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Sul governo dell’economia in europa e negli stati uniti.

Creato il 15 ottobre 2012 da Conflittiestrategie

   I CASTELLI DI CARTA E I CALCOLI SBAGLIATI DELLE ISTITUZIONI ECONOMICHE E POLITICHE

Sul Sole 24 ore del 06.10.2012 Mario Margiocco, giornalista esperto di economia Usa, scrive:

<<L’euro resta istituzionalmente debole, ma anche altri non stanno poi così bene. E la conseguenza è che l’euro non è più la fonte unica di ogni rischio planetario. Non è un gran passo avanti, anzi, ma la verità dei fatti ne esce meno manipolata>>.

Secondo Margiocco due novità sarebbero da rilevare come importanti sul fronte dell’euro. La prima sarebbe rappresentata dalla decisione con cui si è mossa la banca centrale europea, annunciando all’inizio di settembre l’Omt (Outright Monetary Purchase)  – ovverosia l’acquisto diretto di titoli del debito pubblico – ottenendo anche il sostanziale appoggio della cancelliera Angela Merkel e il via libera della Corte costituzionale di Karlsruhe; la seconda consisterebbe nel fatto che il Consiglio europeo ha avviato azioni comuni sul fronte della sorveglianza bancaria e delle politiche fiscali. Per il momento queste ultime misure sono state appena abbozzate ma le prospettive, secondo il giornalista, appaiono buone. Decisivo, in misura ancora maggiore, sembra, però, rivelarsi quello che sta succedendo oltre oceano:

<<La Federal Reserve ha annunciato a metà settembre il Qe3, un nuovo quantitative easing, l’acquisto cioè di titoli. Si tratta, a tempo indeterminato ha detto Bernanke, di 40 miliardi al mese di rmbs (titoli di mutui cartolarizzati) delle agenzie, cioè Fannie e Freddie e simili, la gigantesca galassia del debito immobiliare pubblico, più la proroga di altri 45 miliardi mensili di treasuries(1), acquistati via banche. L’azione durerà fino a quando la disoccupazione non scende, ha detto Bernanke>>.

Nonostante questa volta vi siano state delle indecisioni prima di agire viene così riconfermato che, negli Usa, la Fed si è ormai sostituita al mercato interbancario e a quote rilevanti di altri mercati finanziari. Per diversi mesi nella prima parte dell’anno in corso sono state lanciate “bordate” contro l’eurosistema, considerato il quasi esclusivo possibile responsabile di un crack globale – anche su pagine considerate la bibbia dell’economia internazionale, come Financial Times ed Economist – ma negli ultimi tempi il flusso di capitali che fuggivano dall’Europa e si rifugiavano in America si è quasi arrestato nonostante un sistema, quello statunitense, che può ancora finanziare le casse federali a costi irrisori. E il giornalista del Sole chiarisce:

<<L’America è sempre l’America, ma è sempre più garantita da Washington, ormai la vera capitale finanziaria al posto di New York. Il portafoglio Fed era inferiore ai 900 miliardi a fine 2007, balzava in un anno a 2.200, è adesso a 2.800 e sarà a fine dicembre 2013 attorno ai 4 mila>>.

E l’ ex-Segretario di Stato George P. Shultz, ha ricordato recentemente che la Fed detiene già un dollaro ogni sei di debito federale, più che alla fine dei prestiti forzosi della Seconda guerra mondiale. Anche sulla questione dell’ammontare del debito pubblico Usa a volte si fa confusione perché se il debito federale americano è a oltre 16mila miliardi, il 103% circa del Pil, quello totale comprende anche un 25% del Pil per il debito degli Stati ed enti locali, e una quota, stimabile al 20% del Pil, per le garanzie date su Fannie e Freddie, e quindi sull’intera finanza immobiliare americana, senza le quali nel 2008, osserva Margiocco, ci sarebbe stata una fuga disordinata dal dollaro. Ma in effetti se la Fed di Bernanke dovesse mantenere fede a quanto detto e procedere con il Qe mantenendo il livello attuale dei  tassi, il costo del finanziamento del debito risulterebbe ancora tanto basso da non costringere i partiti, che si stanno sfidando per il nuovo mandato presidenziale, a trovare nuove soluzioni e a scontrarsi in maniera dura su spese e tasse, nonostante i bellicosi proclami soprattutto da parte repubblicana. Risulta ancora decisivo, nella condizione presente, il perpetuarsi del primato politico e politico-militare degli Usa che appare appena scalfito dai primi sviluppi del multipolarismo e questo vale anche per le capacità nel campo dell’innovazione produttiva e delle tecnologie d’avanguardia dove gli Stati Uniti non hanno rivali. Per completare il panorama possiamo prendere spunto da Fabrizio Galimberti (articolo del 14.10.2012). Galimberti ricorda che nella Ue i paesi fautori dell’austerità di bilancio – e la Germania in particolare – si riallacciano a una “scuola di pensiero”, attualmente ridotta ormai ai margini in campo teorico, denominata scuola dell’austerità espansiva. Il principio fondamentale suonerebbe così:

<<riducete il deficit e l’economia ripartirà, perché famiglie e imprese, confortate da queste “coraggiose” misure, ritroveranno fiducia e voglia di spendere: la maggiore spesa privata si sostituirà alla minore spesa pubblica e l’economia alleggerita e salubre, ritroverà la via della crescita>>.

Il capo economista del Fmi, Blanchard, ha già ribattuto in proposito che i moltiplicatori fiscali sono stati sottostimati, ovverosia che non si sono valutati nel modo giusto i danni, per il sistema economico, delle misure restrittive. Galimberti, devo dire questa volta con un giusto tono ironico, dimostra la “pericolosità” dei cosiddetti grandi economisti che si mettono a giocare con numeri e formule. Se il moltiplicatore che la riduzione del deficit implica è il triplo di quello previsto il Pil diminuirà così tanto che il bilancio non si risanerà mai, mentre vi sarà una forte diminuzione delle entrate fiscali e una altrettanto grande crescita della disoccupazione. Il Fmi si è accorto adesso che le politiche di austerità che si stanno portando avanti in Europa possono dare risultati disastrosi perché il moltiplicatore fiscale anziché dello 0,5, come ipotizzato, è stato statisticamente verificato attorno al 1,5/1,7. Però l’agenda della Ue, il fiscal compact e l’ obiettivo (demenziale in questo contesto) del bilancio in pareggio non sono stati ancora sconfessati.

(1)   Il significato di Treasury bonds è:
Obbligazioni a lungo termine emesse dal Tesoro degli Stati Uniti per provvedere alla copertura del fabbisogno statale. Le scadenze sono comprese fra 10 e 30 anni e le cedole sono fisse, la tipologia del titolo è simile a quella dei buoni poliennali del Tesoro italiani. (Dizionario di finanza dal web)

Mauro T.    14.10.2012


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