Magazine Diario personale

Sull'uso della parola «borghese»

Da Anacronista
Appunti sparsi e in fieri

Capita spesso: a un certo punto, nel bel mezzo di una conversazione, eccola che spunta, questa parola, fugace e furtiva. Io stessa mi sono più volte macchiata dell'imprudenza di averla spesso pronunciata, fino a pochissimo tempo fa. Ora mi dà perfino fastidio sentirla, per non dire orrore. "Borghese". 


Nella maggior parte dei casi viene usata in senso spregiativo. Quando non ha un senso descrittivo - per intenderci, di carattere puramente economico -, tendenzialmente con essa si vuole rappresentare uno stile di vita "integrato nel sistema", generalmente caratterizzato da uno stipendio più o meno congruo, una famiglia con maschio femmina figlio/i/a/e e cagnolino, il mutuo e il televisore al plasma comprato a rate. Non di rado il marito - va da sé che borghese, per chi usa il termine, è per eccellenza anche il matrimonio - è un normale padre di famiglia, magari dedito al commercio, alla libera professione o funzionario nella pubblica amministrazione, è cattolico non praticante e la sera, quando tutti dormono, mette youporn o va a prostitute senza che la cosa entri in contraddizione con tutto il resto: non finché non lo viene a sapere nessuno, naturalmente. Ad agosto il borghese non rinuncia al villaggio vacanze, al pacchetto turistico per famiglie; se riesce, grazie all'abbonamento sky guarda le partite di calcio ogni domenica pomeriggio mentre i figli giocano alla playstation, vanno a drogarsi o vanno a dire in giro di non essere borghesi, e la moglie prepara la cena. Scrupolosamente distante dai conflitti sociali, dalle marginalità, è una persona benestante senza troppe pretese, ha idee generalmente democristiane con picchi di conservatorismo che emergono puntualmente quando si parla di immigrati o omosessualità. 

Questa è, più o meno, la catena di proiezioni condensata nella parola "borghese". Interessante, certo, e rivelativa di un modello umano assodato, la cui esistenza è innegabile e qualche volta ripugnante. Ma quel che non mi convince è il fatto che si tratta di una rappresentazione dopotutto confortante per chi la racconta. La sua funzione catartico-terapeutica è cioè quella di appoggiarsi a una narrazione che consenta di sentirsi migliori di altri. E' entrata in quella fase del luogo comune in cui dopo lunga usura tipicamente il luogo comune esplode, come un brufolo col pus, e non ci resta che prenderne atto e passare ad altro. 

Quel che ultimamente mi interessa di più è infatti chi pronuncia la parola. Chi è costui o costei? Perché sente il bisogno di distanziarsi dall'esponente dello stile di vita medio, che definisce borghese, assumendo implicitamente di essergli migliore? E, quel che è più importante: ne ha forse il diritto? 

La maggior parte delle volte, chi utilizza questo termine lo fa muovendo da presupposti che non hanno nulla a che vedere con la lotta di classe, ma di carattere narcisistico-moralistico. La mia vita è migliore della tua, la mia morale è migliore della tua, la mia visione del mondo è più fica della tua, insomma io so' mejo de te. Ma entriamo adesso nel merito della vita media di chi mediamente utilizza la parola "borghese" con intenti maldissimulatamente moralistici. Mi sia concesso un certo margine di approssimazione tipico di ogni stereotipo: lo stesso, del resto, di cui soffre il termine "borghese". La premessa dei miei ragionamenti è sempre la stessa: non compiacere nessuno, non avere pietà di nessuno. Nei limiti del possibile.

Prendiamo una tizia, il cui messaggio, esteticamente, è questo: "sono studiatamente trasandata. Perché per me l'aspetto non conta. Ma non troppo. Cioè voglio darti l'idea di non essere una stracciona, ma allo stesso tempo di non dare troppo importanza alle apparenze. E questo, si capisce, mi rende figa"Non puoi relazionartici senza esibire a ogni piè sospinto la tua patente di anticapitalismo verace, rilasciata dalla cricca degli Anticapitalisti Veri, dei Non Borghesi Quelli Veri. E se gli occhiali che indosso fossero troppo borghesi? e se quest'aggettivo, questa certa espressione, questa micro-opinione che sto esternando adesso suscitasse più di un sospetto? e se mi scappa di dire che domenica sono andato/a al centro commerciale e che non vedo l'ora di comprarmi uno smartphone a rate coi soldi di papà? e se per sbaglio, anzi perché mi piacciono, ho messo i tacchi e mi dicono che sono una femmina media che ha interiorizzato lo sguardo maschile? (per inciso: non uso mai i tacchi, ma darei la vita - si fa per dire - perché tu possa indossarli, nda) e se sono una femmina o un maschio eterosessuale affezionato/a alla monogamia, legato/a allo stesso partner da dieci, quindici, venti anni, e così ci vivo benissimo? e se desidero tantissimo, in modo consapevolmente irrazionale, di figliare? e se in fondo non mi facessero poi così schifo i pacchetti vacanze? eccetera eccetera; possiamo immaginare una lista lunghissima. Un paternalismo sconfinato, degno del peggiore fra i democristiani, incombe come una nuvola grigia sulla tua voglia di vivere, quando incontri una/o che usa la parola "borghese". 

