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Sul paradosso nell’eredità artistica di Charlie Hebdo: dieci vignette e un’analisi critica. E a lezione di giornalismo libero: in Germania!

Creato il 12 gennaio 2015 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
newchdi Rina Brundu. Sono molte le possibili conseguenza di un episodio tanto funesto come l’attacco a Charlie Hebdo. Ci possono essere conseguenze politiche (speriamo), civili (speriamo), a volte militari (speriamo di no), ma in realtà da quel momento tristemente fatidico derivano infinite altre dinamiche. Per esempio, vengono creati modelli, miti, riti, eroi. E poi… s’impartiscono e si imparano lezioni.

Una lezione che ho tratto io è il netto convincimento che da ora in poi se vogliamo studiare giornalismo libero dobbiamo andare in Francia e soprattutto in Germania. Travolto sotto un mare di fango e una meritatissima accusa di pusillanimità il mito del giornalismo di matrice anglossassone (vedi i giornali americani che non hanno pubblicato le vignette di Charlie e ancor di più l’incredibile quanto nefasto articolo del direttore del Financial Times europeo, etc), sepolto sotto la consueta coperta ridicola il professionismo nostrano affetto dalla Sindrome paraculica editoriale, sono rimasta impressionata dalla libertà dell’Essere che erano in grado di mettere in campo i giornalisti di Charlie Hebdo e ad un tempo dalla professionalità del giornalismo tedesco.

Per quanto riguarda quest’ultimo, mi ha colpito la maniera decisa e compatta con cui i principali giornali di Germania hanno marciato, con alcune delle testate che hanno pubblicato in toto le vignette di Charlie. Ecco, così dovrebbe essere: davanti a date prevaricazioni, davanti a date imposizioni si procede senza esitazioni, come un carro armato. Che poi questa lezione di libertà d’espressione e di stampa la impartisca una nazione che ha una storia poco esaltante rispetto a questi argomenti, è quanto mai consolante. Ci conferma insomma che la speranza è davvero l’ultima a morire e che la possibilità di cambiare pagina è un’opzione alla portata di tutti. Sempre. Dunque anche dell’integralismo islamico.

Back to Charlie Hebdo. E alla sua vena ispirata. Rivedendo alcune delle sue tanto vituperate vignette (ne pubblico dieci qui di seguito), mi è capitato di pensare quanto sia grande l’eredità artistica che ci ha lasciato quella redazione, sotto prospettive multiple. Intanto – prestando maggiore attenzione alla fattura dei loro lavori – colpisce la qualità estetica: i colori vivaci, il tratto fumettaro quasi disneyano rappresentativo di una vena impunita e impunibile perché a loro modo queste sono…. creazioni “infantili”. Dunque sommamente oneste, dunque incapaci di voler davvero il male di qualcuno. Incapaci di seminare odio. Autoironiche (vedi per esempio la stupenda vignetta “L’amore è più forte dell’odio”).

E poi il paradosso! Di fatto questo profeta rappresentato è simpatico, simpaticissimo, propone un mondo musulmano sdoganato e possibile e francamente non vi è nulla in tutto questo che abbia un tratto blasfemo. E nulla che dovrebbe indurre i fedeli a sentirsi offesi. Anzi! Non ho difficoltà a dire che tra le molte vignette che ho visto per decidere quali pubblicare, due ho scelto di ignorarle; riguardavano il profeta, ma questo è un dettaglio. Di fatto non le pubblico semplicemente perché ho un gusto estetico vittoriano purtroppo, e dunque non le avrei pubblicate neppure se avessero riguardato il mio peggior nemico.

Ma, ripeto, si tratta di una limitazione nel mio gusto: per il resto bisogna vivere e lasciar esprimere. Mentre ci tengo a precisare che la pubblicazione di questo post di analisi critica non costituisce – da nessun punto di vista – un atto di sfida o una offesa contro i leader e/o i rappresentanti delle religioni che Charlie Hebdo chiama in causa nelle stesse.

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Featured image la prima copertina di Charlie Hebdo dopo la strage. Altre immagini, vecchie coperte della rivista.

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