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Sul palco del Palladium si susseguono cinque corti teatrali (Roma3FilmTeatroFestival)

Creato il 13 giugno 2011 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

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Mezz’ora prima che iniziassero i Live Short, i corti teatrali, è stato possibile sedersi sulle poltrone del Teatro Palladium e assistere alle prove. Ragazzi giovanissimi, registi e attori, davano disposizioni per la scenografia, le luci, la posizione degli attori sul palco. C’erano concitazione e un po’ di tensione, immancabili, ma anche eccitazione, emozione: quelle di chi fa una piccola grande esperienza grazie ad un festival organizzato dal Dams dell’Università di Roma Tre. E, nell’aria, era palpabile quel brulichio di teatranti sconosciuti, sì, ma estremamente attenti al proprio lavoro, desiderosi di dare il loro importante contributo all’arte e alla cultura, di espandere la ricerca, la sperimentazione e l’esperienza del teatro.

Questo si respirava il secondo giorno del Roma3FilmTeatroFestival, dedicato al teatro. E la mattinata dei corti teatrali è stata densa di spunti interessanti.

Corti teatrali. È una formula che mescola il teatro al concetto di cortometraggio: e non poteva essere altrimenti in un ambito come il Dams, dove teatro e cinema vengono studiati di pari passo. Ci si è trovati di fronte, infatti, a piccole pièces teatrali di non più di venti minuti, a volte anche più brevi, che hanno permesso di concentrare in pochi istanti tutta l’esperienza, forte e unica, che sa regalare solo lo spettacolo dal vivo. Realizzare una rappresentazione breve, proprio come fosse un corto cinematografico, permette di sperimentare sui ritmi teatrali, sulla drammaturgia, sull’attore, che in tempi stretti deve comunicare col proprio corpo significati e storie: il crescendo non avviene nell’arco di un paio d’ore o nel corso di più atti, ma la concentrazione attoriale si fa più tesa e la recitazione deve brillare hic et nunc. Insomma: proprio come per un cortometraggio, ci si deve dare brevemente e intensamente.

E le compagnie del festival non si sono tirate indietro, dimostrando buoni se non ottimi livelli di preparazione e studio. Si sono susseguiti cinque spettacoli teatrali, che hanno spaziato tra i generi più diversi.

Un venerdì particolare (di Matteo Menduni, regia Carlo Dilonardo), realizzato dagli studenti del Dams, è una commedia degli equivoci; delirante, sopra le righe, il breve spettacolo riesce a strappare la risata e fa sperare per lo sviluppo futuro di una compagnia legata al corso di laurea, che un giorno possa coniugare la ricerca accademica a quella teatrale.

Confessione (di Andrea Conte e Cristiano Vaccaro, regia Cristiano Vaccaro) appare un lavoro più maturo, un teatro intimo, di coppia, drammaturgicamente ben congegnato: la situazione cresce in modo da svelare, a poco a poco, i segreti della confessione, giocando sul mistero, sullo scontro tra apparenza ed essenza e sulla perfida psicologia di sottomissione che, a volte, può nascere tra amanti; molto bravi i due attori a dosare, in poco tempo, un coacervo di significati ed esperienze complesse.

N.O. (di Simona Verrusio, regia Claudia Dell’Era) è un lavoro estremamente sperimentale: la compagnia usa il teatro per una ricerca approfondita sulle parole, sulla loro ripetizione e la loro eco, sul corpo dell’attore e i suoi gesti con o senza oggetti: il risultato è il disagio, uno straniamento quasi onirico che permette di esperire il teatro, le parole – e la vita – con una logica diversa dal solito. Sotto questa nuova esperienza teatrale aleggia una relazione carnale e fortemente reale: quella tra madre e figlio, rapporto che implica la ripetizione, lo sdoppiamento e lo scambio dei pensieri, dall’uno all’altra, senza soluzione di continuità.

Spectacular subjects in an unspectacular way (allestimento di Barbara Caridi e Vito Gennaro Giacalone) è un lavoro sperimentale sull’amore. Due attori, spinti da un’energia incontrollabile, si muovono spasmodicamente, urlano, raccontano l’amore e la sua potenza infinita, incendiaria, incontrastabile ma anche devastante: lo spettacolo sprigiona una forte energia dei corpi, delle parole, della musica e della scenografia.

Infine, Elisa (di Pietro Dattola e Flavia Germana De Lipsis, regia Pietro Dattola) probabilmente l’opera dalla maggiore resa scenica: mentre una ragazza parla alla sua immagine allo specchio, rifiutando la sua bellezza, l’invisibile Dimitri le dichiara il suo amore. Sulla scena un gioco di luci e ombre abbaglia e incanta, una lampada a olio sulla ragazza che recita intensamente, due occhi luminosi, sempre più luminosi, squarciano l’oscurità in un impatto visivo che ha qualcosa di cinematografico, dal momento che la messa in scena medita sui concetti di specchio, riflesso, luce, buio, punto cieco.

In definitiva tutti gli spettacoli hanno saputo comunicare qualcosa e hanno permesso di vivere esperienze penetranti, dimostrando quanto sia enorme il contributo che continuamente dal basso si dà alla crescita dell’arte teatrale e cinematografica.

Veronica Mondelli


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