La coazione alla critica da non meglio specificato pulpito avanza impietosa, come una calamità naturale. Da un momento all'altro potresti essere sospetta, suscettibile di essere anche tu segnata dall'infamia di borghese. Davanti all'ostentatamente e fintamente non borghese ti senti così: senza finestre. Dicono di essere per la liberazione dall'oppressione, eppure davanti a loro la avverti distintamente, una certa cappa di claustrofobia. Chi critica il borghese sforzandosi di non esserlo non ha meno pregiudizi del democristiano medio. Resto sempre basita nel constatare quanto siamo piccoli e inermi, quanto siamo soggetti ai pregiudizi pur sopravvalutando le nostre intelligenze al punto da credercene immuni. 

Il panorama cerebrale a partire dal quale formula i suoi attacchi si fonda su quelle tre-quattro idee che ribadisce a rotazione a ogni occasione: non solo nelle assemblee, ma proprio a ogni occasione. Se provi a mettere in discussione qualcosa fra i suoi dogmi, sei un nemico. Nessuna oscillazione o ambiguità è ammessa: che poi, oscillazioni e ambiguità sono fra le caratteristiche più sincere della vita. Non è mai sfiorata dall'idea che possa esserci qualcosa che non funziona fra le idee che ogni giorno ribadisce e riconferma col suo gruppo; o anche, per dire, che possa esserci dell'altro. Per esempio, qualche contraddizione. Ci sono amici e nemici, la qual cosa è anche giusta - è molto importante avere dei nemici, dei non-quelli nel quale collocarsi -, il problema è che il criterio di distinzione ha un sapore tribale, più che ispirato a una lucidità politica e sincera preoccupazione per le sorti del mondo. A interessare è il gruppo e la riconferma della propria identità e dell'appartenenza al gruppo, più che i destini della società.  

C'è un'ansia di purezza, di tenersi fuori dallo sporco del mondo; una tentata collocazione nell'incontaminato, che fa presto a tradursi in dogmatismo, in ottusità. Si ragiona per schemi, e sempre rigorosamente senza empatia. Dov'è l'empatia? La cosa più importante del mondo: l'empatia, insieme alla coscienza dei propri limiti.

Il senso della parola racchiude tutta una storia densissima, che parte almeno dalla rivoluzione industriale (in realtà da molto prima: borghese era inizialmente l'abitante del borgo, e il borgo nasce nel Medioevo) e ci porta fino ai giorni nostri. Qualcuno ci ha pure fatto un libro, sul concetto di borghese (tipo Franco Moretti), ma la letteratura si spreca. La parola intrattiene un legame storico speciale con Marx: per lui la borghesia era la classe capitalistica, la classe che opprime il proletariato. La linea di demarcazione fra le due classi era il possesso/controllo o meno dei mezzi di produzione. Se possedevi dei mezzi di produzione eri un borghese, se non li possedevi, eri un proletario. Sul problema, poi, della classe media, che cioè non possiede i mezzi di produzione ma al contempo non lavora in fabbrica, c'è un dibattito lungo almeno un secolo; il punto però qui è un altro. Con borghese in questo contesto si intende altro, segnatamente uno stile di vita, non è un termine tecnico o una caratterizzazione esclusivamente economica. Si descrive cioè lo status più che la classe. Mi viene in mente quel che sostiene Bourdieu: gli stili di vita e i consumi culturali, gli habitus delle diverse classi si contrappongono: ciascuna di esse ostenta il proprio, per motivi di individuazione deve contrapporsi agli altri. E' una specie - e sottolineo "una specie" - di lotta di classe dislocata sul piano culturale. Ma va precisato che il fintamente non borghese, nell'usare spregiativamente il termine borghese, e nel riconfermare la propria appartenenza alla categoria denigrata, è lontano anni luce da qualsiasi parvenza di "lotta di classe". Il suo è più che altro un meccanismo di autoaffermazione culturale. Oggi, cioè, siamo molto lontani dal senso originario del termine; vi si è sedimentata tutta una letteratura, la letteratura novecentesca del disprezzo del piccoloborghese, con annessa santificazione di chi si sforza di non esserlo, tipicamente prodotta da intellettuali esponenti della meglio borghesia mitteleuropea. 

