. Non è un comisaro con l’autoradio sparata a tutto volume, stia tranquillo il lettore. Si tratta di Baiardo, Angelica lo riconosce subito! Il cavallo era fuggito a Rinaldo qualche verso prima – qualcuno ricorderà – e adesso girava per il bosco abbattendo alberi e trascinando rami.

 

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Non furo iti duo miglia, che sonare
odon la selva che li cinge intorno,
con tal rumore e strepito, che pare
che triemi la foresta d’ogn’intorno;
e poco dopo un gran destrier n’appare,
d’oro guernito, e riccamente adorno,
che salta macchie e rivi, et a fracasso
arbori mena e ciò che vieta il passo.

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– Se l’intricati rami e l’aer fosco –
disse la donna — agli occhi non contende,
Baiardo è quel destrier ch’in mezzo il bosco
con tal rumor la chiusa via si fende.
Questo è certo Baiardo, io ‘l riconosco:
deh, come ben nostro bisogno intende!
ch’un sol ronzin per dui saria mal atto,
e ne viene egli a satisfarci ratto. –

 

Alla principessa del Catai sembra naturale approfittare di questo inaspettato dono ariostesco:

“Certu, nunn’è ca putimu iri sulu ccu n’cavaddu!? Scomoduccio mi pare!”, dice all’aria, ma rivolgendosi a Sacripante. Immediatamente il prode cavalier scende dal cavallo e imperiosamente vuol fermare il nobile destriero, per eseguire l’ordine inespresso della sua bella. Il destriero lo ignora voltandogli le “spalle”. E gli andò anche bene, ché se quello gli mollava un calcio, si sarebbe dovuto perdere tempo per scavar una fossa. Ce la vedete Angelica a scavare?

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Smonta il Circasso et al destrier s’accosta,
e si pensava dar di mano al freno.
Colle groppe il destrier gli fa risposta,
che fu presto a girar come un baleno;
ma non arriva dove i calci apposta:
misero il cavallier se giungea a pieno!
che nei calci tal possa avea il cavallo,
ch’avria spezzato un monte di metallo.

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Indi va mansueto alla donzella,
con umile sembiante e gesto umano,
come intorno al padrone il can saltella,
che sia duo giorni o tre stato lontano.
Baiardo ancora avea memoria d’ella,
ch’in Albracca il servia già di sua mano
nel tempo che da lei tanto era amato
Rinaldo, allor crudele, allor ingrato.

Baiardo allora si avvicina spontaneamente alla bella principessa, probabilmente ricordandosi di lei, di quando il suo pilota si trovava in Oriente. Tempi da ridere ormai, per Angelica… il lettore più attento ricorderà anche che le “magiche bevute” si sprecavano nel poema di Matteo Maria Boiardo, così ogni tanto Angelica si innamorava di qualcuno che nel frattempo beveva alla fonte dell’odio e viceversa. Infatti da che Angelica amava Rinaldo e quello non corrispondeva l’afflato, allo stato attuale i ruoli s’erano ribaltati:

 

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Con la sinistra man prende la briglia,
con l’altra tocca e palpa il collo e ‘l petto:
quel destrier, ch’avea ingegno a maraviglia,
a lei, come un agnel, si fa suggetto.
Intanto Sacripante il tempo piglia:
monta Baiardo, e l’urta e lo tien stretto.
Del ronzin disgravato la donzella
lascia la groppa, e si ripone in sella.

77
Poi rivolgendo a caso gli occhi, mira
venir sonando d’arme un gran pedone.
Tutta s’avvampa di dispetto e d’ira;
che conosce il figliuol del duca Amone.
Più che sua vita l’ama egli e desira;
l’odia e fugge ella più che gru falcone.
Già fu ch’esso odiò lei più che la morte;
ella amò lui: or han cangiato sorte.

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E questo hanno causato due fontane
che di diverso effetto hanno liquore,
ambe in Ardenna, e non sono lontane:
d’amoroso disio l’una empie il core;
chi bee de l’altra, senza amor rimane,
e volge tutto in ghiaccio il primo ardore.
Rinaldo gustò d’una, e amor lo strugge;
Angelica de l’altra, e l’odia e fugge.

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Quel liquor di secreto venen misto,
che muta in odio l’amorosa cura,
fa che la donna che Rinaldo ha visto,
nei sereni occhi subito s’oscura;
e con voce tremante e viso tristo
supplica Sacripante e lo scongiura
che quel guerrier più appresso non attenda,
ma ch’insieme con lei la fuga prenda.

Angelica dunque ha riconosciuto subito l’odiato Rinaldo e propone a Sacripante la fuga indolore, quanto velocissima. Forse anche memore del recente scontro e della conseguente malafiura. Ma finalmente il vago eroe di Circassia ha un moto di stizza:

 

80
– Son dunque, — disse il Saracino — sono
dunque in sì poco credito con vui,
che mi stimiate inutile, e non buono
da potervi difender da costui?
Le battaglie d’Albracca già vi sono
di mente uscite, e la notte ch’io fui
per la salute vostra, solo e nudo,
contra Agricane e tutto il campo, scudo? –

81

Non risponde ella, e non sa che si faccia,
perché Rinaldo ormai l’è troppo appresso,
che da lontano al Saracin minaccia,
come vide il cavallo e conobbe esso,
e riconobbe l’angelica faccia
che l’amoroso incendio in cor gli ha messo.
Quel che seguí tra questi duo superbi
vo’ che per l’altro canto si riserbi.

 

Come andrà a finire, ci sarà uno scontro tra i due eroi? E Angelica, starà a guardare, o come al solito se la batterà nel momento di disattenzione generale? Domande che risolverà solo il Secondo Canto.

A presto.

Gaetano Celestre

 

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