Mi si dirà: ma non è forse questo, un argomento ad hominem? Non è un argomento, infatti, più che altro una constatazione. Nella valutazione della parola, e del carico di disprezzo che vi si è sedimentato, non può non rientrare la constatazione di questo fatto: che a usarla in senso spregiativo sono sempre borghesi. Questo però non ci dice ancora tutto. La critica, che so, di un Adorno alla vita borghese amministrata, è diventata in un certo senso prerogativa di una piccola massa e, come spesso succede, la critica di una moda è diventata anch'essa una moda. E' come se tutte le critiche dovessero subire un processo di deflazione culturale, per cui a un certo punto finiscono paradossalmente per assimilarsi all'oggetto criticato, assumendone le sembianze e riproducendole. Il processo va di pari passo con l'estinzione della sinistra. Cioè mi sembra che la degenerazione di questa parola si accompagni alla deriva individualistico-estetizzante che ha preso la sinistra da alcuni anni a questa parte. 

Insomma a me sembrano tutti ignari esponenti dello stesso meccanismo. L'ansia di tirarsene fuori li ricaccia ancor più malamente dentro. Sono delle caricature di se stessi. 

Non c'è dunque soltanto il motivo che chi ostenta uno status non-borghese è in realtà emanazione dello stesso humus socio-economico del borghese, e la sua critica al borghese può essere avanzata sempre a partire da un privilegio: quello dell'istruzione, che gli è stato concesso proprio in virtù dell'appartenenza a quell'humus, non so se mi spiego. Dicevo, non c'è solo questo motivo, che mi rende inviso l'ostentatamente e in ultima istanza fintamente non borghese, ma anche la sua partecipazione, la sua riconferma di una dinamica rispetto alla quale pretende di essere esterno. Tutto questo mi annoia, e mi rende insopportabili diverse frequentazioni. Tutto questo mi impedisce  di sviluppare un discorso veramente critico in senso condiviso. Sento puzza di bugia e di truffa, circola una presa in giro, una grande presa in giro nei nostri discorsi. Voglio dire che il mio bisogno di impegnarmi politicamente, fra le diverse difficoltà, è costantemente minacciato da chi parla per slogan e da chi fraintende la lotta politica con meccanismi di differenziazione culturale. Gli slogan sono luoghi comuni con caratteri di propaganda che a un certo punto cominciano a vivere di vita propria Una cosa che una volta era originale e aveva un senso emancipativo preciso, fa presto a mutarsi nella parodia dell'originale. Cadere in questo meccanismo è molto facile: io stessa ci ero in qualche modo rimasta imbrigliata.

Tutti ci costruiamo delle narrazioni rassicuranti, ce la raccontiamo in modo da uscirne più nobili, da questa faccenda che è la vita in mezzo agli altri; ebbene quella che si racconta il finto non borghese è proprio questo, una narrazione rassicurante e autocompiacente. Quest'assunzione di purezza è balorda per il semplice motivo che a mentire è sia il preteso borghese che il preteso non borghese, c'è una menzogna alla quale mi si chiede, di tanto in tanto, di partecipare; ma fra tanti teatrini quello che simula la lotta di classe fraintendendola col narcisismo non posso proprio più reggerlo. Anche questa è una forma di criccofobia: la repulsione è per il borghese e per il finto non borghese, nella misura in cui entrambi sono emanazioni di una cricca. E le cricche esistono in ragione di una truffa: sempre.

Il fatto è che, comunque, tendenzialmente sono (siamo!) insopportabili tutti, ed è urgente cambiare registro. Posto che tutto questo non ha a che fare con la lotta di classe, ma semmai con una sua goffa simulazione o meglio con un suo residuato parodistico, dividiamo piuttosto l'umanità in bugiardissimi e in meno bugiardi (o "bugiardini", sic!), cioè coloro che quanto meno ci provano, a non diventare la macchietta di se stessi e a mantenere un occhio critico, senza ripetere in loop il mantra autoassolutorio della pseudocritica sociale. Perché a furia di esasperarlo, il gioco di finzioni sociali finisce per svelare il suo vero contenuto, e cioè che chi più chi meno semo tutti stronzi, tutti soggetti a pregiudizio, tutti limitati, tutti bisognosi di sicurezze, ma l'eventuale venir meno o meglio diminuire della stronzitudo è sostanzialmente legato al tasso di onestà e empatia di cui siamo capaci. Per la lotta di classe, le sedi sono ben altre. Dal momento che il finto non borghese se possibile nuoce alla sua causa, fraintendendola col narcisismo culturale. 

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